DANTE E FORESE DONATI: UN’AMICIZIA CONTROVERSA E TENACE.

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Disponibile su You Tube e sul sito facebook di Anassilaos da oggi il 2^ degli incontri che l’Associazione Culturale Anassilaos dedica a Dante nel 7^ Centenario della morte. La conversazione del Prof. Antonino Romeo sul tema “Dante e Forese Donati: un’amicizia controversa e tenace” analizza …Nonostante l’impegno di tanti biografi, sulle reali circostanze della vita di Dante sappiamo complessivamente poco e quel che conosciamo deriva non tanto da testimonianze documentate e perciò attendibili, ma da ricostruzioni che rimbalzano quasi per clonazione da una biografia all’altra, integrate ogni tanto da qualche aneddoto accattivante sul piano narrativo. In mancanza di dati verificabili, per molti aspetti della vita di Dante dobbiamo fare ricorso alla sua opera, in primo luogo alla Commedia, ma anche il Convivio e le Epistole sono una ricca miniera di informazioni. Si tratta, però, di testi letterari e la letteratura, si sa, è innanzitutto mistificazione: quando l’autore si consegna alla pagina scritta, cessa di essere persona e diventa personaggio, per cui tende a dare di sé un’immagine ideale, che non sempre coincide con quella reale. Dante, che sente di essere exul immeritus, per un comprensibile spirito di rivalsa sul grigiore della vita che deve condurre, si costruisce l’immagine di profeta, di guida e maestro per l’umanità tutta e in questo scenario dove tutto è grandioso e solenne c’è poco spazio per raccontare le sue esperienze quotidiane, le sue relazioni di amicizia e i percorsi compiuti in comune con gli altri. Per questi motivi non troviamo nelle sue opere molti riferimenti agli amici, intesi come persone con cui si è condiviso un percorso di formazione e la cui presenza conforta e arricchisce nei momenti cruciali dell’esistenza. Sappiamo del sodalizio con Guido Cavalcanti e del ruolo che questi ebbe per avvicinare Dante alla nuova poesia stilnovistica, ma i loro rapporti si guastarono, prima ancora che per motivi politici, per la netta diversità di vedute rispetto al tema della trascendenza divina, come possiamo notare da un rivelatore accenno nel decimo canto dell’Inferno. Delicati echi di sinceri rapporti amicali troviamo nel Purgatorio, quando Dante incontra prima Casella e poi Belacqua e con entrambi ricostruisce per un attimo l’incanto di ormai lontane esperienze terrene; anche nel Paradiso l’incontro con Carlo Martello ci fa pensare che fra i due giovani ci sia stato un amichevole incontro per un comune progetto nella Firenze di fine Duecento, ma ormai l’attenzione di Dante è concentrata su altri temi e quell’esperienza viene soltanto accennata. In definitiva, l’unico amico di Dante di cui possiamo conoscere a sufficienza le caratteristiche e il destino è Forese Donati, che dovette essere quasi coetaneo del poeta e che gli divenne parente alla lontana quando Dante sposò Gemma Donati. I due giovani, che certamente amavano frequentare entrambi gli ambienti letterari di Firenze, diedero vita ad una tenzone poetica di indubbio interesse: si scambiarono rime ingiuriose, cantandosele di santa ragione in sei sonetti complessivi, tre di Dante ed altrettanti di Forese, che molto ci dicono, se non sulle abitudini reali dei due, certamente sulla disponibilità di Dante a cimentarsi su registri linguistici e tematici ben diversi da quelli ufficiali. Il tono è disinibito, a volte greve, ma perfettamente coerente con quello che doveva essere la vita di quartiere nella Firenze dell’epoca, dove certamente era forte l’interesse per la politica e per la cultura, ma non mancavano neanche allora le “zingarate” e la complicità fra coetanei era alla base di tante allegre brigate. Ma Dante non vuole lasciare di Forese solo l’immagine di un marito inadeguato e di un gozzovigliatore che ruba per alimentare tutti i suoi vizi né vuole che l’asprezza reciproca sia l’unico sigillo al loro rapporto. Immagina di incontrarlo nel Purgatorio, nel girone dei golosi, certo, perché quella fu la caratteristica e la colpa di Forese, ma l’incontro è intessuto di grande delicatezza espressiva, di mutuo ed indulgente affetto e, soprattutto, ci consente di muoverci per un attimo in una Firenze a dimensione umana, dove Forese, ricordando con struggente affetto la moglie, la chiama «Nella mia», «la vedovella mia, che tanto amai» e Dante nomina Beatrice, quasi a ricostruire un quartetto di amici che certamente si conobbero e forse si frequentarono. L’asprezza della tenzone, reale o solo letteraria che sia stata, sfuma nella solennità dell’eterno, con Forese già impegnato a confrontarsi con la giustizia divina e Dante che accenna, solo per un attimo ma con umanissima sincerità, alla stanchezza che sempre più lo pervade e che gli fa desiderare soltanto di finire presto e di ritrovarsi anche lui a poter vivere l’esperienza salvifica dell’amico.  E’, in definitiva, la narrazione perfetta di un’amicizia che passa attraverso tutti i possibili tornanti che quel rapporto può avere, ma che evidentemente ha mantenuto per Dante tanta importanza da suggerirgli uno degli episodi più belli ed umanamente credibili della sua opera.

 

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