In questi giorni di caldo sole ho riscoperto la bellezza di Cesare Pavese, tra cui l’opera Tre Donne Sole, Einaudi, con l’introduzione curata da Nicola Lagioia.
La protagonista è Clelia una donna emancipata, intelligente ma soprattutto disillusa.
Clelia vive orgogliosamente del proprio lavoro in una ruvida e scontrosa solitudine.
Quando da Roma torna a Torino, dove era nata, per allestire, nella città ancora ingombra di macerie, un atelier di moda, si trova immersa in uno straniamento tale che le permette di vedere e giudicare l’irrequieta borghesia dell’immediato dopoguerra, gli intellettuali snob, le ragazze un po’ disperate e un po’ frivole, con uno sguardo piú aperto, ma forse anche piú cinico.
Un forte ritratto psicologico, intriso di dolore e risentimento e nello stesso tempo un affresco sociale molto duro.
Clelia nel corso del suo breve e faticoso soggiorno torinese è presa da un turbinio di emozioni. Tutto è mediato dal suo stato d’animo , dalla sua sorda furia nei riguardi della ricchezza altrui, dal livore che non può non provare verso chi la propria condizione di privilegio non l’ha conquistata ma l’ha semplicemente ricevuta in dono senza meritarsela, dall’insoddisfazione crescente che sente verso se stessa e dalla burbera pietà che le muove la più fragile tra le “amiche”, la più sola tra le “donne sole”, la giovane Rosetta, suicida mancata il giorno stesso nel quale Clelia giunge a Torino e poi di nuovo vittima della propria inconsolabile disperazione, della sua inappagata sete d’amore e considerazione.
Cesare Pavese attraverso gli occhi e il cuore di Clelia guarda e giudica una società intera e in essa una generazione il cui stile di vita sprofonda nelle sabbie mobili di un perbenismo artefatto cinico , menzognero e falso.
Infatti Clelia dice: “Quand’ero bambina invidiavo le donne come Momina, Mariella e le altre, le invidiavo e non sapevo chi fossero. Le immaginavo libere, ammirate, padrone del mondo. A pensarci adesso non mi sarei cambiata con nessuna di loro.
La loro vita mi pareva una sciocchezza, tanto più sciocca perché non se ne rendevano conto.”
Pavese mette la donna di fronte alle sue responsabilità, costringendola ad ammettere gli errori commessi e infine ad arrendersi a essi, ad accettare di non potersi salvare, di continuare a vivere fino alla fine dei suoi giorni orfana di quel coraggio immaturo ma senza dubbio incorrotto che ha accompagnato Rosetta nel suo breve e travagliato viaggio.
Cesare Pavese pubblicò Tra donne sole con altri due romanzi brevi, Il diavolo sulle colline e La bella estate, in un volume che ne segnò la consacrazione critica, sancita anche dal Premio Strega del 1950.
Clelia e Rosetta sembrano rappresentare la forte dualità di Cesare Pavese: il successo, l’orgoglio (Clelia) e l’insoddisfazione, la solitudine (Rosetta).
Un mese dopo aver ricevuto il premio, l’autore si è suicidato in una stanza d’albergo come la Rosetta del suo romanzo.
Nel libro è presente anche la sceneggiatura del film Le amiche di Michelangelo Antonioni; le lettere di Calvino e di Pavese; una nota di Ernesto Ferrero; la cronologia della vita e delle opere.