Prosegue il viaggio di “Ali di Vibonesità” nel mondo della scuola per portare i giovani alla conoscenza della storia di Vibo Valentia e dintorni.
Domani, venerdì, alle ore 11, farà tappa all’Istituto superiore “De Filippis – Prestia” di via Santa Maria dell’Imperio, dove l’Archeo Club presenterà il nuovo progetto di Parco Archeologico Agronaturalistico Vibonese, elaborato dal Laboratorio Territoriale “Croceneviera” e promosso dalle organizzazioni economiche, sindacali, agricole, civili e ambientaliste.
Il Parco ha l’obiettivo di recuperare, tutelare e sviluppare, in una prospettiva di sistema integrato, il patrimonio archeologico, agricolo e naturalistico della zona di Vibo Valentia-Stefanaconi-S.Onofrio. Il laboratorio è composto da Confindustria, Coldiretti, Cgil, Cia, Federconsumatori, Archeoclub d’Italia sede di Vibo Valentia, WWF OA Vibo Valentia, Vallata dello Stilaro, Italia Nostra Crotone, Codacons Vibo Valentia, Forum delle Associazioni vibonesi e Comitato pro-mura greche Vibo Valentia. Esso costituisce un modello applicabile e realizzabile anche in altri contesti simili.
Si parla di una vasta area in cui i resti antichi sono giunti a noi in uno stato di conservazione tale da permettere una comprensione immediata di quella che deve essere stata la fisionomia dello spazio urbano ed extra urbano della città greca, prima e, successivamente, di quella romana. È da considerarsi, questa, una condizione fortunata e ottimale sia per gli archeologi che ne affrontano lo studio da anni che per coloro che preposti alla tutela e alla conservazione delle aree, devono assicurarne la manutenzione nel tempo.
In quest’ottica, si ritiene possa offrirsi quale laboratorio ideale per l’applicazione di un modello di manutenzione innovativo che pone la “cura” agricola e più in generale la ripresa delle attività connesse alla lavorazione della terra, quale modello per “custodire” il paesaggio e l’insieme delle risorse a esso connesse.
Il progetto verrà presentato da Antonio Montesanti, storico e ricercatore, socio dell’Archeoclub d’Italia di Vibo Valentia, sul tema : “Parco Archeologico: recupero, tutela e sviluppo”.
A moderarlo sarà Mario Iozzo, coordinatore dei settori di “Ali di Vibonesità”. Seguiranno i saluti di Maria Francesca Durante, dirigente scolastica della stessa scuola e Tony Bilotta responsabile per l’Economia dell’Associazione vibonese.
La relazione sarà di Antonio Montesanti ed è previsto anche un intervento di Anna Murmura, Presidente dell’Archeo Club di Vibo Valentia e degli studenti del “De Filippis – Prestia”.
MODELLO DI GESTIONE DEL PARCO ARCHEOLOGICODI VIBO VALENTIA
La città posta al centro della Regione e con un suggestivo “affaccio” sul mar Tirreno, con i suoi 560 metri sul livello del mare da sempre ha suscitato l’interesse insediativo delle genti chefin dalla preistoria si sono avvicendate su questa parte della penisola. Il sito a partire dalla fine del secolo appena trascorso puntualmente tutelato dall’allora Soprintendenza Archeologica della Calabria, custodisce,in un contesto di grande suggestione paesaggistica,estese aree archeologiche che costituiscono l’ampio parco urbano di 35 ettari complessivi.
Sul margine Nord-orientale della collina sulla quale è adagiata la città, in una fascia di territorio che dal centro storico della cittadina raggiunge la Casa Circondariale nel tempo sono stati individuati una serie di importanti siti archeologici che ad oggi racchiudono i resti di quella che un tempo è stata la polis greca di Hipponion, quattro aree sacre (Belvedere, Cofino, Cava Cordopatri e Scrimbia), un imponente tratto della cinta muraria (Trappeto Vecchio-via Paolo Orsi)e poi ancora una estesa porzione della città romana (località Sant’Aloe) oltre al battistero rinvenuto in piazza San Leoluca.
Si tratta di una vasta area in cui i resti antichi sono giunti a noi in uno stato di conservazione tale da permettere una comprensione immediata di quella che deve essere stata la fisionomia dello spazio urbano ed extra urbano della città greca, prima e, successivamente, di quella romana. È da considerarsi, questa, una condizione fortunata e ottimale sia per gli archeologi che ne affrontano lo studio da anni che per coloro che preposti alla tutela e alla conservazione delle aree, devono assicurarne la manutenzione nel tempo.
In quest’ottica, si ritiene che tale area si offra quale laboratorio ideale per l’applicazione di un modello di manutenzione innovativo che pone la “cura” agricola e più in generale la ripresa delle attività connesse alla lavorazione della terra, quale modello per “custodire” il paesaggio e l’insieme delle risorse a esso connesse.
