“Rimanete in Calabria, non andate via. Bisogna fare di tutto affinchè le intelligenze rimangano qui per far crescere questa regione, per valorizzare questo territorio. Possiamo lottare e vincere contro la criminalità organizzata grazie alla cultura e per questo, quello che stiamo facendo oggi qui, è molto importante perché parlare di ‘ndrangheta è un modo per sconfiggerla”.
Esordisce così il Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Cosenza, Marisa Manzini che, nella mattinata di ieri, ha incontrato, presso i locali del Liceo classico “Bruno Vinci”, studenti e docenti nel corso della manifestazione, promossa dall’associazione Libera, per presentare la sua recente pubblicazione “Fai silenzio ca parrasti assai: Il potere delle parole contro la ‘ndrangheta”. Un libro che raccoglie ripercorrendoli, gli anni in cui la Manzini ha esercitato la sua attività nella provincia di Vibo Valentia, restituendo un quadro particolareggiato del territorio partendo dalle indagini e dai processi che si sono susseguiti.
Presenti all’incontro il prefetto di Vibo Valentia, Giuseppe Gualtieri, don Marcello Cozzi, già vicepresidente nazionale di Libera e presidente della Fondazione nazionale “Interesse uomo”, il questore di Vibo Valentia, Andrea Grassi, il Procuratore della Repubblica, Filomena Aliberti, il comandante della Compagnia carabinieri di Tropea, Nicola Alimonda, i commissari straordinari dei Comuni di Nicotera e Limbadi, il parroco di Nicotera, don Francesco Vardè e i familiari di Stefano Piperno, l’insegnante nicoterese 34enne trovato carbonizzato all’interno della sua auto nel mese di giugno.
I lavori coordinati da Giuseppe Borrello, referente provinciale di Libera, sono stati introdotti dal dirigente scolastico, Marisa Piro che si è soffermata sull’importante ruolo che svolge una scuola che opera in un territorio di “trincea”, teatro di un continuo succedersi di eventi malavitosi che hanno posto alla ribalta della cronaca il comprensorio. “Alla nostra scuola – afferma – vengono affidati i ragazzi ed i giovani del territorio che già problematici per Dna generazionale se non hanno alle spalle famiglie supportive che diano una rotta valoriale, si presentano oppositivi, insofferenti delle regole, disturbati, disturbanti. Di fronte a questi disagi, la scuola si mobilita, se ne fa carico, si espone quotidianamente a rischi. Riafferma senza compromessi il senso delle regole e si adopera a portar fuori le identità personali a promuovere l’autostima a creare ambienti di apprendimento che favoriscano relazioni efficaci, allenino all’ascolto, al rispetto dell’altro, al senso del bene comune. La scuola in questo territorio è un cantiere in positivo fermento che si reinventa per agganciare ciascun ragazzo e accompagnarlo nel difficile cammino di vita. E’ una comunità motivata che non getta la spugna di fronte alle difficoltà e ai rischi e che ha il compito di riaffermare senza compromessi il senso delle regole. Il nostro territorio ha bisogno di testimoni coraggiosi e credibili che prospettino orizzonti ampi, che spronino all’impegno, come la Manzini, esempio di coraggio, impegno e laboriosità, di impiego generoso dei propri talenti a favore del bene comune. Magistrato di enorme spessore, esempio da seguire”.
A delineare ampiamente la “bruttura” della ‘ndrangheta, “la cosa peggiore esistente sul territorio”, ci pensa Marisa Manzini. “Secondo me la migliore risposta a quella frase di Pantaleone Mancuso, “Fai silenzio ca parrasti assai”, la stiamo dando oggi, qui, insieme a voi – afferma rivolgendosi ai numerosi studenti –. La ‘ndrangheta, infatti, impone la legge del silenzio, ma io sono convinta della forza delle parole. Dobbiamo recepire la speranza delle denunce e delle parole per cambiare la realtà attuale del territorio”.
Le varie domande poste dagli alunni permettono al magistrato di ripercorrere gli anni della sua carriera iniziata a Lamezia Terme. “Una delle vicende che ha segnato di più i miei primi anni a Lamezia – dichiara – è successa una sera. A Lamezia c’era in atto una guerra tra cosche e c’era stato l’ennesimo omicidio. Quando arrivai sul luogo del delitto il morto era un ragazzo di 17 anni che guidava al posto del padre, colui che doveva essere ucciso. Questo ci fa capire come i giovani nelle famiglie mafiose e paramafiose siano a rischio”.
