Pubblichiamo di seguito l’intervista che il Santo Padre Francesco ha rilasciato al settimanale cattolico belga “Tertio”, in occasione della conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia: Fonte Press.vatican 7.12.2016 DOMANDA – Nel nostro Paese viviamo un momento in cui la politica nazionale vuole separare la religione dalla vita pubblica: per esempio nell’istruzione. È opinione che, in un tempo di secolarizzazione, la religione debba essere riservata alla vita privata. Come possiamo essere nello stesso tempo Chiesa missionaria, in uscita verso la società, e vivere questa tensione creata da questa opinione pubblica? PAPA – Bene, non voglio offendere nessuno, però questa impostazione è un’impostazione antiquata. Questa è l’eredità che ci ha lasciato l’Illuminismo – non è così? – in cui ogni fenomeno religioso è una subcultura. È la differenza tra il laicismo e laicità. Di questo ho parlato con i francesi… Il Vaticano II ci parla dell’autonomia delle cose, dei processi e delle istituzioni. C’è una sana laicità, per esempio la laicità dello Stato. In generale, uno Stato laico è una cosa buona; è migliore di uno Stato confessionale, perché gli Stati confessionali finiscono male. Però una cosa è la laicità e un’altra è il laicismo. Il laicismo chiude le porte alla trascendenza, alla duplice trascendenza: sia la trascendenza verso gli altri e soprattutto la trascendenza verso Dio; o verso ciò che sta al di là. E l’apertura alla trascendenza fa parte dell’essenza umana. Fa parte dell’uomo. Non sto parlando di religione, sto parlando di apertura alla trascendenza. Quindi, una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza della persona umana “pota”, taglia la persona umana. Ossia non rispetta la persona umana. Questo è più o meno quello che penso. Quindi, inviare alla sacrestia qualunque atto di trascendenza è una “asepsi”, che non ha a che fare con la natura umana, che taglia alla natura umana buona parte della vita, che è l’apertura. DOMANDA – Lei si preoccupa del rapporto interreligioso. Nei nostri tempi conviviamo con il terrorismo, con la guerra. A volte si osserva che la radice delle guerre attuali sta nella differenza tra religioni. Cosa dire riguardo a questo? PAPA – Sì, credo che questa opinione esiste. Però nessuna religione come tale può fomentare la guerra. Perché in questo caso starebbe proclamando un dio di distruzione, un dio di odio. Non si può fare la guerra in nome di Dio o in nome di una posizione religiosa. Non si può fare la guerra in nessuna religione. E perciò il terrorismo, la guerra non sono in relazione con la religione. Si usano deformazioni religiose per giustificarle, questo sì. Voi siete testimoni di questo, lo avete vissuto nella vostra patria. Ma sono deformazioni religiose, che non riguardano l’essenza del fatto religioso, che è piuttosto amore, unità, rispetto, dialogo, tutte queste cose… Ma non in quell’aspetto, ossia, che in ciò bisogna essere tassativi, nessuna religione per il fatto religioso proclama la guerra. Alcune deformazioni religiose sì. Per esempio, tutte le religioni hanno gruppi fondamentalisti. Tutte. Anche noi. E da lì distruggono, a partire dal loro fondamentalismo. Ma sono questi piccoli gruppi religiosi che hanno deformato, hanno “ammalato” la propria religione, e da qui combattono, fanno la guerra, o fanno la divisione nella comunità, che è una forma di guerra. Ma questi sono i gruppi fondamentalisti che abbiamo in tutte le religioni. C’è sempre un gruppetto… DOMANDA – Un’altra domanda sulla guerra. Commemoriamo il centenario della Prima Guerra Mondiale. Cosa direbbe al continente europeo della consegna postbellica: “Mai più la guerra!”