Che il nostro fosse un territorio che ben si presta alla vitinicoltura era un fatto ben noto giacché, basta spulciare negli archivi storici per trovare dei riscontri. Vincenzo Brancia, per esempio, nel suo celebre libro “Nicotera – Joppolo- Limbadi nel 1850” annota con la sua meticolosità che per esempio già nella sola Limbadi, a quel tempo, venivano prodotte 500 salme del prezioso liquido.
Col tempo questi vigneti – come il celebre magliocco canino di Comerconi – andarono purtroppo perduti, vuoi per l’emigrazione che falcidiò il mondo rurale e vuoi anche per la progressiva industrializzazione delle attività umane, con la conseguente perdita di importanza del settore agricolo. Solo negli ultimi anni, il settore primario ha registrato, anche dalle nostri parti, una certa ripresa con la riscoperta di antichi sapori e il conseguente recupero di molte coltivazioni.
A questo processo di rivalorizzazione del patrimonio agricolo non si è per nostra fortuna sottratto il settore enologico come dimostra il caso dell’azienda vitinicola “Casa Comerci” a Badia di Limbadi.
L’aziernda prende forma grazie al lavoro, alla fine dell’800, di Francesco Comerci, il quale successivamente la affidò alle due figlie femmine, Michelina e Rosina: di queste, la prima si dedicò poi alla coltivazione dell’Ulivo mentre la seconda, Rosina alla cura dei vigneti. La stessa Rosina prende come marito il bottaio del paese, Domenicoantonio Silipo, dal quale avrà ben sette figli, l’ultimo dei quali, Salvatore nasce proprio pochi mesi prima della morte dello stesso marito. Questo ragazzo cresce, studia e diventa avvocato e come molti giovani conterranei sceglie di emigrare stabilendosi in una regione ricca che dello sviluppo agricolo ha fatto uno dei suoi pilastri: l’Emilia romagna. Le cose forse rimarrebbero a questo punto, una delle tante storia di cui è costellata l’emigrazione calabrese se non fosse stato per il fatto che, il figlio di quest’ultimo, Domenicoantonio Silipo, così chiamato come il nonno, dopo averci meditato su per molti anni, non decidesse di tornare in Calabria e ricostituire l’azienda di famiglia, perseguendo con tenacia e determinazione, l’obiettivo di fare il vino dal Magliocco canino lavorato in purezza, per assecondare la vocazione ampelografica del territorio e per continuare a produrre in linea con il gusto e la capacità evocativa del passato.
L’azienda può contare adesso su oltre trenta ettari di cui 15 coltivati a vigneto. Di questi, due sono a Badia di Nicotera e tredici sono situati invece a Sant’Andrea di Limbadi, su terreni che si trovano ad una altezza media di 250 metri e che risultano essere di diversa composizione: limosi e sabbiosi in superficie con granito e ricchi di minerali di ferro e tendenzialmente acidi. L’allevamento delle piante – oltre 5000 ad ettaro con una rendita di un chilo e mezzo di uva a pianta, uva di tipo magliocco canino e greco – è a guyot, non particolarmente intensivo ed inoltre – fatto non certamente secondario – tutte le vigne sono condotte a regime biologico dal 2009, adottando tecniche di coltivazione mirate al rispetto dell’ambiente e della natura. La produzione, che viene indirizzata sul mercato nazionale e su quello statunitense si attestava nel 2015 sulle 45000 bottiglie.
Tra i vini prodotti troviamo innanzitutto il “Rèfulu Greco bianco di Calabria”, (13000 bottiglie prodotte) un bianco piacevole di decisa freschezza e tanta sapidità, che viene imbottigliato dopo un anno di sosta sulle fecce fini: vi è poi il “Granatu magliocco canino rosato di calabria – IGP”, freschissimo e piacevole in bocca, che sosta anche esso un anno sulle fecce fini prima di essere imbottigliato e la cui produzione si è attestata sulle 6000 bottiglie. Vi è poi il Libici (13000 bottiglie prodotte) un vino fresco e leggermente tannico che richiede dopo due settimane di macerazione, ben due anni e mezzo in vasca d’acciaio e infine il cosiddetto “Dodici a litro Magliocco canino di Calabria – Igp” (5000 bottiglie prodotte) che supera di poco i dieci gradi ed è ottenuto grazie ad una macerazione lampo: una sciabola di acidità che domina la beva.
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