La democrazia moderna si regge sui partiti. E’ un dato di fatto incontestabile e basta prendere un qualunque manuale di scienza della politica per sincerarsene. Certo – in ogni stagione politica – ci sono stati e ci sarano movimenti e gruppi che hanno dichiarato e dichiareranno di voler cambiare il sistema o l’ordinamento di uno stato o nazione – ma sono movimenti e gruppi che accettano di misurarsi con gli altri attori politici usando le regole costituzionali.
Questi movimenti o gruppi e anche partiti – siano essi di destra o di sinistra, di solito radicali – rappresentano una parte non trascurabile dell’elettorato delle democrazie occidentali e ampliano il loro bacino elettorale sopratutto durante i periodi di crisi economica. E’ questo un dato storico statistico elettorale facilmente rintracciabile. Ma governare è una cosa complessa, giacchè, laddove questi attori politici sono andati al governo – Finlandia, Norvegia, Grecia – o ne sostengono uno di minoranza – Danimarca – si può vedere come il loro gradimento risulti in netto calo o addirittura dimezzato, mentre essi sono in crescita solo in quei paesi – Germania, Olanda, Italia, – dove queste forze sono ancora escluse dall’area del governo stesso.
Sono comunque soggetti politici con i quali tutti i partiti tradizionali devono fare i conti ed è ingiusto e sbagliato affibiare loro etichette retrodatate che non tengono conto del fatto che a livello ideologico, alo loro interno vi convivono di solito esperienze, umori, sensibilità molto diverse tra loro. E’ il caso ad esempio del Movimento 5 stelle, nel cui programma accanto a posizioni ambientaliste e di sinistra vi sono posizioni più affini a quelle professate dalla destra tradizionale.
Una cosa però distingue i partiti e i movimenti che in tutta Europa – complice la crisi economica – hanno fatto prepotentemente irruzione nella scena politica (pensiamo al partito dei Veri Finlandesi in Finlandia o a Siryza in Grecia o Podemos in Spagna) o che in seguito alla crisi e alle politiche di austerity si sono rafforzati (come l’Fn di marine Le Pen in Francia): e cioè che i secondi si presentano sotto forma di partito tradizionale o confederazioni di partiti (come Podemos) mentre il Movimento 5 stelle si presenta come un movimento di “democrazia liquida” dove non esistono circoli e sezioni aperte sul territorio, comitati provinciali e regionali, e organi direttivi ad eccezzione di un “Direttorio” costituito da alcuni parlamentari sotto l’ombra benevola di un “capo” un pò anomalo e cioè l’ex comico genovese Beppe Grillo e il supporto di una azienda – la Casaleggio e aassociati – di proprietà del figlio di uno degli ispiratori e fondatori del movimento stesso.
Fin qui potrebbe sembrare solo una struttura originale ma questa, non ha eguali o somiglianze con nessuna struttura partitica o movimentistica del Mondo occidentale. Sopratutto quando si vede che al posto delle tradizionali unità di base territoriali ci sono dei “circoli virtuali” (i cosidetti “meet-up”) dove i simpatizzanti sul web si riuniscono tramite una piattaforma digitale. Ora l’uso di internet per discutere con la propria base, pubblicizzare le proprie inziative, mobilitare i simpatizzanti intorno ad una data tematica è una cosa che io ritengo positiva, visti i tempi e l’importanza assunta dalla tecnologia. Un altro conto però, è utilizzare solo ed esclusivamente questo strumento per selezionare una classe dirigente.
I partiti potranno avere tanti difetti ma è veramente singolare se non del tutto assurdo che il processo di selezione dei candidati alla guida anche di comunità popolose come Roma sia fatto da persone chiusi dentro un sito web che valutano vedendo un video di un candidato che si propone. Intnto con questo metodo la designazione avviene in forme molte ristrette. Pensate che la candidata sindaco Virginia Raggi, poi divenuta la prima sindaca donna della Capitale, è stata votata da appena 1 764 persone su 3 862 votanti che si erano registrate alle primarie on-line del Movimento 5 stelle. Stiamo parlando neanche dello 0.01% dell’elettorato romano. Certo La Raggi poi è stata votata in elezioni vere e ha meritatamente vinto anche con un ampio distacco, ma siamo sicuri che sia democratico un metodo in cui si sia espressa solo una percentuale infinitesimale del corpo elettorale e dello stesso elettorato grillino della sola capitale – 436.340 voti alle politiche del 2013. Siamo inoltre sicuri che tale metodo possa davvero individuare la candidatura giusta? In pratica dal curriculum e da un video di pochi minuti cosa si può realmente sapere di una persona, sopratutto se questa non ha mai fatto politica prima? I risultati dicono in molti di no. In molte realtà i penstellati non sono neanche riuciti a presentare una lista e in alcuni casi eclatatanti – il loro loro candidato, o è sto cacciato dal movimento (Parma, Ragusa) o l’hanno dovuto ritirare e sostituire in corso d’opera (é il caso di Milano alle ultime comunali) per palese incompetenza o è addirittura finito sotto inchiesta come a Livorno. E’ il caso più eclatante riesca di essere proprio quello di Roma. Mentre a Torino la scelta di Chiara Appendino – una che benomale può vantare almeno 5 anni di opposizione in consiglio comunale oltre una laurea al politecnico e potrebbe rivelarsi una sorpresa – a Roma la scelta della Raggi, dimostra i limiti del metodo di selezione della classe dirigente scelto dai grillini. E non lo dico io, ma basta scorrere i commenti sul blog di Beppe Grillo degli stessi militanti ed elettori grillini per capirlo. Militanti ed elettori che rimproverano alla sindaca una gestione opaca, di essere impuntata sulla scelta di alcuni nomi – tra collaboratori e assessori – oggi indagati e che certo troveranno di cattivo gusto quanto detto dalla stessa Raggi oggi che dopo aver ignominiosamente scaricato i suoi protetti ha candidamente dichiarato che se riceverà un avviso di garanzia “valuterà” (ma quindi non è detto che lo farà) di dimettersi, contravvendo così ad uno dei pilastri fondativi dei 5 stelle che della specchiata onestà hanno fatto una delle loro bandiere.
