Non raramente ci s’interroga sul significato che possa assumere il retrospettivo e per niente facile esercizio della memoria, in particolar modo alla luce della drammaticità di certe indiscutibili violenze di massa come quelle che si riepilogano nelle foibe. Eventi, questi, che sono certamente in grado di rievocare le altezze del più totale orrore di un massacro, le cui molteplici e complesse ragioni – di natura non solo storica, ma anche culturale – attendono, ancora oggi, di essere pienamente riconosciute e pubblicamente condivise. Anche per tali motivi quella di lunedì quattro marzo è da considerare come una data senz’altro indimenticabile, dal momento che con la promozione di un momento di riflessione sulla “Giornata del Ricordo” l’Istituto Comprensivo 1 “Francesco Pentimalli” è riuscito – per l’ennesima volta – a raccogliere la grande sfida del trattamento della memoria come fenomeno immediatamente istituzionale e collettivo. La manifestazione – eloquentemente intitolata: “Il rumore del silenzio. Foibe, tra storia ed esodo” – ha attivamente coinvolto le allieve e gli allievi frequentanti le classi terze in un articolato percorso di approfondimento, strutturato grazie alla fruizione della modalità di comunicazione della diretta streaming, che ha consentito di seguire e apprezzare il considerevole intervento della Professoressa G. Andronaco, Docente di Storia e Filosofia, come pure la toccante e densa testimonianza di Anna Maria Crasti, esule istriana e Vicepresidente del Comitato Provinciale dell’ANVGO di Milano (Associazione Friuli Venezia Giulia Dalmazia). Si è trattato per tutto ciò di un incontro dallo straordinario impatto educativo, la cui prioritaria finalità é stata quella di riflettere sulle pertinenti circostanze storiche, per rafforzare la crescita e dunque la consapevolezza che scaturisce dall’acquisizione di una vera e propria conoscenza critica.
E’ in questa direzione di senso che si è espresso il Dirigente Scolastico, Prof. Domenico Pirrotta, che nel suo efficace intervento di apertura ha tra l’altro richiamato l’attenzione sull’indubbia rilevanza dell’evento, che ha trovato la sua ragione di essere nell’importanza di “conoscere la storia delle tragedie umane, le quali nascono al di là della dimensione della politica, mentre si compendiano – in tutte le epoche – in un un’infinità di esempi della malvagità umana. L’uomo pertanto perde spesso la luce della ragione, generando questi disastri”. In tutto ciò è possibile cogliere la più feconda contestualizzazione della stessa manifestazione, la quale “intende dimostrare – come ha opportunamente aggiunto lo stesso Preside – che noi ci teniamo a esplorare e far conoscere la storia, utilizzando un approccio equilibrato e al contempo capace di non rinunciare a trasmettere i contenuti che sono da considerare veramente irrinunciabili, perché ognuno possa fare le proprie valutazioni”.
