Ancora un incontro ( il 4°) promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini che si terrà venerdì 27 maggio alle ore 17,30 presso lo Spazio Open. Al centro della riflessione di Francesca Neri, Daniela Scuncia e Lucia Anita Nucera il “Pasolini poeta dialettalele” .Consapevole della consunzione della lingua italiana del Novecento, lo scrittore intervenne più volte con saggi e articoli sia sul dialetto e che sulla lingua italiana. Fin dai suoi esordi egli adotta la poesia dialettale per recuperare il valore semantico e mitico della parola orale e non scritta rappresentativa di una comunità che nel dialetto riconosce sé stessa. Egli vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. In questo rivendicare una poetica del friulano come anti dialetto e quindi lingua, si avverte una inconscia ragione politica e cioè il rifiuto al centralismo livellatore del regime fascista. Nel 1945 fondò l’Academiuta di lenga furlana, una sorta di laboratorio linguistico attraverso il quale cercherà di rendere onore al friulano occidentale, fino ad allora realtà linguistica soltanto orale. A tale problematica egli dedicherà molti scritti nei quali ripercorrerà le origini storiche, geografiche e culturali della tradizione orale, tra i tanti: Sulla poesia dialettale del 1947, Pamphlet dialettale apparso tra il 1952 e il 1953, Passione e ideologia composto tra il 1948 e il 1958. Legato al problema del dialetto quello della lingua nazionale. L’uscita nel 1964 dell’articolo Nuove questioni linguistiche sulla rivista Rinascita diede il via a un interessante confronto polemico tra gli intellettuali del tempo da Umberto Eco, a Maria Corti, da Arbasino a Dante Isella, da Moravia a Calvino. Secondo Pasolini, proprio in quegli anni (primissimi anni sessanta) era nato l’italiano “come vera lingua nazionale”. Prima, sempre secondo Pasolini, l’italiano era pseudonazionale a causa del totale distacco fra la lingua parlata, anzi, le varie lingue parlate sul territorio nazionale, e la lingua letteraria. Tutta la storia della letteratura italiana del Novecento era una storia del rapporto fra gli scrittori italiani e la cosiddetta lingua media, una lingua non nazionale. E dopo aver studiato vari tipi di linguaggio, da quello giornalistico, a quello televisivo, a quello della stessa critica letteraria e anche della politica, Pasolini afferma di essersi accorto, ad esempio, che il fondo unificatore della lingua non è più il latino, che nella lingua stessa “ci sono invece infiniti riferimenti tecnologici”, si tratta di un fenomeno quasi ancora in embrione, ma è destinato a svilupparsi ancor più profondamente nel futuro: si tratta del fatto che per la prima volta, in Italia, c’è una classe dominante, formatasi nelle industrie del Nord Italia, che tende a – e ha la forza di – identificarsi con tutta intera la società. Come si rileva dialetto e lingua nazionale sono strettamente interconnessi e vi è da chiedersi se non sia proprio la nascita di una lingua che identifica l’intera società italiana a decretare la morte del dialetto. Un aspetto “reggino” del Pasolini dialettale sarà affrontato dalla Prof. Lucia Anita Nucera, Assessore Comunale con delega alle minoranze linguistiche, che parlerà del rapporto di Pasolini con la minoranza linguistica dei Greci di Calabria e nello specifico con il poeta Bruno Casile (1923-1998), il “poeta contadino” di Bova.
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