Claudio Magris al SBV: “Dovremmo essere più orgogliosi del nostro Mezzogiorno”.

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Com’era nelle attese della vigilia, è stata una grande serata, quella che si è tenuta domenica scorsa nella suggestiva cornice del complesso Santa Chiara a Vibo, sede del Sistema Bibliotecario Vibonese, diretto dal prof. Gilberto Floriani. Un evento di altissimo livello – dal suggestivo titolo “Viaggi, Confini, Utopie”- nel quale, gli accademici Vito Teti e Luigi M. Lombardi Satriani, hanno dialogato con uno dei più importanti scrittori contemporanei italiani, il triestino Claudio Magris.

Magris, – lo ricordiamo – ha insegnato letteratura tedesca prima presso l’Università di Torino e poi presso quella di Trieste e si impose giovanissimo, all’attenzione della critica con Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna (1963), giungendo in seguito alla celebrità, con il celebre libro Danubio del 1986 e donando in seguito alla letteratura italiana e internazionale e a noi tutti – una serie di capolavori che gli sono valsi premi e riconoscimenti in Italia e all’estero. Opere nelle quali, traspare tutta la sua meritata fama di intellettuale e di saggista e che gli hanno valso apprrezzamenti da scrittori di fama mondiale, come il Premio Nobel Mario Vargas Llosa che lo definì “uno dei più grandi scrittori dei nostri tempi” o come George Steiner che definì “indispensabili”, in quest’epoca barbarica della storia, le sue opere e la sua presenza.

Ad “accompagnarlo” in questa sua esperienza vibonese – territorio nel quale Magris si è fermato due giorni compiendo anche un piccolo excursus tra musei e luoghi di interesse – oltre allo stesso Direttore Floriani, altri due intellettuali di spicco della nostra amata Calabria: il Prof. vibonese Luigi Maria Lombardi Satriani, figura di assoluto rilievo nel panorama delle Scienze antropologiche e di intellettuale che da sempre influenza il dibattito accademico italiano e internazionale con le proprie tesi e il prof. Vito Teti, professore ordinario di Antropologia Culturale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Unical, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche “Antropologie e Letterature del Mediterraneo” e il Centro Demo-Antropologico “Raffaele Lombardi Satriani”

Magris è subito entrato in empatia con il folto pubblico che ha affollato l’auditorium del Santa Chiara, non mancando di far riferimento al luogo dove si trovava, dichiarando espressamente di essere rimasto piacevolmente colpito della accoglienza che gli era stata riservata e esortando tutti a essere più orgogliosi, come italiani, del nostro Mezzogiorno, dove si riescono ad organizzare eventi di questo tipo e tutta una serie di attività culturali di livello eccellente che contribuiscono a vivificare il tessuto sociale dei nostri territori.

Magris – dopo che gli stessi Teti e Luigi Maria Lombardi Satriani hnno illustrato le tappe più importanti e significative della sua carriera di scrittore – si è poi soffermato sull’impegno che lo scrivere comporta – anche questo una forma di “viaggio” se vogliamo. Lo scrittore triestino si è poi interrogato sul concetto di viaggio e sul senso della vita e della morte.

Un momento culturale di grande partecipazione e alta letteratura dunque, in ogni istante circondato dal silenzio e dall’attenzione dell’uditorio che, attraverso le varie opere, visioni, punti di vista critici di Magris, ha percorso uno o più viaggi pur restando fermo, rivelando un uomo di una forte carica espressiva, semplice ed ironica, ma forte e chiara incisiva persuasiva. Alla fine della serata, lo scrittore triestino, si è poi intrattenuto cordialemnte con i presenti, alcuni accorsi a farsi autografare le copie del suo ultimo libro.

La due giorni in questione – come dicevano innanzi – ha visto lo stesso Magris impegnato poi anche in un altro “viaggio”, quello alla scoperta del nostro territorio. Viaggio che è stata poi affettuosamente commentato dallo stesso Vito Teti sui social network, dove spesso l’intellettuale vibonese ci delizia con storie, racconti, spaccati di vita quotidiana e di calabresità viva e pulsante.

“La sensazione che ti ritrovi ad avertelo davanti (riferendosi a Magris) – scrive l’accademico vibonese – è quella di ritrovarsi di fronte non una persona, ma una moltitudine di persone insieme inquiete e pacificate (alla Pessoa). Una persona, che ha il dono di apparire, insieme, un antico signore borghese e un errante dei suoi romanzi, abituato ai viaggi, che non rinuncia al suo stile di camminatore e osservatore. E così, nell’arco di una giornata (trascorsa quasi sempre assieme anche a Gilberto Floriani) eccoti il dono e il miracolo di vedere un intellettuale che parla delle cose dei luoghi, della Calabria e del mondo, l’analista che fa considerazioni sulla politica italiana, e poi il grande scrittore di saggi, romanzi, libri di viaggio che ti prende per mano per accompagnarti nelle angosce del tempo presente e per indicarti piste di possibile salvataggio tra disincanto e speranza”. Una figura che unisce “il pensatore che parla di Roth e Dante, dei lager antichi e moderni, dei confini e delle frontiere, del viaggio come vita e della scrittura come una possibile via di salvezza e anche una persona tenera, premurosa, semplice e capace di ascoltare tutti e di farsi capire da tutti, il fine esperto di cose antiche che si sofferma sulle laminetta orfica, sui pinakes e ammira il Museo di Vibo, il viaggiatore incantato che guarda dal Castello verso il Poro e il mare e verso le mie montagne e i miei paesi e l’uomo da gesti semplici sche svelano una una devozione che arriva da lontano e che chiama la signora del ristorante e farsi la fotografia assieme a noi. Non so bene dirvi se Claudio Magris – prosegue lo stesso Teti – sia più grande come scrittore o come saggista, cone narratore di storie prese dai libri del mondo e dalla vita, dal suo microcosmo o dai suoi tanti mondi, o non sia invece eccezionale nel suo essere naturalmente moralista autentico capace di indignarsi di fronte alle ingiustizie del mondo, o uomo carico di pietas e di misericordia per gli ultimi, i vinti, gli scarti per cui egli scrive assegnando alla letteratura anche una forte dimensione etica (non didascalica) e di libertà, ma l’empatia che Egli stabilisce con le persone che lo ascoltano è identica a quella che mantiene con i suoi lettori. Il fatto che commuove e stupisce è che in questo “dis-ordine” del mondo, egli cerca e trova le parole che possano dare un nuovo “ordine”, o almeno la speranza di un altrove, di un’utopia a cui non possiamo rinunciare, come egli dice. La cosa bella, è che tutta la moltitudine di storie, personaggi, sentimenti che lo abitano non generano un disordine inconcludente, ma ad una totalità e ad una unità che fanno di lui un uomo naturalemente religioso, indipendentemente dal suo credo. Lo scrittore, l’intellettuale, il viaggiatore, il cantore dei microcosmi, il conoscitore delle mille lingue dell’impero, e il signore perbene, diretto, garbato, civile, che non dice mai “io”, che apprezza il bello e parla bene di scrittori, autori, amici, noti o ignoti, grandi professori o avventori del bar è la stessa persona. E la sua saggezza – conclude – è quella del grande uomo che tiene al giudizio dei grandi nomi come a quelli degll’ultimo sconosciuto o dell’ultimo appena conosciuto e che sa che sarà ricordato per quello che ha scritto ed ha fatto ma anche per il suo essere stato uomo, marito, figlio, padre, cittadino di Trieste e del mondo”.

 

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