E’ arrivato anche quest’anno l’autunno!
Sembra uscito da uno dei tanti cassetti del mio cuore.
E’ arrivato per mandare via principessa estate, con il suo caldo sole e con le lunghe giornate intessute d’inchiostro.
Avevo percepito il suo arrivo a Sellia Superiore su un balconcino profumato di storia e a San Pietro Magisano, vicino al Santuario della Madonna della Luce, dove mi aveva sussurrato dolcemente: “Sto arrivando”!
Mi è venuto incontro a Chianalea, con la sua inconfondibile atmosfera e a San Marco Argentano, all’alba ha bussato alla finestra regolandomi attimi fuggenti di felicità.
E’ arrivato per mandare via l’ultimo canto della cicale, per vestirmi di nostalgia.
Lo sento danzare sulla mia pelle e nell’aria intessuta d’attesa e profumi inconfondibili, inimitabili, incancellabili: profumi autunnali.
E’ sempre uguale, il mio autunno, oggi come allora.
Mi riporta nelle “rughe” del borgo natio, dove nell’aria danzava il profumo del mosto, delle noci e dei funghi.
Saudade: il noce nel podere del nonno era bellissimo, mi rivedo bambina insieme al mio papà.
Rivedo un tappeto di foglie gialle, con sopra tante noci dal mallo profumato.
Stormi di rondini danzavano nell’aria e la fiumara, oltre il muretto, cantava nel suo eterno divenire.
Era per me una gioia raccogliere le noci .
Mio nonno Ferdinando profumava di noci, un profumo dolce e forte allo stesso tempo.
L’autunno è l’immagine di papà, che ritornava dalla montagna con un cesto pieno di funghi dall’intenso profumo. A volte nel podere trovava i “chiodini”.
Autunno è anche il profumo dei loti e dei melograni, non ultimo è la stagione delle prime piogge.
Sono lacrime di luna le prime piogge autunnali e il vento riporta l’eco di voci lontane, perse sul lago del tempo.
Autunno: terza stagione dell’anno: il rosso, il giallo e l’arancione accarezzano la mia anima.
Sono i colori che vestono la campagna, la mia piccola Amato, lo Zomaro, Mammola, l’Aspromonte e il magico Sant’Elia.
Ad Amato sui tetti consunti dal tempo, le rondini sono schierate come piccoli soldati.
Presto partiranno, e i nidi resteranno vuoti, in una lunga attesa.
Torneranno le rondini, loro ritornano sempre.
Nel bosco gli elfi, le fate e i folletti, danzano alla luce della luna e all’alba quando la rugiada, copre d’argento la montagna.
Sul monte Sant’Elia, in questa meravigliosa stagione si respira magia e sensualità.
Mentre le foglie ingiallite danzano nell’aria sospinte dal vento, odo le musiche dei satiri e delle Menadi, cavalcano gli oceani del tempo, i riti legati a Dionisio e ad Afrodite.
Nella mitologia greca, l’autunno era il momento del rapimento di Persefone da parte di Ade, re degli inferi: il momento del buio e dei campi infertili per via del dolore di Demetra, dea del raccolto e della fertilità nonché sua madre. Costretta lontana dalla figlia per sei mesi l’anno per via di una magia, si vendicò impedendo ai fiori di fiorire durante la lontananza. Analoga la storia di Mabon, dio gallese, grande cacciatore, rapito e poi salvato per riportare la luce: è la controparte maschile di Persefone. Per i celti è lui la divinità dell’equinozio, quella da celebrare alla fine del secondo raccolto, quando la natura cambia colore, comincia la caccia, si raccolgono gli ultimi frutti della terra, e si mangiano.
Il rito del Mabon, che ancora oggi si tiene a Stonehenge in suo onore, consiste proprio nel ringraziarlo mangiando i suoi doni mettendo intorno alla stessa tavola famiglia e amici. E lo stesso si faceva nell’antica Roma e in Grecia: si imbandivano le tavole con i frutti della terra “portati dalle divinità”, per ringraziarle di poter fare il pieno di energie per la stagione assicurandosi scorte di cibo.
Poi l’autunno è stato cristianizzato con San Michele Arcangelo, gli Angeli Custodi, la mia Santa Teresa del Bambin Gesù, tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti, con l’odore dei crisantemi e della cera.
Profumi che mi riportano ancora al borgo natio, che mi fanno ricordare la storia del “Ponte di San Giacomo” conosciuto dalle comari del paese, quelle poche elette che avevano il dono di comunicare con i defunti, da loro chiamati “Morticedi”.
Zia Sara portava da Messina dei buonissimi dolci insieme alla frutta martorana.
E ancora San Martino con il suo mantello e l’Immacolata Concezione, bellissima Regina del Cielo.
Il giorno dell’Immacolata, raccoglievamo il muschio per il presepe e la nonna Grazia preparava le prime zeppole.
E’ magico l’autunno, come un fantasma che danza nell’aria, mi viene vicino e sento il suo dolce respiro su di me. Mi regala oro e saudade.
Sulla spiaggia dell’Ulivarella, ormai solitaria, un gabbiano mi narra una storia che sa di tormento , di foglie morte, di pioggia, di noci e di vento.
Ancora saudade: nel terrazzo della casa dove nacqui, l’autunno profumava di dolcezza, da lassù il mio sguardo si perdeva nell’orizzonte infinito, oltre le montagne, dove sognavo ci fosse una città bagnata dal mare, con scuole di danza, canto e recitazione.
Una città con un teatro, perché nonostante la magia dell’autunno il borgo natio, già da allora,mi stava stretto.
Ma è al borgo natio che ho incontrato l’autunno, o meglio il mio personale autunno, che ogni anno, come oggi, ritorna, dai cassetti del mio cuore per farmi morire d’infelicità.
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