Audizione del 14 marzo 2024 in Commissione Affari costituzionali nell’ambito dell’esame del disegno di legge, approvato dal Senato, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” di Michele Conìa, avvocato, sindaco di Cinquefrondi (RC) e consigliere metropolitano della città metropolitana di Reggio Calabria, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace.

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Audizione del 14 marzo 2024 in Commissione Affari costituzionali nell’ambito dell’esame del disegno di legge, approvato dal Senato, recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione

di Michele Conìa, avvocato, sindaco di Cinquefrondi (RC) e consigliere metropolitano della città metropolitana di Reggio Calabria, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace.

Avendo intuito i gravi rischi per la democrazia e la vita economica e sociale del Paese, Cinquefrondi è stato il primo comune in Italia che, nel dicembre 2018, ha adottato una delibera contro l’attuazione del federalismo fiscale e nell’aprile successivo ha avviato il ricorso contro il sistema di perequazione del Fondo di solidarietà comunale, invitando gli altri comuni a fare altrettanto e raccogliendo 600 adesioni.

Su questo progetto si sono espresse criticamente molteplici ed autorevoli voci: dalla Banca d’Italia ai magistrati contabili della Corte dei Conti, dai vescovi della Conferenza episcopale a Confindustria, fino all’Ufficio Studi Bilancio del Senato.

Anche per queste ragioni ci si chiede come sia possibile che il governo resti sordo alle preoccupazioni che, in più occasioni, sono state avanzate al fine di prevenire il rischio che l’autonomia cristallizzi o persino aumenti le divergenze territoriali tra le regioni più ricche, principalmente quelle del Nord, e quelle più povere del Sud.

A titolo esemplificativo, Banca d’Italia osserva come su alcune delle competenze che le regioni possono rivendicare ci sia in generale una necessità di coordinamento a livello quantomeno nazionale, inconciliabile con il trasferimento dei poteri alle singole regioni.

In tal senso il dossier consegnato al Senato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio parla chiaro: riporta il calcolo che, se venisse devoluta l’istruzione, servirebbero 4 miliardi per garantire il tempo pieno o le palestre in tutte le scuole. Questi servizi essenziali non sono garantiti in egual misura in ampie aree del Paese: in Sicilia solo il 10% delle bambine e dei bambini ha assicurato il tempo pieno contro il 50% dell’Emilia- Romagna.

Secondo le simulazioni Svimez le criticità emergerebbero negli anni successivi alla stipula delle intese quando si determinerebbe un extra finanziamento per le regioni ad autonomia differenziata. Lo stesso direttore dell’Istituto, Luca Bianchi, in un’intervista a “Il Messaggero” del 27 luglio scorso, ha precisato “se l’autonomia differenziata fosse stata concessa nel 2017 a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, si sarebbe generato nel successivo triennio un surplus a favore delle 3 regioni compreso tra 6 e 9 miliardi sottratti al finanziamento dei servizi nelle altre regioni”.

A contrastare gli egoismi delle aree più ricche del Paese, la cui affermazione sarebbe destinata inevitabilmente ad approfondire il solco di tutte le disuguaglianze, si è alzata preoccupata la voce dei sindaci, primi fra tutti quelli della rete Recovery Sud, poi evoluta, nel 2023, in Assi, Associazione dei sindaci del Sud Italia. Questa prima rete di amministratori del Mezzogiorno nasce nel febbraio del 2021 per chiedere al Governo di accelerare l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, straordinaria occasione per il superamento dei divari territoriali.

A questi timori si aggiunge un’ulteriore nota che i sindaci della rete Recovery Sud hanno inviato a La Gazzetta del Mezzogiorno, lo scorso 15 gennaio, in riferimento alla proposta di revisione del Pnrr ottenuta dal ministro Raffaele Fitto che colpirà soprattutto le regioni del Sud, le quali subiranno un taglio di 7,6 miliardi e di 4,4 miliardi distratti dal fondo perequativo infrastrutturale.

A proposito di fondi perequativi, i Comuni come è noto, sono l’istituzione più prossima ai cittadini e la prima a fornire loro alcuni indispensabili servizi. Tuttavia molte amministrazioni locali non hanno i fondi e gli strumenti necessari per svolgere questo ruolo, generando un divario nell’accesso a servizi essenziali tra cittadini che vivono in territori dotati di risorse e chi vive, invece, in aree svantaggiate.

Ad esempio, il comune di Cinquefrondi ha avuto sempre minori trasferimenti registrando, dal 2010 ad oggi, circa 700.000 euro in meno, calcolati sul criterio dei fabbisogni standard e della spesa storica. Stante questa situazione, non solo diventa sempre più difficile reperire dotazioni per finanziare servizi e interventi sociali indispensabili, ma anche garantire il funzionamento di palestre e di luoghi di aggregazione, cristallizzando i divari esistenti in virtù del ricorso al criterio della spesa storica.