In questa direzione, dal momento che anche in Italia è sempre più stringente l’esigenza di una valorizzazione dei beni culturali in sintonia con la “cura” del territorio, per giungere a programmi complessivi ed in armonia con la natura e la storia stessa dei luoghi, tale modello può essere la risposta complessiva e armonica per ottenere,attraverso il coinvolgimento dei cittadini tutti, unitamente a soggetti svantaggiati, occasione per la creazione stabile ed innovativa di posti di lavoro. D’altra parte, la ripresa delle pratiche agricole e la conseguente presenza quotidiana dei lavoratori all’interno delle aree archeologiche, diventerebbe così la chiave di volta per garantire in prima istanza la manutenzione ordinaria delle stesse,ma in particolare per garantire la nascita di concreti presidi di legalità oltre che occasione per creare un sistema naturale di controllo degli incendi, delle frane, dell’abbandono dei rifiuti e per innescare l’armonica irreggimentazione delle acque, in funzione di un equa e sostenibile “cura” del territorio.
Il traguardo deve essere quello di riuscire a creare la giusta e armonica sintonia tra tutte le risorse che caratterizzano il territorio in modo da “alimentare” costantemente il valore del paesaggio, il senso del “bello”,la responsabilità di ciascun cittadino verso il “futuro” che dobbiamo garantire alle risorse che concorrono a creare unico la nostra nazione,“custodendo” e “curando” il territorio nelle sue molteplici sfaccettature.
Sul territorio nazionale, in questi ultimi anni, una sempre più grande attenzione per l’ambiente va di pari passo con un ampio ritorno alle pratiche agricole come modello applicato alla gestione del patrimonio e alcuni importanti parchi archeologici nazionali hanno strutturato mirate strategie di gestione.
Ad esempio sul Parco Archeologico di Pontecagnano l’esperienza di gestione è portata avanti dalla sezione Occhi Verdi di Legambiente. Dal 1999, il circolo Occhi verdi mantiene aperto questo luogo di grandissimo pregio scientifico e vi realizza tutta una serie di attività più attinenti alla missione di Legambiente: Orti sociali, Centro educazione ambientale, Biblioteca all’aria aperta, Palco per eventi, Forno didattico, Giardino dei Sensi, Orti didattici e molto altro.
La coltivazione dei vigneti nel Parco Archeologico di Pompei è un’idea nata nel 1994 e dapprima ha riguardato un’area limitata degli scavi, per poi ampliarsi e giungere oggi a interessare 15 aree a vigneto ubicate tutte nelle Regiones I e II dell’antica Pompei (tra cui Foro Boario, Casa del Triclinio Estivo, Domus della Nave Europa, Caupona del Gladiatore, Caupona di Eusino, l’Orto dei Fuggiaschi, ecc.) per un’estensione totale di circa un ettaro e mezzo e per una resa potenziale di circa 40 quintali di uve per ettaro. Questo progetto rappresenta un modo unico per raccontare e far conoscere Pompei con la sua cultura e la sua tradizione antica e quale luogo di valorizzazione e, al tempo stesso, di difesa del territorio, del paesaggio e dell’ambiente.
Lo chiamano il “grano degli dei” e cresce tra i templi di Selinunte. In dieci dei 270 ettari del Parco archeologico sono stati recuperati i grani antichi, oggi trasformati in semola da destinare a iniziative di beneficenza, con il coordinamento del consorzio di ricerca “Gian Pietro Ballatore”, che fa capo all’assessorato regionale siciliano all’Agricoltura. Dal 2018 nel Parco archeologico di Selinunte sono stati istituiti i Cantieri del gusto con i grani antichi e i legumi coltivati dal Consorzio Ballatore e con il vino prodotto dal vigneto impiantato all’interno del Parco dalla cantina Settesoli. I prodotti della terra e i cereali in particolare, rappresentano uno dei punti di forza della civiltà selinuntina, come dimostrano numerosi reperti archeologici, e costituiscono ancora oggi componente fondamentale della nostra cultura agroalimentare e della dieta mediterranea che l’Unesco ha riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità”.
Nel 2021 è tornato l’olio extravergine degli antichi romani al Parco Archeologico del Colosseo, che ha riaperto le porte alle scuole, per divulgare la conoscenza dell’olio e dei suoi prodotti. Un’iniziativa ideata dal PArCo in collaborazione con Coldiretti e Unaprol, dedicata agli oltre 200 alberi di olivo presenti nell’area archeologica. Olivi che dal 2018 vengono curati dalla cooperativa di Coldiretti Lazio, Op Latium, la quale si occupa della loro manutenzione: dalla potatura alla raccolta, fino alla trasformazione e all’imbottigliamento.Un progetto nato per valorizzare il legame storico tra la produzione di olio e gli antichi Romani a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del via libera a livello nazionale della prima denominazione “Olio di Roma” per la quale è stata richiesta la registrazione alla Commissione europea come indicazione geografica protetta.
Nel Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi è stato strutturato il progetto Diodoros che nasce dalla necessità di valorizzare il patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e agricolo dei 1300 ettari. Esso rappresenta un percorso attraverso cui il Parco mira alla valorizzazione delle specie di olivi, viti, pistacchi, mandorli e delle altre varietà tradizionali della frutticoltura siciliana; tutela la biodiversità, sponsorizza la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica e la commercializzazione delle sue produzioni agricole, registrate nel 2005 con il marchio Diodoros.