Artur Chilingarov probabilmente sta alle profondità marine come Indiana Jones alle sabbie del deserto. l’esploratore ha due medaglie d’oro sul petto: eroe dell’Unione sovietica e della Russia di Putin e nell’agosto del 2007, a bordo del sottomarino Mir-2, piantò una bandiera russa in titanio sul fondo del Polo nord, facendo saltare sulle poltrone le diplomazie di mezzo mondo e dando il via alla più grande corsa al Polo nord dai tempi di Amundsen. “L’Artico appartiene alla Russia. Il Polo nord è un’estensione della placca continentale russa“, non fa che ripetere. E qualche ragione dalla sua in effetti c’è l’ha se persino la commissione dell’Onu sui limiti della placca continentale ha, per esempio, riconosciuto il diritto di Mosca su un’area di 52mila chilometri quadrati nel mare di Okhotsk, al largo della Kamchatka.
Le rivendicazioni russe si allargano inoltre ad altri settori in quanto Mosca aspira a controllare le dorsali Lomonosov e Mendeelev, due strutture geologiche sottomarine che si protendono nell’oceano dalla piattaforma continentale russa. Ed un dirigente della agenzia per la gestione delle risorse, ha espresso qualche tempo fa – voce riportata dal periodico geopolitico Limes – che “con buone probabilità la Russia sarà in grado in futuro di ampliare la propria piattaforma continentale di 12 milioni di chilometri quadrati, con potenziali riserve di idrocarburi non inferori ai 9-10 mila miliardi di tonnellate di combustibile convenzionale al di là delle 200 miglia marine della ZEE (Zona economica esclusiva) nell’Oceano Artico”. Queste dorsali risulterebbero infatti ricche di minerali ma la loro grande attrattiva sarebbe costituita da grandi giacimenti di gas idrato, un gas che in natura si presenta in forma solida con una concentrazione tremila volte superiore a quella del metano che si trova nella nostra atmosfera e che, in un futuro non lontano, complici i nuovi strumenti tecnologici che saranno messi a disposizione dell’industria estrattiva, non possa essere estratto e commercializzato.
Mosca deve fare però i conti con le altre potenze dell’artico come gli USA e il Canada che non vedono di buon occhio l’attivismo del Cremlino e con attori come la Norvegia e la Danimarca, e pertanto il presidente Putin in persona, ha disposto un rafforzamento del dispositivo militare russo nell’artico, ovviamente non con scopi aggressivi ma per tutelare gli interessi russi. E non va dimenticato che proprio nella Penisola di Kola, Mosca dispone della più grande squadra di sottomarini nucleari della sua marina, i temuti Ssbn. Mosca deve però continuare a investire in maniera consistente nella ricostruzione e nella modernizzazione dei suoi rompighiacci, delle petroliere artiche e delle infrastrutture costiere. Come per esempio ha fatto Gazprom che, con il solo progetto Prirazlomnaja, ha già investito 6 miliardi di dollari.
Ci sono comunque i margini per un intesa? Certo che si. Russia e Norvegia ad esempio qualche anno fa avevano intrapreso un interessante progetto per lo sfruttamento congiunto dell’imponente giacimento di Stokman con riserve stimate di 3800 miliardi di metri cubi mediante un consorzio indipendente – lo Stokman development company – posseduto al 51% da Gazprom, al 25% dalla francese Total e al 24% dalla norvegese StatoilHydro. Un matrimonio perfetto se – come dichiarato a suo tempo, da Aleksej Miller amministratore, delegato della stessa Gazprom “Noi russi disponiamo di enormi riserve mentre i norvegesi hanno grande esperienza nella produzione e nel trasporto di gas nelle condizioni spesso estreme e avverse del nord”.
E’ auspicabile inoltre che vengano sciolti i contenziosi regionali esistenti come quelli tra Canada e USA riguardante la definizione della piattaforma continentale del Mare di Beaufort o quelli tra Canada e Danimarca per il controllo della minuscola ma strategica isoletta di Hans, nello stretto di Nares, che separa la Groenlandia dall’isola di Ellesmere.
Intanto quello che si sta sciogliendo è il ghiaccio artico. E secondo alcune valutazioni, addirittura entro il 2050, il Mare polare artico, potrebbe già essere privo di ghiacci nel periodo estivo. Questo ovviamente creerà dei problemi ma può aprire anche grandi opportunità l’apertura di una ipotetica Rotta marittima settentrionale potrebbe abbreviare del 40% la distanza tra l’Europa settentrionale, l’Asia nordoccidentale e il Nordamerica. Con conseguenze inimmaginabili per il commercio mondiale.
L’Artico quindi sempre più come ponte tra le nazioni e area di svilluppo industriale e non barriera di anacronistiche guerre fredde di cui non si sente la mancanza.
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