L’art. 116 Cost., 3° comma, recita chiaramente che le funzioni che vengono trasferite alla regione possono essere attribuite a comuni, province e città metropolitane in conformità all’art. 118 della Carta Costituzionale. A tal riguardo si pensi, ad esempio, alla regionalizzazione della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali: queste materie saranno trasferite alla regione che a sua volta potrà devolverle ai comuni creando non solo un’autonomia regionale ma finanche municipale! Per quanto concerne il consumo di suolo l’autonomia differenziata non lo fermerà ma, a nostro dire, addirittura lo incentiverà. Ai sindaci non resterà altro che sorvegliare, controllare, vigilare.

I comuni che risentono del sottodimensionamento del personale (che si ripercuote inevitabilmente sulla tempistica dell’istruttoria delle pratiche), del numero ridotto di Ispettori del lavoro, del numero insufficiente degli addetti alla forestazione o di figure tecniche specializzate nell’espletamento di progetti, dell’assistenza sociale inadeguata, per i limiti stabiliti dalla spesa storica, saranno costretti a fare scelte drastiche, disattendendo bisogni ed esigenze delle comunità.

Fa riflettere, in tema di residui fiscali, l’ampia discrepanza fra tutte le entrate fiscali, pubblicamente riscosse in un determinato territorio, e le risorse che in quel territorio vengono spese. Si apprende che i residui fiscali non sarebbero all’ordine del giorno e ci si chiede, dunque, il motivo per il quale nelle pre -Intese si propone di finanziarie le regioni in due fasi: la prima ricorrendo ai criteri della spesa storica e la seconda rifacendosi proporzionalmente alla ricchezza locale prodotta. É appena il caso di ricordare che il concetto di “Residuo fiscale” venne elaborato da Buchanon, Premio Nobel per l’Economia, per trovare una giustificazione di tipo etico ai trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli svantaggiati.

Ove venisse attuato questo progetto, lo Stato, non potendo fare deficit, ridurrebbe le risorse e i servizi per le regioni più povere scardinando i principi di cittadinanza e il funzionamento non solo del sistema d’istruzione nazionale, ma anche di altri servizi pubblici, dalla sanità alle infrastrutture, dai porti agli aeroporti, dalle strade alle autostrade, alle ferrovie, al demanio statale, ai beni culturali, alla tutela dell’ambiente.  Ecco quindi che senza fondi da destinare alla perequazione fra le regioni più ricche e meno ricche, lo storico divario tra Nord e Sud si acuirebbe, verrebbe meno la tenuta del sistema Paese, emarginando i più vulnerabili e indifesi, costringendo i sindaci a fare scelte sempre più difficili per garantire servizi adeguati alla dignità dei cittadini e delle cittadine.

Molti di questi rilievi, per la verità, sono già approdati a Bruxelles con una Petizione al Parlamento Europeo, proposta dal Comitato per il ritiro di ogni autonomia differenziata per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti, in cui si chiede all’UE di impegnarsi a garantire la riduzione del divario territoriale. Come accennato precedentemente, dura anche la posizione di mons. Savino e del cardinale Zuppi, rispettivamente vicepresidente e presidente della Conferenza Episcopale italiana, che esprimono le loro preoccupazioni e invitano a rispondere all’egoismo con la solidarietà tra i vari territori.

Le attuali diseguaglianze sono fotografate dal rapporto SVIMEZ “Un Paese due scuole” che aumenterebbero con il crollo degli investimenti, con un calo del 30 per cento della spesa per alunno, con un meno 400 euro rispetto al Nord. Secondo l’Istituto, infatti, un bambino che vive nel Meridione frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto al suo coetaneo che cresce nel centro-nord. Le differenze si misurano analizzando la presenza effettiva a scuola e la possibilità di usufruire di servizi come mensa e tempo pieno. Al Sud e nelle isole sono il 79% del totale gli alunni che non hanno il sevizio mensa e solo il 18 % accede al tempo pieno contro il 48% del Centro- Nord.

Un’altra criticità riguarda la carenza di palestre con la punta più alta in Calabria che sale al 83%. Una penalizzazione per il Mezzogiorno perché la mancata attività fisica a scuola unita ad altri fattori di diseguaglianza socio-economica si riflette sulle condizioni di vita: nel Meridione uno su tre è in sovrappeso, mentre al centro Nord è uno su cinque. E sullo sfondo risalta il calo demografico: tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno si è ridotto di 250mila unità.

