“Un innegabile successo investigativo dello Stato” che deve rappresentare “solo un punto di partenza per contrastare la presenza della criminalità nell’economia e nella società”. Così il professor Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence, in una conversazione con Formiche.net sull’arresto del super-latitante Matteo Messina Denaro
La latitanza comincia nell’estate del 1993, poco dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze. Il boss trapanese è stato condannato in contumacia per decine di omicidi, per gli attentati che uccisero i giudici Falcone e Borsellino, e per le stragi del ’93. La sua cattura segna la fine di una delle latitanze più durature della storia mafiosa, pari a quelle dei suoi sodali Totò Riina e Bernardo Provenzano, sfuggiti all’arresto rispettivamente per 23 e 38 anni.
“Un innegabile successo investigativo dello Stato, un brillante sforzo soprattutto del Ros dell’Arma dei Carabinieri e di tutte le forze dell’ordine, della magistratura e, suppongo, anche dei Servizi di intelligence. Infatti l’intelligence dall’uccisione del generale Dalla Chiesa è stata chiamata in campo per contrastare la criminalità che minaccia anche la sicurezza nazionale”, commenta il professor Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence, in una conversazione con Formiche.net.
“Ma questo successo deve rappresentare solo un punto di partenza per contrastare la sempre più invadente presenza della criminalità all’interno dell’economia, dove è fortemente infiltrata in precisi settori, come il ciclo del cemento. È un positivo punto di partenza per andare a bonificare i territori e gli enti locali e rappresenta una fondamentale iniezione di fiducia nei cittadini”, prosegue il professore.
“La circostanza che per arrestare Matteo Messina Denaro ci siano voluti 30 anni e 25 per arrestare Totó Riina dimostra la vasta rete di coperture di cui godono le mafie. Occorre, quindi, agire a livello culturale e sociale contemporaneamente a quello politico”.
Alla domanda se Matteo Messina Denaro sia stato colui che ha traghettato Cosa Nostra verso il mondo dell’imprenditoria, il professore risponde negativamente. “Queste sono dinamiche di lungo periodo. Il salto di qualità delle mafie secondo me è stato accentuato con l’istituzione delle Regioni, che hanno portato le risorse pubbliche a un livello più prossimo al condizionamento del territorio. Bisogna compiere una profonda riflessione sulla dimensione culturale, sociale e politica della mafia, tenendo conto che in Italia si inquadra in dinamiche di lungo periodo che si consolidano a partire dallo sbarco degli Alleati in Sicilia nel 1943 e si sviluppano durante la guerra fredda.”.
Il professore vuole portare l’attenzione sul presente: “Bisogna riflettere sull’oggi. Il fenomeno criminale è, da un lato, globale, dunque da contrastare a livello internazionale. Dall’altro, l’Italia vede presenze sul proprio territorio anche di altre entità mafiose, ad esempio la mafia albanese, quella nigeriana, quella sudamericana, quella cinese e russa.”
E conclude: “Con la globalizzazione si registra una nuove fase. Oggi le mafie rappresentano un grande attore economico e politico a livello globale. Pensiamo ad esempio al fatto che la City di Londra è al contempo la più grande piazza finanziaria e il più grande hub di riciclaggio al mondo. È chiaro che nella dimensione digitale, che rende tutto più fluido, economia lecita e illecita si mescolano fino a diventare indistinguibili. La crisi economica del 2008 e quella legata alla pandemia hanno rafforzato le mafie. Occorre una terapia d’urto e oltre all’indispensabile e prioritaria azione politica, anche il sistema educativo e quello mediatico”.
Fonte: Formiche.net