Si è svolto sabato pomeriggio a Gioia Tauro presso la Sala Convegni ” Le Cisterne” un importante evento, organizzato dall’associazione Culturale “Giambattista Vico” con il patrocinio del Comune di Gioia Tauro, dal tema “Ippolito un mito Perpetuo. Aspetti reconditi del nostro Santo Patrono”.
Ha aperto l’evento, magistralmente moderato da Antonio Castellano, il presidente dell’associazione Pino Toscano e subito dopo il sindaco di Gioia Tauro Simona Scarcella, si è soffermata sull’importanza del momento, sulla figura di Sant’Ippolito e sulla grande devozione dei gioiesi verso il loro patrono.
A seguire il dott. Pino Sciarrone ha incantato il numeroso e qualificato pubblico presente, con la sua articolata relazione.
Il dott. Sciarrone ha inteso dimostrare la correlazione del Santo adottato in epoca cristiana, più o meno medievale e il perché un santo da Roma è stato poi adottato da noi.
La sua ricerca è partita dagli Acta Sanctorum, dove c’è scritto che esistono ben tre Sant’Ippolito: un presbitero proveniente da Antiochia, un soldato romano e un vescovo erudito, che avrebbe voluto diventare papa, precisamente sostituire Papa Callisto, con il quale era entrato in contrasto.
Un contrasto che ha determinato il primo scisma della chiesa.
San Prudenzio parla di Sant’Ippolito e stabilisce per tutti e tre lo stesso martirio, ispirandosi a quell’Ippolito antico figlio di Teseo.
Ippolito è un personaggio pagano che amava i boschi, i cavalli ma non amava le donne.
San Prudenzio si ispira ad un affresco che rappresenta la fine dell’Ippolito greco trascinato dai cavalli.
Un affresco che c’è sopra la tomba di Sant’Ippolito presso la via Tiburtina a Roma.
Nel 1660 un ricco commerciante di Gazzaniga in provincia di Bergamo traduce le spoglie da questa catacomba, presso la chiesa di Sant’Ippolito in Gazzaniga, e recentemente una parte delle spoglie sono state portate a Gioia Tauro.
Continuando il dott. Sciarrone ha affermato:” l’indovazione da noi si spiega perché esisteva già il culto di Ippolito protetto da Artemide e del famoso mito di Oreste.
Artemide infatti ha una sorta di affinità con Oreste e con Ippolito da lei protetto per antonomasia.
Ci sono dei sarcofagi nel mondo, precisamente quattro, che raffigurano il mito di Ippolito, per esempio Goethe volle fermarsi ad Agrigento presso la Chiesa di San Nicola per ammirarlo.
In un vaso che si trova presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria e che proviene dagli scavi di Metauros, è illustrato Ippolito che cavalca il suo cavallo, seguito da un cane da caccia e sull’altra faccia la nutrice di fronte a Fedra che apprende una brutta notizia.
Inoltre c’è un corredo tombale di un defunto devoto a Ippolito racchiuso in un’unica nicchia presso il museo Metauros, dove c’è tutto quello che serve per la tragedia di Euripide: il Toro, l’uroboro, tavolette che raffigurano quelle che Fedra aveva inviato a Ippolito, la quadriga, il cocchio e la mangiatoia”.
Ancora il dott. Sciarrone, ha aggiunto che nel 1902 l’archeologo Paolo Orso invitato dal signor Visalli, ha trovato un bassorilievo oggi conservato al Museo di New York, che raffigura cavalli imbizzarriti e un auriga che si trova in difficoltà e che all’origine rappresentava una quadriga di cavalli imbizzarriti.
Paolo Orsi aveva affermato che questo era affisso su un frontone di un tempio di legno e questa è la prova del nove che Ippolito si venerava in Metauros nel V e VI secolo a. C.
I Trezeni veneravano, questo dio ed essi erano nelle rotte dei coloni che partivano dalla penisola Calcidica attraversavano il porto di Atene e di Trezene e navigavano verso le città della Magna Grecia.
Infine il dott. Sciarrone, ha sottolineato che noi veneriamo un Sant’Ippolito che si è indovato quì sulla base di un culto pagano già esistente del mito di Oreste.
Un esempio tipico di cristianizzazione, ma anche unico esempio di culto cristianizzato rimanendo immutato il nome originale.
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