DUE CONSONANTI E TRE VOCALI

Nessun commento Share:

Nel silenzio della notte, danzano nella mia mente due consonanti e tre vocali.

Arrivano  danzando dagli anfratti segreti del cuore, volano nel silenzio della notte   e diventano musa.

Piano, piano diventano parole e subito dopo  frasi.

Ritorna il sogno, ritorna il rimpianto, ritorna l’amore.

Un velo di pizzo francese , un bouquet di zagara e rose, le scarpette d’argento ,la tiara della principessa, l’alta uniforme e  la fascia azzurra.

Come sarebbe stata la notte della principessa, la seta dei cuscini, la carezza  vellutata di miele, il profumo d’autunno sulla pelle.

Nel silenzio della notte due  consonanti e tre vocali, mai cancellati nel vuoto degli anni trascorsi ad inseguire il vento, nel freddo degli inverni ammantati di dolore.

C’era un camino.

Camino significa casa, calore, conforto, fiamma che riscalda il cuore.

Avremmo avuto un camino tutto per noi.

Non avrei mai sentito freddo.

In autunno la danza delle foglie ingiallite mi avrebbero donato momenti di felicità.

Avremmo visitato la Toscana, i borghi antichi che regalano infinite emozioni, avremmo condiviso tutto quello che si chiama cultura: la bellezza dell’arte, i musei, il teatro, i film ,i libri, la poesia e la letteratura.

E poi la gioia delle piccole cose, il quotidiano, la culla, l’attesa, un fiocco rosa o azzurro.

E’ notte, la poetessa è sola.

Ritornano le due consonanti e  le tre vocali; si rincorrono velocemente per poi rallentare, mentre il mio cuore è un cielo di piombo, è freddo , è gelido, non batte più.

Una macabra danza di foglie morte gli fa compagnia.

Mi fanno compagnia il dolore, la  saudade.

Due consonanti e tre vocali: lungo la strada della Ferrandina, stormi di rondini si preparano a partire, andranno lontano e la notte anime silenti, incastrate tra questa e l’altra vita chiedono preghiere, chiedono luce, chiedono amore.

Ricordo la canzone di Amedeo Minghi “Vivere”, mi faceva sognare, volare lontano…

Rivedo un abito color ottanio, era bello il cielo di Roma, mentre Selene splendeva superba sul Colosseo.

Era davvero amore, così puro, così vero, così maledettamente sincero.

Due consonanti e tre vocali declinate in corsivo grande, corsivo piccolo, stampato grande, stampato piccolo.

Era novembre, morivano le foglie ed io con loro.

E’ ancora, di nuovo  autunno,  al borgo natio c’è ancora una principessa che aspetta l’arrivo del suo principe.

Le macchine corrono veloci, scendono, salgono.

Forse arriverà anche lui per chiedere la sua mano.

Una grande festa, un giorno baciato dalle fate e dagli  elfi della foresta, quale grande gioia per le famiglie: gioia e stupore, chi l’avrebbe mai detto!

Come sarebbe stato l’anello di fidanzamento della principessa?

Un solitario? Una rosellina di brillanti, uno smeraldo?

Non è stato così.

Il principe non è mai arrivato, è  annegato in un mare di fredde lacrime, di solitudine, di morte, di miseri, miseria e misericordia.

Piano piano quel mare di fredde lacrime è diventato inchiostro, un dolcissimo inchiostro che ha dipinto di speranza gli istanti, i giorni, gli anni, le notti dove Selene è divenuta Musa, compagna , amante, sorella.

Inchiostro da spargere su bianchi fogli, sui tavoli, sui muri.

Pagine intrise di saudade, di pioggia e vento, sole e neve.

E’ ritornato l’autunno e ha dipinto ancora la Piana del Tauro con i suoi magici colori: giallo oro, rosso, arancione e poi il marrone.

Mi vesto con l’oro delle foglie, mi pettino con il rosso della siepe, viaggio a ritroso nel tempo, rivedo le case, le rughe, i volti; riascolto i racconti, i “cunti”, i fatti: la reginotta e il principino, Giufà, i briganti, il lupo mannaro, le anime in processione la notte di venerdì.

Riporto alle mie nari il profumo, i profumi: arance, mandarini, funghi, noci, broccoletti,  pizza, pane appena sfornato, ciambella e  zeppole.

Ritorno a raccogliere il muschio per il presepe.

Leonida Repaci  diceva: “ Sono così perché sono nato a Palmi”.

Io sono così perché sono nata al borgo natio, a dicembre in pieno autunno, tra gli ulivi del Tauro.

Forse ,per questo l’autunno è scritto nella mia anima, è “l’autunno nell’anima” come la mia silloge.

Viaggio e ritorno, leggo e scrivo, sogno e scrivo, osservo e scrivo.

Vivo d’inchiostro, di lacrime, di solitudine , di saudade.

Sogno un camino, vorrei un giorno ritornare a scrivere davanti ad un camino:

La sua fiamma ricordo… leniva ogni dolore.

Tante volte ho pianto, abbiamo pianto davanti al camino, ma la sua fiamma , il suo calore lenivano  il  dolore, asciugava le nostre lacrime.

Ritornavo a vivere per forza maggiore, per spirito  di sopravvivenza, per forza d’inerzia.

Ripartivo. E’ stato difficile ripartire,  lo è ancora oggi .

Ripartire, reinventarsi ricostruirsi, ricostruire un mondo ormai in frantumi.

La chiamano resilienza e  le donne della Piana del Tauro sono resilienti.

Niente ritornerà più, ma il camino forse, potrebbe ritornare, per sentire  ancora il calore , per non sentire il freddo serpente della solitudine.

Pensavo di farcela senza il camino, ma non è stato così.

Passa il tempo, vola il tempo, muore il tempo.

Tutto cambia, niente cambia, restano solo i ricordi: della nonna, del camino, della speranza.

Resta l’inchiostro amico fedele, il ricordo dell’anello, del bouquet di zagara e rose, del velo di pizzo francese, del  bimbo mai nato, della culla vuota  nella casa intessuta d’amore, nel paese costruito sul lago del tempo.

Condividi questo Articolo
Previous Article

Reggio Calabria: Continuano gli eventi dell’Associazione Incontriamoci Sempre

Next Article

“Il giro del mondo in 80 giorni”: un viaggio teatrale e formativo per i giovani

You may also like