Interessante é stato anche l’intervento del Vice Sindaco e assessore alla cultura, Dott.ssa Carmen Moliterno, che ha inteso porre l’accento sui principi del metodo critico generato dalla portata dell’evento, ritenuto appunto per questo “importante per potere valutare senza fanatismi stupidi. il pensiero deve essere personale, basato sui fatti e non sul sentito dire”. Degne di attenzione sono state anche le considerazioni pronunciate dalla Prof.ssa Daniela Gianesini, che ha pensato e fortemente voluto l’incontro, nei confronti del quale ha profuso il suo operoso impegno, favorendo da una parte il complesso delle attività organizzative, dall’altra gli aspetti di natura didattico/culturale, rafforzando in questo modo l’orizzonte della storia con quello della partecipazione empatica: “Noi oggi vogliamo ricordare la “Giornata del ricordo”, istituita nel nostro Stato nel 2004 proprio per rievocare la tragedia delle Foibe. La motivazione per cui é celebrata il 10 febbraio risiede nel fatto che in quella data – precisamente nel 1947 – é stato firmato il trattato di pace di Parigi, con il quale l’Italia è stata costretta a cedere l’Istria, la Dalmazia, gran parte della Venezia Giulia alla Iugoslavia. Da quel momento in poi le truppe guidate dal Generale Tito diedero inizio ai rastrellamenti, nei quali furono coinvolti i nostri italiani che abitavano nel confine orientale. Una parte degli stessi italiani fu infoibata, mentre altri furono costretti ad allontanarsi, abbandonando case e territori, nutrendo la speranza – rivelatasi, poi, vana – di ritornare”. Interessante é stato il richiamo ai concetti di memoria e di ricordo, sviluppati nelle loro dinamiche di differenziazione e di continuità culturale, ciò nonostante doverosamente aperti al pieno e audace ristabilimento della verità storica. Richiamata e situata in una prospettiva pedagogica è la decisione di promuovere l’incontro, la cui motivazione è chiaramente indicata dalla stessa Prof.ssa Gianesini nella consapevolezza dell’esistenza di un processo di voluta archiviazione e cancellazione, che ha tentato a lungo di dimenticare quei terribili fatti e – di conseguenza – le sofferenze inflitte a migliaia e migliaia di italiani: “La nostra Istituzione scolastica ha desiderato celebrare questa giornata perché per troppo tempo questa dolorosa pagina della storia italiana é stata taciuta, dunque poco considerata e trattata. Basti pensare che, fino al 2005, non risultava in nessun manuale scolastico. É stata, insomma, rimossa dalla nostra memoria. Il nostro intento oggi é pertanto quello di richiamare alla memoria tutti quegli eventi che hanno costituito il nostro passato, per sollecitare e sensibilizzare l’animo degli allievi, perché questi drammatici eventi non si ripetano. Il percorso didattico di recupero della memoria i ragazzi hanno avuto modo d’intraprenderlo già qualche mese fa”. Significativo é stato anche il previsto intervento della Prof.ssa Andronaco, la cui appassionata esposizione ha proposto agli allievi l’ampio inquadramento storico – geografico degli evolutivi accadimenti, unitamente alla strutturazione di un’accurata analisi interpretativa: “Io devo far conoscere ai ragazzi i fatti storici, metterli a conoscenza dei fatti storici, indipendentemente dal successivo giudizio. La parte interessata dei territori è quella dei confini orientali: territori i quali nascono – sin dai tempi dell’antica Roma – come italiani. Per una molteplicità di vicissitudini storiche passano, per in determinato periodo, in mano slava, in un altro periodo in mano italiana. Territorio che subiscono finanche le guerre del Risorgimento, fino ad arrivare al governo guidato da Mussolini, il quale italianizza le popolazioni slave che si trovavano in quei territori. L’8 settembre 1943 l’Italia firma la resa incondizionata, mente in quei territori arriva un Maresciallo Tito – formatosi in Unione Sovietica – unitamente alle sue truppe, i titini, e inizia quel periodo che passa alla storia come il periodo degli infoibamenti. Tutti gli italiani verranno presi e infoibati, altri uccisi in modo diverso: con l’unica colla di essere italiani. Inizia, poi, la seconda fase, definita delle Foibe blu. La terza fase, invece, è quella successiva al 1945, ancora oggi forse negata”. Ricca di sollecitazioni educative é stata anche la parte conclusiva, dal momento che la stessa Prof.ssa Andronaco ha inteso individuare i motivi che hanno determinato e rafforzato il silenzio intorno ai drammatici accadimenti: “Questa pagina non c’era perché é vero che la storia la scrive chi vince, però é anche vero che esiste la verità dei vinti, e oggi possiamo ascoltarla”.
