INTELLIGENCE, MARIO CALIGIURI AL MASTER DELL’UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA: “L’INTELLIGENCE È LA FORMA PIÙ RAFFINATA DI INTELLIGENZA UMANA PERCHÉ CONSENTE DI ANDARE AL DI LÀ DELLE APPARENZE”

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L’etimologia della parola Intelligence è avvincente, poiché deriva da intelligenza, che richiama le forme umane della logica, della razionalità, del pensiero.

Quindi, il termine si rifà al latino “intelligere”, cioè “capire”, “comprendere” e a sua volta richiama “Inter-legere”: interpretare, collegare, vedere in profondità.

Tra i primi esempi noti nella storia, Mosè nella Bibbia quando manda i messaggeri nella Terra di Canaan e il generale cinese Sun Tzu che scrive “L’arte della guerra”, dove sostiene che il massimo successo è vincere senza combattere. E questo è possibile solo con l’uso sapiente delle informazioni, che il sovrano deve avere l’abilità di raccogliere e interpretare perché il suo più grande potere è “la divina manipolazione delle trame”.

Per Caligiuri l’autentica natura dell’Intelligence, é, come ogni altro fenomeno, culturale. E la cultura è una visione del mondo.

Appunto per questo ha richiamato l’importanza della consapevolezza sulle trasformazioni sempre più rapide del nostro tempo, dove, citando Günther Anders, l’uomo non è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, poiché è “antiquato” rispetto alle tecnologie.

Pertanto, l’intelligence deve contribuire ad accrescere la responsabilità dei comportamenti umani, essendo alla base delle decisioni che vanno assunte pensando al futuro: intrtprerare per anticipare.

Dopo aver chiarito il significato profondamente umano dell’intelligence, ne ha tracciato un rapidissimo percorso storico, partendo dai Romani, che nella colonna traiana hanno rappresentato il corpo scelto dei “frumentarii”, passando alla nascita dei moderni Servizi in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I, dove Sir Francis Walsingham organizzò una rete capillare con spie sia in patria che nelle corti europee, formate con apposite tecniche e reclutate prevalentemente nelle università e tra gli intellettuali.

Caligiuri ha poi distinto quattro fasi nell’utilizzo dell’intelligence a livello statale dal secondo dopoguerra ad oggi.

La prima fase corrisponde al periodo della Guerra Fredda, combattuta attraverso le spie e l’influenza culturale (1945-1989). Con la fine delle ideologie, si apre la seconda fase, distinta dal sistema di intercettazioni “Echelon”, curvato a esigenze economiche e commerciali (1989-2001). La terza fase prende forma dopo l’attentato alle Torri Gemelle con l’intelligence intesa come scudo per giustificare le scelte politiche, come l’invasione dell’Iraq, compiuta sulla base di false prove di intelligence (2001-2015). L’ultima fase è quella che si potrebbe considerare iniziata il 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato alla sede del giornale satirico parigino “Charlie Ebdo”: da quel giorno sia le tv che i quotidiani riportano costantemente la parola “intelligence” considerata come un’arma segreta delle democrazie per contrastare i propri nemici.

“Da allora, mi è sembrato di cogliere – ha sostenuto Caligiuri – una profonda trasformazione culturale dell’intelligence : da luogo oscuro dello Stato a strumento di difesa dei cittadini, da metodo per prevedere il futuro a metodo per interpretare il presente, da ambito esoterico per forze di polizia e operatori dei Servizi a pratica necessaria per tutti i cittadini”.

In tale ottica, appare profetica nel 2007 l’intuizione del Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga di promuovere gli studi accademici sull’intelligence, sollecitando in tal senso l’Università della Calabria.

Caligiuri ha quindi sostenuto che nell’attuale contesto caratterizzato dalla disinformazione, appare evidente la necessità di andare oltre il visibile, poiché noi siamo “come i pesci nell’acqua”,
nel senso che come i pesci non hanno consapevolezza dell’acqua in cui nuotano noi non abbiamo alcuna percezione della disinformazione in cui siamo immersi”.

Dunque, ragionare e riflettere in chiave di intelligence, andare oltre le apparenze, avere una mente ospitale esercitando un pensiero critico, può rappresentare la principale forma di difesa dalla disinformazione.

La disinformazione, infatti, non si manifesta solo attraverso le fake news – che rappresentano gli aspetti più visibili ma meno dannosi – ma è strutturalmente alimentata da Stati e multinazionali.

Siamo in presenza – ha detto Caligiuri – di una vera e propria società della disinformazione, che si manifesta in modo molto preciso con la dismisura dell’informazione da un
lato e il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro, creando un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla sempre difficile comprensione della realtà.

Per Caligiuri, “l’intelligence serve per individuare le informazioni rilevanti, contestualizzarle, unire punti che sembrano dispersi, cogliere i segnali deboli, esercitare il pensiero contrario e laterale, identificare e tenere a bada gli inevitabili bias cognitivi e, volendo allargare l’orizzonte, per difendere la democrazia da se stessa, dalle sue inevitabili degenerazioni, perché come spiegava Aristotele nel IV secolo a.C., ogni sistema politico inevitabilmente degenera e la democrazia si trasforma in demagogia, che è quello che oggi chiamiamo populismo”.

In definitiva – ha sostenuto – l’intelligence può rappresentare la conoscenza fondamentale per quelle “minoranze creative” che possono consentire il passaggio da un’epoca a un‘altra: in questo caso, siamo di fronte alla trasformazione più radicale che si sia mai verificata nella storia in cui stiamo passando dalla civiltà dell’intelligenza umana a quella dell’intelligenza artificiale. E abbiamo bisogno delle migliori e più nascoste risorse della mente.

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