Il cardinale Loris Francesco Capovilla già Segretario particolare di Papa Giovanni XXIII è stato testimone vivente del Concilio Vaticano II, già Prelato delegato Pontificio del Santuario di Loreto, il 14 ottobre 2105 ha tagliato il traguardo dei 100 anni. Nella sua lunga vita a servizio di Cristo e della Sua Chiesa, egli è stato molto amato nella Città Lauretana, ammirandone bellezza e talenti, e legato ancora da sentimenti di paternità e amicizia con qualche suo figlio spirituale. Il Cardinale Loris Francesco Capovilla è salito al cielo il 26 maggio 2016 e ci piace ricordarlo con questa intervista.
Qualche tempo fa ho avuto la gioia e l’onore di vivere questa paterna e amichevole conversazione sul Concilio che propongo alla lettura di voi cari lettori che benedico con affetto, nel ricordo di D. Loris, come amava farsi chiamare, con il nostro vivo augurio della santità e le nostre devote preghiere a lui rivolte in cielo.
– Monsignore cosa ricorda del Concilio come testimone a fianco del grande papa Giovanni XXIII, quali profondi sentimenti ci può confidare di quei giorni, quale ricordo Le è rimasto più impresso ?
Come ho avuto modo di ribadire in altre occasioni ricordo a me e a tutti che Concilio si traduce chiamata, dal verbo latino calare: chiamata a radunarsi insieme e ad ascoltare (shèma), a pregare e ad esultare (Gaudet Mater Ecclesia), a valutare i doni ricevuti dalla Provvidenza “per l’utilità comune”(1 Cor 12, 7). La chiamata è di Dio. L’ha affermato Paolo VI alla ripresa dei lavori conciliari: “Caro e venerato Papa Giovanni, siano rese grazie, siano rese lodi, a Te che, per divina ispirazione, è da credere hai voluto e convocato questo Concilio aprendo alla Chiesa nuovi sentieri e facendo scaturire sulla terra onde nuove di acque sepolte e freschissime della dottrina e della grazia di Cristo Signore”. Il meglio del Concilio, pertanto, è la divina ispirazione accolta da Giovanni XXIII, che ha convocato i Vescovi di tutto il mondo: divina ispirazione, pronta obbedienza, annuncio (Unità e carità), finalità precise (Humanae salutis), e come figlio e servo della Chiesa ha invitato tutti a riflettere un po’ meglio su ciò che Essa ha fatto nel corso dei secoli e se c’è qualcosa da migliorare o da correggere. Già nella bolla di indizione Humanae salutis, del Natale 1961, c’era tutto: fortificare la fede, rimirare la propria stupenda unità, dare maggiore efficienza alle strutture.
– Quale è la Sua valutazione complessiva sulla straordinaria ricchezza del Concilio dopo 50 anni ? Quale la sua effettiva recezione, all’interno della Chiesa e nel dialogo Chiesa-mondo ?
Il mio pensiero è questo: si parla spesso del Concilio, alcuni anche con molto entusiasmo, ma bisogna ancora molto approfondire e attuare i documenti sottoscritti sull’altare della confessione di Pietro. Anzitutto le 4 Costituzioni: la Lumen gentium, rivela la provenienza, l’itinerario da percorrere, le mete da conseguire non singolarmente soltanto, ma comunitariamente; rivela inoltre il senso di comunione e di corresponsabilità. In essa la Chiesa definisce se stessa, prima di tutto la sua provenienza da Dio, è il popolo di Dio in cammino. Popolo di Dio gerarchico e laicale, chiamato alla santità insieme ai religiosi nella vita consacrata, nella comunione col mondo dei Santi e Beati e la Madonna. A questa Chiesa, a questa gente in cammino domandiamo: che lingua parli ? E noi dobbiamo distinguere tra la comunicazione che si fa con la cultura del tempo, le varie tradizioni, e la Comunicazione di Dio, e allora dico: la lingua dei cristiani è Dei Verbum, il primato della Parola, documento dogmatico straordinario sulla divina rivelazione, in cui il cristiano ha netta la visione antropologica, teologica, apostolica della propria esistenza ed è sempre illuminato dalla Parola di vita.
Tu che sei parte viva della Chiesa di Cristo, come preghi ? Ecco allora l’insegnamento della Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia, la preghiera, prima di tutto i sacramenti specie la santissima Eucaristia, poi le tradizioni e devozioni, con un nuovo modo di esprimersi, nella lingua, in alcuni segni, e tutta la disciplina della Chiesa nel corso dei secoli si è resa più chiara, si è meglio espressa, anche nei confronti del mondo. Attraverso la Sacrosanctum Concilium si apprende a pregare meglio e a scongiurare l’Onnipotente di concedergli i doni di saperlo ascoltare, pregare e annunciare meglio.