Straordinariamente intenso sul piano della partecipazione emotiva – nonché contraddistinto da molteplici riferimenti di natura squisitamente storiografica – é stato l’intervento dell’esule istriana Anna Maria Crasti. La sua colta, lucida e articolata testimonianza ha permesso di chiarire – tra l’altro – le ragioni del violento progetto di Slavizzazione, consistente nel fatto “che tutte le prerogative che appartenevano agli italiani di quelle terre passano ai croati e agli sloveni. Anche tutti i nomi e i cognomi vengono slavizzati”. Ragguardevole é stato il rimando agli innumerevoli e immani sacrifici – profusi in modo particolare dai più giovani – per conseguire e custodire la rivendicata identità italiana: “Noi ci siamo conquistati la nostra italianità. Noi abbiamo per diventare italiani. La nostra grande aspirazione era quella di appartenere, allora, a quel Regno d’Italia al quale ci sentivamo legati, e che abbiamo perso dopo pochi anni. Ragazzi voi siete nati italiani – morirete italiani – ma non avete idea di cosa significhi essere italiani. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale si passa alla italianizzazione forzata, contro gli slavinizzati, i croati e gli sloveni, che porta ad altri rancori. Nel 1941 l’Italia invade il Regno di Iugoslavia: e questo diventa odio puro contro gli italiani. Questa è un’occupazione che gli istriani, i friulani, i triestini e i dalmati non hanno ne chiesto, ne voluto e me desiderato, ma le cui conseguenze le abbiamo pagate esclusivamente noi”. Doloroso é stato il riferimento alle voragini denominate foibe, come pure alla loro funzione, segnatamente durante il loro sistematico e mortifero uso: “Noi non potevamo pensare che quelle foibe che erano stati degli immondezzai fini all’8 settembre del 1943 fossero diventati dei cimiteri aperti, degli inghiottitori di persone. Nelle foibe, fino all’8 settembre 1943, si buttavano carcasse di animali, si buttavano sterpaglia. Quando, pertanto, spariscono le persone noi non potevamo pensare che erano finite là dentro. Che orrore. Si sentono lamenti, ma nessuno ha il coraggio di avvicinarsi. Venivano portati via da casa e sempre torturati, poi scalzi, con dolori di torture fatte alle donne. Venivano sempre di notte, sfondavano la porta, torturati e incolonnati verso le foibe. Venivano messi – sempre nelle campagne – a due a due, con fil di ferro strettamente legato ai polsi, al punto tale che una volta riesumati hanno rinvenuto i polsi spezzati: sparano al primo, che si tira giù tutti gli altri. Fortunato é, dunque, quello che sparano, perché muore immediatamente. Si sentono i lamenti, perché muoiono dopo quindici giorni, dal momento che nelle foibe ci sono sterpaglie e speroni di roccia”. Straziante – e al contempo emozionante – é stata la viva rievocazione della personale e drammatica esperienza, narrata con notevole e dignitoso trasporto, al punto da ingenerare tra le allieve e gli allievi un intenso livello di condivisione. É finanche possibile aggiungere che, grazie all’approccio di Anna Maria Crasti, gli studenti abbiano imparato a riconoscere, esprimere e condividere un insieme di costruttive sensazioni, immergendosi in un complesso contesto storico, grazie all’intreccio tra le forme dell’empatia e la dimensione narrativa della testimonianza, che ha consentito loro di approdare a un fecondo scambio intergenerazionale: “Le cose belle di dimenticano, ma la paura non la dimentichi, anche se ero molto piccola. Saliamo sulla barca, la mamma mi tiene sulle sue ginocchia. Non posso nemmeno respirare, mentre la mamma mi diceva stai zitta, stai zitta, non ti devono vedere e non mio devono sentire”. Gli aspetti conclusivi dell’intervento hanno proposto l’importanza del fare memoria, come forza etica e trainante della coscienza, per conoscere e ricordare il passato, perché le storie raccontate e testimoniate possano cambiare il presente: “Mi vergognerei di non raccontare quello che è successo, perché é un dovere raccontare”.