Il Servizio sanitario nazionale, segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali, rischierebbe il collasso. La fondazione Gimbe, nel report del febbraio 2024, denuncia un aumento della mobilità sanitaria da Nord a Sud, asserendo che ciò dipende dalle liste di attesa sempre più lunghe e dalla carenza di personale medico e paramedico che, in quest’ultimi anni, è andato in pensione. Secondo la Fondazione Gimbe, nello studio elaborato, l’autonomia differenziata in sanità darà il colpo di grazia. Afferma Nino Cartabellotta che della Gimbe è il presidente: “Aumenterà le diseguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”. A pagarne le conseguenze non solo chi non vedrà rispettato il proprio diritto alla salute, ma anche medici e personale che rischiano di veder indeboliti i propri diritti di lavoratori e lavoratrici. Dall’ultimo rapporto Svimez – Save The Children “Un Paese, due cure (7 febbraio 2024) si evince che al Sud persistono peggiori condizioni sanitarie, meno prevenzione e mortalità per tumori più elevata. Si registra una continua fuga dal Mezzogiorno per curarsi e la mobilità oncologica raggiunge il 43% in Calabria. E’ proprio la Calabria ad avere il triste primato delle migrazione sanitaria.  Infatti, nel considerare il fenomeno dei cosiddetti “viaggi della speranza”, ovvero i flussi di pazienti che si spostano da una parte all’altra dello stivale per trovare cure migliori, si scopre che nei primi quattro posti per saldo positivo si trovano le 3 Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie Emila Romagna, Lombardia, Veneto (+ 10,7 miliardi) mentre 13 Regioni, quasi tutte del Centro-Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro. E’ stato stimato, dalla fondazione Gimbe, che la fuga per curarsi al Nord vale 4.25 miliardi. Al Sud persistono peggiori condizioni sanitarie, si fa meno prevenzione oncologica, è più alta la mortalità per tumore e il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord. Aumenta anche la migrazione sanitaria dei pazienti in età pediatrica: nel 2020 la media nazionale si attesta all’8,7% con punte che arrivano al 30, 8 % della Basilicata al 26,8% dell’Umbria e 23,6% della Calabria. Le cure per i bambini registrano diseguaglianze territoriali accentuate: secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, analizzati da Svimez e Save the Children, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Le famiglie in povertà sanitaria sono 1,6 milioni di cui 700 mila al Sud. Nel Mezzogiorno la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord Est. Anche gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni: 1,3 anni in meno del centro e del Nord Ovest; 1,5 rispetto al Nord-Est. Secondo i dati desunti dall’Istituto superiore di sanità, nel biennio 2021-2022, la copertura complessiva per i programmi di screening gratuiti risulta essere dell’80% al Nord, del 76% al centro e scende al 58% al Sud. La prima regione per copertura di prevenzione oncologica è il Friuli Venezia Giulia (87.7%) e l’ultima è la Calabria dove solamente il 42,5% delle donne tra i 50 e i 69 anni si è sottoposta ai controlli. La regione Calabria devolve 77ml annui agli ospedali convenzionati accreditati privati della Lombardia, un diritto riservato solo a chi se lo può permettere. Non solo. Diversi medici di questi grandi ospedali si recano al Sud presso ambulatori privati e qui visitano, arruolano pazienti che vengono poi operati nelle regioni del nord, soprattutto Lombardia e Veneto Emilia (dati Gimbe).  Un bambino nato nel 2021 in provincia di Bolzano ha un’aspettativa di vita in buona salute di 67,2 anni. Mentre uno nato in Calabria di 54,2 anni. Un gap di ben 12 anni. E tra le bambine del Sud il divario aumenta ancora di più, con una differenza di 15 anni, secondo quanto rilevato dalla XIII edizione dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) 2022, dal titolo “Come stai?” di Save the Children. Come scrive Lino Patruno su “La Gazzetta del Mezzogiorno”: “Se sei un bambino di Crotone corri un rischio doppio di morire nel primo anno di vita rispetto a uno di Pavia. Se sei un vecchio di Potenza non puoi essere curato come uno di Padova e muori tre anni prima. Se sei di Alessandria hai l’assistenza domiciliare e a Campobasso no. Se vai a scuola a Caserta hai un insegnante ogni venti alunni e a Modena uno ogni dieci. Se sei l’università di Foggia ti danno meno fondi di quella di Bologna. Se sei un lavoratore di Cosenza ti pagano meno di uno di Verona. Se stai a Torino hai un treno ad alta velocità ogni venti minuti con Milano e fra Bari e Napoli nessuno”.

