Febbraio è il secondo mese dell’anno , il più piccolino, il più birichino, il più freddo.
E’ il mese che mi riporta al borgo natio, e la prima cosa che vedo sono le violette, piccole, graziose, profumate, sbocciavano come per incanto tra l’erba ancora irrigidita dal gelo ad annunciare la prossima primavera ed il ritorno delle rondini.
Ai margini dei viottoli, nel podere del nonno, tra foglie secche e teneri fili d’erba, mi facevano sognare, insieme alle violette, cespi di primule e macchie di crochi.
Nella “mastra” l’acqua scorreva nel suo eterno divenire ed ogni tanto qualche foglia secca danzava, si faceva cullare fino a scomparire lontano, per sempre.
Ricordo le nuvole grigie che danzavano sopra le chiome degli ulivi: ogni tanto faceva capolino qualche lembo di azzurro, qualche sprazzo di sole; e poi di nuovo il grigiore freddo e uggioso.
Il vento soffiava sopra la mia solitudine, intessuta d’attesa, sibilava, strideva, scuoteva le porte, forzava le imposte, faceva tintinnare i vetri e spesso la notte mi sembrava di udire insieme al sibilare del vento, le voci delle anime dei trapassati che, secondo i racconto di Maria Pellizzeri, la notte di venerdì e martedì uscivano in processione per i crocicchi del borgo.
La neve vestiva le montagne, cadeva lenta sul mio cuore.
Nel 1981 la neve arrivò persino al borgo natio, una gioia per me e le mie sorelle, conservo ancora le foto che papà ci scattò tra gli ulivi vestiti di neve.
Al mattino il gelo faceva luccicare di ghiaccio e di brina i campi e i rigagnoli, più tardi stormi di uccelli scuri e fischiettanti sfidavano il freddo.
Io avevo studiato la nobile storia degli Etruschi, gli àuguri prevedevano il futuro attraverso il volo degli uccelli, io li guardavo e sognavo di poter ritornare indietro nel tempo e far parte del nobile popolo etrusco.
Mia nonna diceva che febbraio è come un ladro: corre veloce e indossa un mantello sdrucito dal vento e una mascherina nera, perché è il mese del Carnevale.
Mia nonna diceva “Pa Candilora du mbernu simu fora” e mi spiegava che presto la primavera sarebbe ritornata.
Mi spiegava che secondo la legge di Mosè, quaranta giorni dopo la nascita di un bambino, ogni mamma si presentava al Tempio per la purificazione, recando un’offerta.
Anche la Madonna presentò Gesù al tempio ed offrì due tortore.
In alcuni paesi si ricorda la purificazione di Maria con una processione nella quale i fedeli portano candele benedette.
Per questo motivo il due febbraio viene detta la Candelora.
Le candele che il sacerdote benediceva in chiesa, mia nonna le accendeva durante i temporali.
Ricordo che Tina Pillari, invece, diceva “Pa Candilora cu non ndavi carni si mpigna a figghiola”.
Ma il significato non me lo sapeva spiegare ed io ancora mi chiedo, cosa volesse dire questo detto.
Il Carnevale portava tanta allegria, i ragazzi si travestivano con i vestiti smessi dei grandi e giravano allegri per le vie del borgo.
Mamma preparava i “Nacatuli”, la pignolata e le castagnole.
L’allegria si confondeva con il fumo che usciva sinuoso dai comignoli.
Il mio febbraio era come un gelato freddo e dolce nello stesso tempo, portava sempre la stessa atmosfera, la stessa nostalgia, tristezza e magia.
L’altro giorno sono passata dal borgo natio, non volevo farlo, sapevo che sarei stata male, ma per una sorta di perversione mentale, volevo incontrare febbraio che non si è fatto pregare, mi è venuto incontro con uno stormo di uccelli che cantava tra gli ulivi, con una timida violetta che mi ha abbracciata con il suo profumo, con la carezza del vento gelido ed io ho pianto il tempo che non ritornerà più.
Stamattina ad Amato lo scricciolo cantava sui rami nudi degli alberi, l’odore di febbraio danzava nell’aria, mentre i bambini coloravano le mascherine.
Sulla cattedra c’era un libro aperto su una pagina che diceva” Il nome del mese deriva dal latino februare, che significa “purificare” o “un rimedio agli errori” dato che nel Calendario romano febbraio era il periodo dei rituali di purificazione, tenuti in onore del dio etrusco Februus e della dea romana Febris, i quali avevano il loro culmine il giorno 14; secondo Varrone il termine deriverebbe dal Sabino februm, purificazione.
Ho riportato al mio cuore la bambina che amava la storia e che ha sofferto per gli errori che altri hanno fatto e non hanno nemmeno rimediato, ho riportato ancora l’immagine di febbraio ragazzo ladro con la mascherina nera, che corre tra i viottoli di campagna, mangiando “nacatole” e pignolata.
Ho pianto di nuovo il tempo perduto, i prati della mia Macondo, la nonna, la neve, la bambina che danzava con il vento.
Lo scricciolo ha continuato a cantare, a farmi compagnia, ho ricordato sant’Apollonia e Scolastica, San Valentino che non è mai arrivato, ho ricordato il suono della campana tra gli ulivi.
Poi lo scricciolo è andato via, senza nemmeno salutarmi, lasciandomi sola insieme a un febbraio che non mi appartiene, ma che forse per farsi perdonare, riesce ancora a riportarmi il profumo e l’atmosfera della mia Macondo, il profumo del tempo perduto.
Febbraio ha bussato al mio cuore che ormai è divenuto un cimitero di stelle.
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