Il mattino a casa mia

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Il  mattino a casa mia era il titolo di un tema scolastico,  che spesso veniva assegnato alla Scuola Primaria.

Oggi si chiamo testi.

Credo sia stato assegnato anche a  me, naturalmente non posso ricordare il contenuto e purtroppo  non possiedo più i quaderni.

Li avevo conservati, ma si sono persi, nel corso dei vari traslochi.

Non so perché in questi lunghe e calde giornate estive, questo titolo  è ritornato al mio cuore.

Non me lo so spiegare, io  non amo riportare al cuore i ricordi scolastici, sono pagine chiuse per sempre, molto spesso dolorose, ma in questo caso  ho deciso che per amore della Musa, che con dolcezza indescrivibile   si è presentata, non tacerò.

Ci sono nella mia vita diversi mattini che vorrei ricordare.

In primis  i mattini  trascorsi nella  casa dove sono nata.

Mi svegliavo, avvolta nel calore del letto, dove dormivo insieme a mia nonna.

Ricordo che a fare da sveglia era la moto ape di compare Peppe Pillari che partiva per il lavoro, dopo un pò anche papà si alzava per prendere il treno che lo portava a Reggio Calabria.

E ancora ricordo il vociare delle donne che si preparavano per andare a lavorare presso gli uliveti degli Acton di Leporano.

Rosa Sgrò prima di partire, lavava i panni e il rumore dell’acqua dondolava nell’aria.

Erano mattini ovattati, quasi irreali, di un mondo a parte, un mondo che sarebbe presto scomparso inghiottito dal boom degli anni 80, dalla tecnologia e dai media.

Nel 1980 dopo la morte prematura della mia meravigliosa e insuperabile nonna Grazia Mamone, ci siamo trasferiti in un’altra casa, con vista ulivi, dove ho trascorso innumerevoli mattini che mai dimenticherò.

Mattini profumati di caffè, che papà preparava prima di partire per Reggio Calabria, durante l’inverno e  prima di recarsi al podere  in estate.

Papà era uno stacanovista, non si stancava mai di lavorare.

La sua vita è stata imperniata sul lavoro.

Il profumo del caffè danzava nell’aria e arrivava  nella mia cameretta.

Il gallo di un pollaio vicino  con il suo chicchirichì mi riempiva di gioia, era un portafortuna per i miei sogni e le mie speranze, come anche il concerto degli uccellini tra gli ulivi.

Massaro Cesare passava con il suo motorino, cantando canzoni in dialetto, il suo canto era  per me  un dolce buongiorno.

La casa si trovava  sulla strada e sentivo il rumore delle macchine dirette a Gioia Tauro.

I mattini più belli, erano quelli estivi perché mi affacciavo subito alla finestra  per ascoltare anche il suono delle campane della  chiesa di  Cannavà .

Anche questi mattini erano quasi irreali, appartenevano a quel mondo lontano, che  cercava in qualche modo di sopravvivere.

Spesso mi riaddormentavo, perché trascorrevo le notti a leggere, parlare con Selene e  ad ascoltare la  musica dalla mia radiolina.

Il tempo sembrava non voler passare mai, sembrava statico, immobile e  dispettoso.

E’ invece è passato, volato  e mai più ritornerà.

Non posso non ricordare i mattini a Reggio Calabria, dove ho abitato durante gli anni che ho frequentato l’Istituto Magistrale.

Sentivo il suono della campana di una chiesa vicina, forse in via Reggio Campi, non l’ho mai scoperto.

Zia Caterina mi preparava il latte con i biscotti.

Sento ancora il sapore in bocca.

Latte e biscotti buoni in quel modo, mi sembra  non esistano più.

Forse perché tutto quello che zia Caterina preparava  era squisito, persino una semplice tazza di latte.

Dalla casa  di via Villini Svizzeri scendevo a piedi fino al Corso Garibaldi, dove  vicino si trovava l’Istituto Magistrale T. Gullì.

Scendevo da sola tante scale, a volte prima di entrare a scuola guardavo la via marina, che Gabriele  D’Annunzio aveva definito “il più bel chilometro d’Italia” e a volte  la Fata Morgana mi regalava la sua magia.