Dunque, l’autonomia regionale differenziata non porterebbe solo alla frantumazione del sistema sanitario ma anche a quello unitario di istruzione, minando nel contempo alla radice l’uguaglianza dei diritti, il diritto all’istruzione e la libertà di insegnamento (Costituzione, artt. 3, 33 e 34), ma subordinerebbe l’organizzazione scolastica alle scelte politiche, prima ancora che economiche, condizionando localmente gli organi collegiali. Tutte le materie che riguardano la scuola, “organo costituzionale”, secondo la definizione di Calamandrei, e oggi di competenza esclusiva dello Stato o concorrenti Stato -Regione, passerebbero alle regioni, con il trasferimento delle risorse umane e finanziarie. Anche i percorsi PCTO, di istruzione degli adulti e l’istruzione tecnica superiore sarebbero decisi a livello territoriale, con progetti sempre più legati alle esigenze produttive locali, così come sarebbero decisi a livello territoriale gli indicatori per la valutazione degli studenti. Anche le procedure concorsuali avrebbero ruolo regionale e più difficili diventerebbero i trasferimenti interregionali.  Cosa resterà della contrattazione nazionale? Sarebbe destinata a mantenere una residuale funzione di cornice introducendo una versione regionale delle “gabbie salariali”, con i salari di alcune aree del nord che cresceranno, o resteranno stabili, e quelli del centro-sud che diminuiranno.

Desolante il recentissimo Rapporto “Pendolaria” di Legambiente (diffuso il 16 febbraio 2024) in cui si fa il punto sul trasporto su ferro in Italia e che mette in evidenza un divario sempre più forte tra nord e sud su qualità e quantità del trasporto. A pesare soprattutto sul trasporto su ferro, con pesanti ripercussioni sul sud Italia, sono i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico e le risorse economiche inadeguate.  Grande dimenticato è il Mezzogiorno: qui le corse dei treni regionali e l’età media dei convogli sono ancora distanti dai livelli del resto d’Italia. Al sud i treni sono più vecchi, l’età media dei convogli è di 18,1 anni, in calo rispetto a 19,2 anni del 2020 e dei 18,5 del 2021, ma ancora molto lontana dai 14,6 anni del nord. Due i casi record di “anzianità” dei parchi rotabili: in Molise l’età media è di 22,6 anni, in Calabria 21,4 anni. Un altro problema irrisolto riguarda le linee ferrovie chiuse e sospese ormai da anni come ad esempio le linee a scartamento ridotto che da Gioia Tauro portano a Palmi e a Cinquefrondi in Calabria, il cui servizio è sospeso da 11 anni e dove non vi è alcun progetto concreto di riattivazione.  Infine tra le 12 linee ferroviarie peggiori 2024 quattro sono del Meridione (ex linee circumvesuviane, la linea Catania- Caltagirone-Gela, la linea Jonica, la tratta Barletta-Trani-Bari).

Con la spesa pubblica funziona un po’ allo stesso modo: è tendenzialmente più economico avere pochi centri di produzione di beni e servizi che funzionino ad alto regime, piuttosto che frammentare questi processi decisionali e produttivi in tante diverse aree del paese o in diversi settori della pubblica amministrazione. Perché così facendo le spese per il personale e per i dirigenti pubblici chiamati a occuparsi di quei processi aumentano, i tempi di decisione si allungano e il coordinamento tra le varie strutture si fa più difficoltoso.

Per questo Banca d’Italia esprime perplessità sull’effettiva convenienza di questo disegno di legge sull’autonomia differenziata per l’intero paese. Sono dubbi simili a quelli espressi, tra gli altri, dalla Commissione Europea nelle sue raccomandazioni all’Italia del maggio scorso. Scrive la Commissione: «Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di compromettere la capacità delle amministrazioni pubbliche di gestire la spesa pubblica, con un conseguente possibile impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche dell’Italia e sulle disparità regionali».

Noi non abbassiamo la guardia e continueremo a rigettare un disegno le cui decisioni negheranno il principio di eguaglianza formale e sostanziale, in contrasto con la pari dignità dei cittadini prevista dall’articolo 3 della Costituzione, che incideranno profondamente sulla vita delle persone frammentando l’assetto istituzionale del Paese, che aumenteranno le distanze tra il Nord e il Sud, le disuguaglianze sociali, la disparità dei diritti. Si prefigura un Paese diviso e frantumato, nel quale il Sud viene abbandonato al proprio destino. Un destino rispetto al quale, come classe dirigente e come cittadini, abbiamo il dovere di reagire.

Cinquefrondi, 21 marzo 2024

Sindaco

Avv. Michele Conìa

 

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