Un avviso di garanzia ovviamente è uno strumento a tutela dell’indagato e quindi non sarebbe una condanna anzi la Raggi deve operare affinchè tutti possiamo vedere che cosa sarà capace di fare. Ma un consiglio agli amici e agli elettori che votano 5 stelle mi sento di darlo. Cambiate metodo e fatevi sentire perchè la base è quella che in questi casi deve farsi sentire. E lo può fare mediante dei piccoli accorgimenti che non snaturano il movimento ma lo rafforzerebbero a mio avviso: a) che i Meet-up non siano solo virtuali ma diventino circoli (senza tessere se volete per evitare il fenomeno dei “pacchetti di tessere” attribuiti a questo o a quel capetto locale) dove la gente si confronti – de visu – sui problemi delle rispettive collettività locali; b) che i candidati ai vari livelli (comuni, colleggi regionali, collegi o circoscrizioni per deputati e senatori) siano scelti attraverso primarie non con line ma con gazebi allestiti presso le sedi dei circoli di base tra coloro che almeno un anno prima del voto sisiano iscritti online al movimento, dichiarandone di accettarne i principi e il programma e fatta salva la possibilità dei vertici di verificarne i requisiti etico-morali (assenza di condanne penali, dati falsi ecc) e c) che i gruppi parlamentari così scelti, eleggano un coordinamento nazionale integrato da personalità esterne di indubbia fama ma vicine al movimento (docenti unievrsitari, costituzionalisti, uomini di cultura, ecc.) con a capo un candidato-premier, anche esso deisgnato della base, con primarie non on line.
Due ultime considerazioni. Virginia Raggi ha sottoscritto un contratto privato con la società Casaleggio Associati, in cui si impegna a seguire le indicazioni di Beppe Grillo e del suo staff nell’amministrazione della città. “Questo contratto – spiega il giornale Il Post – impegna gli eletti del Movimento 5 Stelle a Roma a consultare i “garanti del Movimento 5 Stelle (cioè Beppe Grillo) per ogni decisione importante: dalle nomine dei collaboratori agli atti amministrativi. Chi firma il contratto si impegna a versare 150 mila euro come danno di immagine se dovesse in qualche maniera contrariare Beppe Grillo, per esempio votando in maniera diversa dal gruppo o non rispettando le sue indicazioni sugli atti da adottare o meno”. In molti dubitano che il contratto sia legale e che un giudice possa mai riconoscere a Grillo il diritto di citare in giudizio il sindaco o un consigliere del comune di Roma per non aver rispettato le sue indicazioni. Come i parlamentari, anche i consiglieri comunali esercitano le loro funzioni senza “vincolo di mandato”, cioè non possono essere costretti a votare in un modo o in un altro dai loro partiti di appartenenza: una volta eletti sono liberi di agire secondo coscienza (regola stabilita nella Costituzione per i parlamentari e nel regolamento del Consiglio comunale di Roma per ciò che riguarda i consiglieri)”.
Intanto parlano i romani. Secondo “Termometro politico” il 45% degli elettori si ritiene insoddisfatto dopo sei mesi di giunta Raggi e un altro 7% si dice “moderatamente insoddisfatto” a fronte di un 23% che si dice “molto soddisfatto” e un 22% di “abbastanza soddisfatti”. Il 32% dei romani dichiara inoltre di non aver nessun a fiducia in Virginia Raggi come sindaco e il 17% poca poca fiducia. Sono numeri pesanti. E in primavera si vota a Parma – la città del caso Pizzarotti – dove il MS mise a segno la sua prima grande vittoria. Materiale per meditare c’è n’è…..