Gli antichi Romani furono razzisti? A questa domanda cercherà di rispondere la Prof.ssa Elena Caliri, Docente di Storia romana presso il Dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università degli Studi di Messina, nel corso di una conversazione sul tema “I Romani e il razzismo” che, terrà giovedì 16 febbraio alle ore 16,45 presso la Sala della Biblioteca “G. De Nava” nell’ambito del ciclo di incontri dedicati alla “percezione dell’Antico”, patrocinati dal Comune di Reggio Calabria, e promossi dall’Associazione Culturale Anassilaos congiuntamente con la Biblioteca Pietro De Nava. Il tema è di particolare interesse ai nostri giorni non soltanto perché il razzismo continua ad avvelenare la nostra società ma anche per quella certa, e assurda, “cancel culture” che pretende di giudicare i fatti del passato alla luce della nostra moderna sensibilità. La storia dell’antica Roma si sviluppa attraverso molti secoli ed è pertanto difficile dare una risposta esaustiva alla complessa domanda iniziale poiché spesso ci troviamo dinanzi ad elementi contraddittori. Le origini di Roma, intanto, per quanto narrato dagli stessi Romani, possono essere considerate miste e promiscue. Narra Tito Livio che Romolo, al fine di popolare la città da lui fondata offrì un asilo in cui si rifugiò “dai popoli vicini, avida di novità, una folla di gente d’ogni sorta, senza distinzione alcuna tra liberi e servi, e quello fu il primo nerbo dell’incipiente grandezza.” Asylum indica un luogo inviolabile in cui un supplice poteva rifugiarsi senza alcun timore di essere allontanato a forza e insieme l’immunità concessa anticamente a chi (schiavo fuggitivo, delinquente, prigioniero di guerra) si rifugiava in un tale luogo sacro. Romolo può dunque essere considerato il fondatore di una città multietnica il cui emblema stesso, la Lupa che allatta i gemelli, può essere la rappresentazione di una città e civiltà adottante. L’espansione politica e militare di Roma, la creazione di un impero vastissimo capace di tenere insieme popoli, culture e religioni diversi, è dovuta alla capacità di assorbimento, nel corso dei secoli, di usi, costumi e tradizioni varie e di avvicinamento, attraverso la concessione della cittadinanza romana, culminata nel 212 d.C. con la Constitutio Antoniniana, l’editto emanato dall’’imperatore Caracalla nel 212 d.C. che dava la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero di condizione libera, di questi stessi popoli alla civiltà romana. Certo per fondare e giustificare un impero era necessaria una ideologia e questa ai tempi di Augusto la forniscono anche i poeti. “Tu regere imperio populos Romane memento / (hae tibi erunt artes) pacisque imponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos” (scrive Virgilio ai versi 851-853 dell’Eneide. Questa la missione “Tu con il tuo potere reggerai i popoli, Romano, ed imporrai equo costume di pace, queste saranno le tue arti, risparmiare i sottomessi e debellare i superbi“, l’ideologia di ogni imperialismo dove pace è dominio, sottomissione e guerra a chi difende la propria libertà (i superbi) poiché per i Romani non poteva esistere una libertà disgiunta dalla civiltà. Ma l’imperialismo odioso in ogni tempo non generava in Roma forme di ripulsa dei popoli vinti su basi razziali. Gli Ebrei prima come poi i Cristiani suscitavano il disprezzo dei laici Romani, dichiarato dalle fonti, non per la razza (gli Ebrei) ma per usanze cultuali incomprensibili mentre altri popoli incontravano la loro ammirazione pur quando, e il caso dei Germani, si opposero con successo agli eserciti di Roma infliggendo alle legioni di Augusto, a Teutoburgo, la più tragica delle sconfitte militari. E’ il grande elogio di Tacito contenuto nel trattato De origine et situ Germanorum, meglio conosciuta come Germania nel quale lo storico di Roma esalta le tribù germaniche, il cui unico codice, Codex Aesinas, interessò moltissimo i nazisti che fecero di tutto per ottenerlo, con le buone o con le cattive.
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