Anche le date e il calendario sono un privilegio: pochissimi li decidono e tutti gli altri si adeguano. O litigano col calendario, appunto. Che Gesù Cristo sia nato il 25 dicembre di circa 2 mila 13 anni fa, ormai è ammesso sia una convenzione che non cambia il significato della nascita che si ricorda. Il litigare se Cristo è nato nella notte (perché poi di notte?) tra il 24 e il 25 dicembre o in quella tra il 6 e il 7 gennaio (quando la nostra Befana scappa sulla scopa), qualcuno riesce a spiegarmi che senso ha oggi, in epoca trasgressione consumistica e molto poco cristiana ma assolutamente planetaria?
Tutta colpa -restiamo ai due calendari cristiani- di Giulio Cesare e di papa Gregorio XIII. Sentite questa. Nell’anno 46 prima della nascita del Cristo della nota nascita, il console golpista Giulio Cesare, nell’attesa di farsi quasi imperatore e nella sua qualità di pontefice massimo decide quello che fu chiamato dalla storia ruffiana il calendario giuliano. Un calendario solare, cioè basato sul ciclo delle stagioni elaborato dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria. Fu il calendario ufficiale di Roma e dei suoi dominii. Per un bel pezzo praticamente il mondo via via cristianizzato.
Nel 1582, quasi una centinaio d’anni dopo la scoperta dell’America, papa Gregorio XIII decide che sulla scia della modernità è tempo di cambiare e aggiorna sulla base di un più preciso calcolo delle rotazioni della terra e del tempo reale delle stagioni. Arriva il calendario gregoriano e l’anno bisestile. Tuttavia diverse nazioni hanno continuato ad utilizzare il calendario giuliano, adeguandosi in tempi diversi tra il XVIII e il XX secolo. Alcune Chiese cristiane di tradizione bizantina hanno continuato a usare quello giuliano come calendario liturgico. Impero romano d’Oriente e Occidente
Il calendario gregoriano è il calendario ufficiale della maggior parte dei paesi del mondo, e in Italia funziona dal 1582, bolla papale “Inter gravissimas” promulgata dalla residenza di Villa Mondragone a Monte Porzio Catone. Praticamente, per colpa di Luigi Lilio, astronomo e matematico, viene deciso che l’anno si compone di 12 mesi di durate diverse, da 28 a 31 giorni, per un totale di 365 giorni e 6 ore. Ogni tre anni di 365, uno di 366 giorni. È bisestile un anno ogni quattro. In realtà l’anno è più corto di 11 minuti e 14 secondi e accumuliamo un giorno di ritardo ogni circa 128 anni.
Ovviamente tutta questa attenzione chiesastica-religiosa attorno al calendario era legata al calcolo della Pasqua per definire correttamente il giorno dell’equinozio che indica la resurrezione del Cristo. Il Concilio di Nicea del 325 aveva deciso che la Pasqua fosse il 21 marzo, giorno convenzionale per un equinozio che viaggiava invece per i fatti suoi. Gregorio XIII decise che andava ricalcolato tutto partendo dalle misurazioni dell’astronomo Niccolò Copernico (vi dice niente il nome?). Il nuovo calendario valeva nei Paesi della Chiesa Romana d’occidente e da lì, verso il mondo colonizzato.
A rimanere ancorati per tradizione e liturgia al calendario giuliano furono da allora solo le Chiese ortodosse russa, serba e di Gerusalemme, passando per il Patriarcato sommo delle Chiesa d’Oriente che è a Istanbul. Girata in termini personali diciamo che ho passato gran parte della mia vita professionale e vivere due Natali ogni anno, che non sempre è molto comodo. Come la notte tra il 6 e il 7 gennaio di guerra tra le montagne sopra Sarajevo, a Pale, di fonte ad un falò pagano dovetti scambiare il “Cristo è nato” con Radovan Karadzic pensandolo in cirillico: Xристос се роди.
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Ennio Remondino, (in foto) già corrispondente estero Rai e inviato di guerra. Per approfondimenti: remocontro.it
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