“E’ fondamentale – afferma – che le scuole dove gli insegnanti svolgono una professione difficile, parlino di mafia affinchè vi aiutino a prendere la decisione corretta. Io vi chiedo di stare dalla parte giusta. Qui esiste la ‘ndrangheta, ma anche tante persone per bene, noi dobbiamo stare con questi ultimi e non giriamoci dall’altra parte facendo finta di non vedere”.
Lo Stato aiuta con ottime leggi, invidiate da altre Nazioni, punto di riferimento in Europa. “I problemi – evidenzia la Manzini –, invece, sono gli organici della polizia, dei magistrati, perché per mettere in atto le leggi ci vogliono forze umane e lo Stato deve rendersene conto altrimenti il controllo del territorio viene fatto dai mafiosi”.
Sui consigli comunali sciolti come Nicotera e Limbadi il procuratore dichiara: “Non dico che tutti gli amministratori sono stati ‘ndranghetisti, ma se sono stati sciolti hanno avuto contatti con la ‘ndrangheta. E’ facile sentire nel periodo di commissariamento i cittadini dire che prima si stava meglio. Noi non possiamo avallare questo. Dobbiamo, invece, richiedere l’applicazione delle regole, essere tutti sulla stessa linea e competere tutti nello stesso modo. Il periodo del commissariamento deve rimettere quel comune in una situazione di legalità dando una svolta”.
Sollecitata dagli studenti, il magistrato si sofferma a parlare anche di libertà di informazione, “se non si scrivesse di ‘ndrangheta i cittadini non conoscerebbero il fenomeno” e delle donne nei ruoli apicali, “quello che dobbiamo fare come donne non è necessariamente essere uguali agli uomini, ma dobbiamo raggiungere quello che è giusto riconoscendo le diversità, perché ci sono. In alcuni settori non contano, come nella magistratura, in altri hanno ragione di essere. Dobbiamo lavorare su noi stesse e renderci conto che ce la possiamo fare”.
Per Borrello i giovani rappresentano la bellezza e la risorsa del territorio dove la famiglia Mancuso, direttamente e indirettamente, ne condiziona la vita economica e sociale. “Nel nostro territorio – afferma – sono presenti la sottocultura della ‘ndrangheta e la vera cultura. E’ necessario attuare un cambiamento attraverso le parola e il coraggio di denunciare”.
Anche per il prefetto Gualtieri, “La mafia rappresenta un mondo e una mentalità da sconfiggere, è meglio, infatti, un traguardo raggiunto con fatica che una vittoria regalata. Bisogna capire che la constatazione che le mafie possono dare lavoro, riscatto sociale, è sbagliata. Colpa anche della politica che non ha l’autorevolezza che consente di creare posti di lavoro sani, perché quando la politica abbassa il profilo la lotta diventa impari”.
Coinvolgenti e dirette le parole di don Marcello Cozzi, che si è soffermato sul titolo del libro della Manzini e sul concetto del “silenzio”. “Come si reagisce quando un prepotente, Pantaleone Mancuso, ti dice, nel corso di una udienza, di stare zitta come è successo alla Manzini? – si chiede – Dinnanzi a questa affermazione io gli avrei vomitato addosso tutta la rabbia e mi sarebbero passati davanti agli occhi tutti i familiari delle vittime innocenti, avrei gridato di fare silenzio a causa della morte che hai portato in questo territorio. Dinnanzi ad una prepotenza del genere la reazione non potrebbe che essere istintiva “fai silenzio tu perché deve parlare lo Stato”. Ci sono vari tipi di silenzio. Quello dignitoso delle vittime innocenti, quanti familiari di vittime senza colpe vivono in silenzio? quante donne succubi della prepotenza mafiosa? Il silenzio sofferente ad esempio di Tita Buccafusca. Il silenzio delle vicende di cui non si parla come la storia di Annunziata Pesce scomparsa nel silenzio assoluto perché innamorata di un altro uomo. Il silenzio di tanti imprenditori, commercianti che prima di arrivare alla denuncia soffrono tantissimo per paura. Il silenzio della rassegnazione scaturito dal quello creato dalla risposta di uno Stato che non è celere. Il silenzio degli indifferenti che sono anche complici perchè si girano dall’altra parte. Il silenzio di certa Chiesa, ci sta una chiesa fatta di preti che lavorano in silenzio nei quartiere degradati (Puglisi, Diana), ma non possono essere solo i martiri a dire che c’è una positività. Il silenzio di certa politica quando questa viene vissuta come interesse personale. Il silenzio dei saggi. Il silenzio degli onesti. Mancuso grida questa frase a Marisa Manzini perché non sopportava che lo Stato fosse rappresentato da una donna. Invito, quindi, le ragazze, in questo territorio la ‘ndrangheta potrà essere scardinata solo se alzate la testa e dite ai mafiosi: voi dovete fare silenzio”.