? PAPA – Al continente europeo ho parlato tre volte: due a Strasburgo e una l’anno scorso, o quest’anno, non ricordo, quando c’è stato il Premio Carlo Magno [6 maggio 2016]. Credo che quel “Mai più la guerra!” non è stato preso sul serio, perché dopo la Prima c’è stata la Seconda, e dopo la Seconda, c’è questa terza che stiamo vivendo adesso, a pezzetti. Siamo in guerra. Il mondo sta facendo la terza guerra mondiale: Ucraina, Medio Oriente, Africa, Yemen…. È molto grave. Quindi, “Mai più la guerra!” lo diciamo con la bocca, ma intanto fabbrichiamo armi e le vendiamo; e le vendiamo agli stessi che si combattono; perché uno stesso fabbricante di armi le vende a questo e a questo, che sono in guerra fra di loro. È vero. C’è una teoria economica che non ho provato a verificare, ma l’ho letta in diversi libri: che nella storia dell’umanità, quando uno Stato vedeva che i suoi bilanci non andavano, faceva una guerra e rimetteva in equilibrio i propri bilanci. Vale a dire, è uno dei modi più facili per produrre ricchezza. Certo, il prezzo è molto alto: il sangue. Quel “Mai più la guerra!” credo che è una cosa che l’Europa ha detto sinceramente, l’ha detto sinceramente: Schumann, De Gasperi, Adenauer… lo dissero sinceramente. Ma dopo… Al giorno d’oggi mancano leader; l’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti… Bene, non voglio ripetere quello che ho detto nei tre discorsi. DOMANDA – C’è la possibilità che Lei venga in Belgio per questa commemorazione della guerra? PAPA – No, non è previsto, no…. In Belgio, ci andavo ogni anno e mezzo, quando ero [superiore] provinciale, perché lì c’era una associazione di amici di l’Università Cattolica di Córdoba. E quindi andavo lì a parlare. Loro facevano gli Esercizi [spirituali]. E andavo a ringraziarli. E mi sono affezionato al Belgio. Per me la città più bella del Belgio non è la sua ma Bruges…[ride] [Intervistatore: Devo dirLe che mio fratello è gesuita. DOMANDA – Stiamo per concludere l’Anno della Misericordia. Ci può dire come ha vissuto questo Anno e che cosa si aspetta quando l’Anno sarà finito? PAPA – L’Anno della Misericordia non è stata un’idea che mi è arrivata di colpo. Prende le mosse dal Beato Paolo VI. Già Paolo VI aveva fatto alcuni passi per riscoprire la misericordia di Dio. Successivamente San Giovanni Paolo II ha posto molto l’accento su questo con tre fatti: l’Enciclica Dives in Misericordia, la canonizzazione di santa Faustina, e la Festa della Divina Misericordia nell’Ottava di Pasqua, e lui muore in una vigilia di tale festa. E già lì ha come introdotto la Chiesa su questa strada. Io ho sentito che il Signore voleva questo. È stato… Non so come si è formata l’idea nel mio cuore… Un bel giorno ho detto a Mons. Fisichella, che era venuto per questioni del suo Dicastero: “Come mi piacerebbe fare un Giubileo, un Anno giubilare della Misericordia”. E lui mi ha detto: “Perché no?”. E così è iniziato l’Anno della Misericordia. È la migliore garanzia che non è stata un’idea umana, ma che viene dall’alto. Credo che l’ha ispirata il Signore. E evidentemente è andato molto bene. Inoltre, il fatto che il Giubileo non fosse solo a Roma, ma in tutto il mondo, in tutte le diocesi e all’interno di ogni diocesi, ha creato tanto movimento, tanto movimento… e la gente si è mossa molto. Si è mossa molto e si è sentita chiamata a riconciliarsi con Dio, a incontrare nuovamente il Signore, a sentire la carezza del Padre. DOMANDA – Il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer operò la distinzione tra la grazia “a buon mercato” e quella “a caro prezzo”. Quindi, che cosa significa per Lei misericordia “a buon mercato” o “a caro prezzo”? PAPA – La misericordia è “a caro prezzo” e “a buon mercato”. Non so com’è il testo di Bonhoeffer, non lo conosco quando spiega questo… Ma è “a buon mercato” perché non c’è da pagare niente: non si devono comprare indulgenze, è un puro regalo, puro dono. Ed è “a caro prezzo” perché è il dono più prezioso. C’è un libro fatto in base a un’intervista che mi hanno fatto, il cui titolo è “Il nome di Dio è Misericordia”. È