Con la Gaudium et Spes, il cristiano, “fattosi alunno di Dio” (Gv 6, 45), avvia colloquio fraterno con i suoi simili, convinto finalmente che la strada verso l’unità è una sola: l’amore, quello cantato dall’Apostolo Paolo nel capitolo 13 della prima Lettera ai Corinti.
Dalla ricezione delle quattro costituzioni fondanti, il cristiano può concluderne cos’è il meglio e il meno compreso ed attuato del Concilio.
– Quali sono a Suo avviso i principali cambiamenti che la Chiesa ha vissuto in questi 50 anni ?
Anzitutto la medicina della misericordia, “sapendo che l’azione di Dio sull’uomo non viene mai meno” (Pacem in terris, § 159). Ricordo le parole di Papa Giovanni XXIII:
“Ora tuttavia la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi mostrando la validità della sua dottrina, piuttosto che rinnovando condanne”.
Forse ancora tutti dovremmo meglio comprendere che misericordia è un cuore che vedendo come tu vivi, si spiace, si spezza dal dolore e ti viene incontro e ti ama. Ecco allora l’attualità della Gaudium et spes: il colloquio, il dialogo col mondo. Pochi sembrano essere abilitati e abituati a questo arduo esercizio. Il dialogo è consuetudine di dibattiti pacati e prolungati, finalizzati non alla resa incondizionata degli altri, ma alla crescita di tutti gli interlocutori. Presuppone chiarezza di intelletto, bontà, sincerità, fiducia.
Gesù non ha detto di andare in tutto il mondo e portare, annunciare il Vangelo, la Buona Novella? Allora bisogna continuare la Sua Opera! Come lo facciamo? Col denaro? Con la politica umana? Con la conquista o l’oppressione? No! Ciò è sempre sbagliato, e alcuni uomini talvolta possono aver sbagliato, anche nella Chiesa Santa di Dio. La strategia di diffusione del Vangelo significa puntare l’attenzione per il rinnovamento della pastorale, coi bambini, coi giovani, con gli adulti, coi malati, coi “lontani”, mettendo l’accento su alcune urgenze nell’attuale contesto storico-culturale, questa è la via pastorale tracciata dal Concilio.
Poi la certezza che i semina Verbi, i semi della Parola sono già presenti in tutto il mondo. Compito del cristiano è di individuarli, onorarli, coltivarli (Ad Gentes, I, 11). L’avventura di Pietro nell’incontro col centurione romano Cornelio è perenne lezione e indirizzo di servizio pastorale: “in verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga” (Atti 10, 34-35). Frutto del Concilio è anche l’espandersi del volontariato con tale slancio di donazione da meritare la cifra dell’autenticità cristiana in molte iniziative, con grande spirito ecumenico di dialogo con tutti.
– Secondo l’auspicio di Papa Giovanni XXIII, si sognava il compiersi di una “nuova Pentecoste” nella Chiesa e nel mondo, può parlarci Lei da testimone così privilegiato, dello spirito del Concilio non solo come evento da commemorare ma da attuare, con la fede e la speranza specie dei Papi, da Giovanni XXIII in poi e di tutta la Chiesa come Popolo di Dio in cammino.
Nessun dubbio circa la fedeltà all’impegno originario, con piena convinzione che, come ha affermato Paolo VI “il Concilio ha indicato nuovi sentieri e fatto scaturire sulla terra onde nuove di acque sepolte e freschissime”. Giovanni Paolo II si è spinto più in là asserendo che, col Concilio “Giovanni XXIII ha aperto una nuova pagina di storia della Chiesa” (3 settembre 2000) e nel suo testamento il Papa polacco ha indicato ai suoi successori di continuare ad approfondire e scavare nel profondo il Concilio, come bussola e stella polare del secolo XXI.
Secondo l’oracolo profetico l’universalità è l’ambito dell’evangelizzazione: “Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio” (Is 54, 2). “Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno, né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti” (Is 60, 11). Si porte aperte. Sempre. Con tutti.
Il Concilio è vivo e operante, esso reca il sigillo dell’anello del pescatore: sei Papi,
fino a Francesco. Credo alla grazia di stato. In modo singolare il Papa ne è ampiamente provvisto. A Pietro, Gesù ha rivelato: “Io ho pregato per te perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”(Lc 22, 32). Venero i Papi della mia lunga vita e provo nei confronti di ciascuno qualcosa che va al di là della fede e dell’amore ed è inesprimibile. Proprio per ringraziare e tutti coloro che ne condividono il servizio e la croce in quest’epoca meravigliosa e tormentata del post-Concilio, anch’io vecchio pellegrino, ripeto con ferma convinzione: Tu sei Pietro. In te Cristo ha stabilito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione. Rammento le estreme parole di papa Giovanni: “Abbiamo molti amici, ne avremo anche di più”. Parole che infondono coraggio a procedere con fiducia, in comunione, disposti anche al martirio della pazienza…