Ricordo che ero sempre triste, perché non mi trovavo bene a scuola, ero un pesce fuori dall’acqua, ero smarrita, desideravo solo che passasse in fretta.

Ricordo, in particolare che anche a gennaio recandomi a scuola non sentivo freddo, sembrava sempre primavera.

Al ritorno era tutto in salita e a volte mi fermavo un attimo per riposare.

Ma la stanchezza svaniva presto, perché pensavo ai manicaretti  che zia Caterina  preparava.

A volte quando sapevo che avrebbe preparato la  pizza ripiena , ero felice perché era buonissima.

Qualche anno fa ho provato a farla, ma l’ho dovuta buttare.

Dopo pranzo,  zia preparava il caffè e prima di mettermi a studiare, guardavamo insieme una telenovela  e lei mi faceva ridere, perché  criticava tutti i personaggi.

Ma torniamo ai mattini.

Ho infinitamente amato i mattini trascorsi alla Tonnara di Palmi nell’estate 1993, quando papà aveva affittato una casa per le vacanze.

Luglio 1993: appena sveglia mi recavo sulla spiaggia dell’Ulivarella, il mare alle 6 ,00 del mattino era cristallino, sulla spiaggia solitaria mi facevano compagnia i gabbiani , da lontano si vedevano le barchette dei pescatori.

Lo scoglio dell’Ulivo mi parlava, mi raccontava una storia: una principessa che aspettava il suo principe azzurro, un bouquet di zagara e rose, un velo di pizzo francese.

Erano mattini forieri di speranza e speranze, ormai perse sul lago lacrimoso del tempo.

Ricordo in particolare un mattino quando ho trovato tantissime conchiglie, che ancora oggi conservo.

E’ stato un mattino particolarmente felice.

Ho sempre amato e amo ancora cercare conchiglie, trovarle è una gioia.

Considero le conchiglie doni degli angeli, sono loro che  ci permettono di trovarle sulla spiaggia.

Un mattino di  quel magico luglio conobbi Rosy la mia meravigliosa amica Toscana.

Era venuta in Calabria perché suo marito preside in una scuola di Firenze, era in commissione d’esame a Palmi.

Ricordo il caffè alle ore 10,30 che intervallava le mie lunghissime letture.

Per me l’Ulivarella, il sole e  il mare, erano fonte di immensa gioia.

L’alba alla Tonnara è un alba speciale.

I mattini alla Tonnara li posso definire “I mattini dell’anima”.

Da 23 anni ormai, vivo “i mattini di Geolia” (Gioia Tauro), la città che mi  ha amorevolmente accolta.

Mi sveglio presto anche d’estate e il profumo del caffè mi avvolge in un caloroso abbraccio.

Respiro il silenzio, a volte ascolto il rumore delle macchine che corrono veloci, le sirene delle Forze dell’Ordine, le campane della Chiesa di San Gaetano.

L’appartamento dove vivo si affaccia sulla ferrovie  ormai in disuso e sugli ulivi.

Il canto degli uccelli e il tubare delle colombe confortano la mia anima.

Al mattino mi nutro di silenzio, cerco parole, arrivano, parole, danzano parole.

Saudade.

Eppure dicono che bisogna vivere  solo il presente, lasciare andare il passato.

Ma la saudade non mi vuole lasciare, resta sempre vicino a me.

Stamattina mentre preparavo il caffè, mi è parso di udire il chicchirichì del gallo, mi sono affacciata al balcone per ascoltare ancora, forse l’avevo sognato, ma l’ho udito ancora e mi sono emozionata.

Ho pensato ai mattini che non ritorneranno più, ho pensato ai sogni perduti, al profumo della terra, al rosso dei papaveri.

Non ho mai vissuto un mattino al podere del nonno, chissà come sarebbe stato?

Chissà se la casetta esiste ancora… Ci andavamo solo di pomeriggio o la sera.

A volte mi chiedo se resterò tutta la vita a Geolia o se un giorno andrò via a vivere nuovi mattini, nuove albe foriere di speranze, nuovi sogni.

E’ certo che se dovessi un giorno andare via, il ricordo dei  “mattini di Geolia”  diverranno Musa, diverranno inchiostro di perduta felicità

 

 

 

 

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