In Siria a perdere sono gli Stati Uniti.

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Dopo la caduta di Aleppo i veri vincitori della complessa partita siriana si ritroveranno a Mosca il 27 dicembre prossimo per discutere il da farsi. Russia, Iran e Turchia senza gli Stati Uniti, ancora invischiati nel periodo transitorio che precederà l’insediamento di Trump alla Casa bianca, il 20 gennaio prossimo. E’ l’ultimo corollario di una sequela di errori americani inziati con la improvvida decisione dei neocon americani di invadere l’Iraq nel 2003.

Se diamo uno sguardo alla regione infatti sappiamo che gli Stati uniti e i loro alleati isaeliani hanno solo possente nemico, l’Iran. un paese che è una dittaura religiosa sciita al cui interno accanto ai moderati e ai pragmatici esiste una corrente fondamentalista che mira a fare di questo stato la potenza egemone della regione. L’Iran volge il proprio sguardo al vicino Iraq dove il 60% della popolazione è sciita e – mentre utilizza come “quinta colonna” i confratelli sparsi in Kuwait, Bahrein, EAU e Arabia Saudita – ha proprio nella Siria di Assad il suo fedele alleato. Quella stessa Siria dove una minoranza alauita domina su una popolazione in larga parte sunnita. La Siria che ha poi sempre cercato di instaurare una specie di protettorato nel vicino Libano tramite le milizie sciite di Hezbollah.

Se c’era quindiun paese che si doveva attaccare nel 2003 era la Siria e non l’Iraq. Togliere di mezzo Assad avrebbe significato indebolire Hezbollah e favorire il processo di normalizzazione e democratizzazione del Libano, avrebbe accresciuto l’isolamento di Teheran, avrebbe tolto a Mosca uno dei pochi avamposti rimastigli nel Mediterraneo e sopratutto avrebbe evitato una sanguinosa guerra civile e il sorgere del sedicente Califfato islamico.

Adesso un pò tutti si trovano quindi spiazzati dalla situazione per come essa si è sviluppata. Putin non vuole passare per il macellaio che ha bombardato vecchi e bambini, ad Aleppo e non solo, mentre Erdogan non vuole essere più accostato ai jihadisti che ha sostenuto sottobanco insieme con gli americani e i regimi sunniti del Golfo persico e gli americani tentano di salvare il salvabile.

E mentre Trump annuncia di voler trovare un accordo con Putin stesso, quasi sicuramente dovrà invece tenere conto del fatto che la caduta di prestigio della diplomazia americana in quiesto angolo di mondo non è una sconfitta secondaria come in Libia e che pur volendo gli USA non potranno abbandonare la regione. Infine, tutti si chiedono con angoscia, un volta prese Raqqa e Mosul, dove finiranno i migliaia di combattenti del Califfato.

Una cosa è certa: la storia ha dimostrato ancora una volta che fare una guerra è cosa, complessa ma certo non impossibile. La vera grande difficoltà sta nel prevedere cosa succederà dopo. E le scelte dono decisive. Nel 1945 la saggia decisione di Washington di manenere suul trono del Giappone, l’imperatore Hirorito, permise una rapida ricostruzione del paese e d evitò il prloungamento dell’occupazione militare di quel paese a seguito dell’endemica guerriglia che si sarebbe scatenata in quel paese se il Tennò fosse stato trattato come un criminale di guerra. Quel paese infatti è un avamposto dell’Occidente in Asia, un fedele alleato degli USA e un paese democratico.

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