preziosa perché è il nome di Dio: Dio è Misericordia. Mi fa ricordare quel sacerdote che avevo a Buenos Aires – che continua a celebrare la Messa e a lavorare, e ha 92 anni! –, e all’inizio della Messa dà sempre alcuni avvisi. È molto energico, 92 anni, predica molto bene, la gente lo va ad ascoltare… “Per favore, spegnete il telefonino”. E durante la Messa, cominciava l’Offertorio, si sente un telefono… Si fermò e disse: “Per favore, spengete il telefono cellulare”. E il chierichetto, che stava accanto a lui, gli disse: “Padre, è il suo”. E lui lo tirò fuori e disse: “Pronto!” [Ridono] DOMANDA – A noi pare che Lei sta indicando il Vaticano II nei tempi di oggi. Ci indica vie di rinnovamento nella Chiesa. La Chiesa sinodale… Nel Sinodo ha spiegato la sua visione della Chiesa del futuro. Potrebbe spiegarlo per i nostri lettori? PAPA – La “Chiesa sinodale”, prendo questa parola. La Chiesa nasce dalle comunità, nasce dalla base, dalle comunità, nasce dal Battesimo; e si organizza intorno ad un vescovo, che la raduna, le dà forza; il vescovo che è successore degli Apostoli. Questa è la Chiesa. Ma in tutto il mondo ci sono molti vescovi, molte Chiese organizzate, e c’è Pietro. Quindi, o c’è una Chiesa piramidale, dove quello che dice Pietro si fa, o c’è una Chiesa sinodale, in cui Pietro è Pietro, ma accompagna la Chiesa, la lascia crescere, la ascolta; di più, impara da questa realtà e va come armonizzando, discernendo quello che viene dalle Chiese e lo restituisce. L’esperienza più ricca di tutto questo sono stati gli ultimi due Sinodi. Lì si sono ascoltati tutti i vescovi del mondo, con la preparazione; tutte le Chiese del mondo, le diocesi, hanno lavorato. Tutto questo materiale è stato lavorato in un primo Sinodo, che portò i risultati alla Chiesa; e poi si è tornati una seconda volta – il secondo Sinodo – per completare tutto questo. E da lì è uscita Amoris laetitia. È interessante la ricchezza della varietà di sfumature, che è propria della Chiesa. È unità nella diversità. Questo è sinodalità. Non calare dall’alto in basso, ma ascoltare le Chiese, armonizzarle, discernere. E dunque c’è un’Esortazione post-sinodale, che è Amoris Laetitia, che è il risultato di due Sinodi, dove ha lavorato tutta la Chiesa, e che il Papa ha fatto sua. Lo esprime in maniera armonica. È interessante: tutto quello che c’è lì [in Amoris laetitia], nel Sinodo è stato approvato da più dei due terzi dei padri. E questo è una garanzia. Una Chiesa sinodale significa che si dà questo movimento dall’alto in basso, dall’alto in basso. E nelle diocesi lo stesso. Ma c’è una formula latina che dice che le Chiese sono sempre cum Petro et sub Petro. Pietro è il garante dell’unità della Chiesa. È il garante. Questo è il significato. E bisogna progredire nella sinodalità; che è una delle cose che gli ortodossi hanno conservato. E anche le Chiese cattoliche orientali. È una loro ricchezza, e lo riconosco nell’Enciclica. DOMANDA – A me sembra che il passaggio che ha fatto il secondo Sinodo dal metodo di “vedere, giudicare e agire” verso “ascoltare, comprendere e accompagnare”. È molto diverso. Queste sono le cose che io dico costantemente alla gente. Il passaggio che ha il Sinodo è di vedere, giudicare e agire e quindi ascoltare la realtà della gente, comprender bene la realtà e poi accompagnare la gente nel suo cammino… PAPA – Perché ognuno ha detto quello che pensava, senza paura di sentirsi giudicato. E tutti erano nell’atteggiamento di ascoltare, senza condannare. E poi si discuteva come fratelli nei gruppi. Però una cosa è discutere come fratelli e un’altra è condannare a priori. C’è stata una libertà di espressione molto grande. E questo è bello! DOMANDA – A Cracovia, Lei ha dato ai giovani stimoli preziosi. Quale potrebbe essere un messaggio particolare per i giovani del nostro Paese? PAPA – Che non abbiano paura; che non abbiano vergogna della fede; che non abbiano vergogna di cercare strade nuove. E ai giovani che non sono credenti: Non ti preoccupare, cerca il significato della vita. A un giovane io darei due consigli: cercare orizzonti, e non andare in pensione a 20 anni. È molto triste vedere un giovane pensionato a 20-25 anni, no? Cerca orizzonti, vai avanti, continua a lavorare in questo impegno umano. DOMANDA – Un’ultima domanda, Santo Padre, riguardo ai media: una considerazione riguardo ai mezzi di comunicazione… PAPA – I mezzi di comunicazione hanno una responsabilità molto grande. Al giorno d’oggi hanno nelle loro mani la possibilità e la capacità di formare un’opinione: possono formarne una buona o una cattiva opinione. I mezzi di comunicazione sono costruttori di una società. Di per se stessi, sono fatti per costruire, per inter-cambiare, per fraternizzare, per far pensare, per educare. In se stessi sono positivi. È ovvio che, dato che tutti siamo peccatori, anche i media possono – noi che usiamo i media, io qui sto utilizzando un mezzo di comunicazione – possono diventare dannosi. E i mezzi di comunicazione hanno le loro tentazioni. Possono essere tentati di calunnia, e quindi essere usati per calunniare, per sporcare la gente, questo soprattutto nel mondo della politica. Possono essere usati come mezzi di diffamazione: ogni persona ha diritto alla buona fama, però magari nella sua vita in precedenza, nella vita passata, o dieci anni fa, ha avuto un problema con la giustizia, o un problema nella sua vita familiare, e portare questo alla luce oggi è grave, fa danno, si annulla una persona! Nella calunnia si dice una bugia sulla persona; nella diffamazione si mostra una cartella – come diciamo in Argentina: “Se hace un carpetazo” – e si scopre qualcosa che è vero, ma che è già passato, e per il quale forse si è già pagato con il carcere, con una multa o con quel che sia. Non c’è diritto a questo. Questo è peccato e fa male. E una cosa che può fare molto danno nei mezzi di informazione è la disinformazione: cioè, di fronte a qualsiasi situazione dire solo una parte della verità e non l’altra. Questo è disinformare. Perché tu, all’ascoltatore o al telespettatore dai solo la metà della verità, e quindi non può farsi un giudizio serio. La disinformazione è probabilmente il danno più grande che può fare un mezzo, perché orienta l’opinione in una direzione, tralasciando l’altra parte della verità. E poi, credo che i media devono essere molto limpidi, molto trasparenti, e non cadere – senza offesa, per favore – nella malattia della coprofilia, che è voler sempre comunicare lo scandalo, comunicare le cose brutte, anche se siano verità. E siccome la gente ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si può fare molto danno. Quindi direi queste quattro tentazioni. Ma sono costruttori di opinione e possono costruire, e fare bene immenso, immenso. DOMANDA – Per concludere, una parola per i sacerdoti. Non un discorso, perché ci dicono che dobbiamo concludere… Cosa è più importante per un sacerdote? PAPA – È una risposta un po’ salesiana, ma mi viene dal cuore. Ricordati che hai una Madre che ti ama, e non smettere di amare tua Madre, la Vergine. Secondo: lasciati guardare da Gesù. Terzo: cercare la carne sofferente di Gesù nei fratelli: lì ti incontrerai con Gesù. Questo come base. Da qui viene tutto. Se sei un sacerdote orfano, che si è dimenticato di avere una Madre; se sei un sacerdote che si è allontanato da colui che ti ha chiamato, che è Gesù, non potrai mai portare il Vangelo. Qual è la strada? La tenerezza. Abbiano tenerezza. I sacerdoti non abbiano vergogna di avere tenerezza. Accarezzino il sangue sofferente di Gesù. Oggi c’è bisogno di una rivoluzione della tenerezza in questo mondo che patisce la cardiosclerosi. DOMANDA – La cardio…? PAPA – La cardiosclerosi. |
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