La campagna referendaria vive le sue ultime vampate. Stasera si chiude. Il dibattito s’è infiammato cammin facendo e la tensione dialettica non manca. Teatro delle sfide decisive è diventata la popolosa frazione di Santa Domenica. Martedì sera è sceso in piazza il Comitato per il sì, l’altro ieri a chiamare a raccolta le truppe della resistenza al cambiamento di denominazione del comune è stato il Comitato per il no. Nell’affollato salone del ristorante “Il casale” il compito di spiegare la non condivisione del referendum è toccato a Girolamo Paluci, Concetto Bagnato e Tina Scordia. Tre voci convinte, un’unica scelta: Ricadi non può e non deve cambiare nome. Per rispetto alla storia e alla identità della popolazione, ma anche perché volendo costruire un futuro diverso in un momento di serie crisi del territorio, le priorità da affrontare erano altre. I tre relatori sostengono con chiarezza le loro idee. Gli applausi dell’attenta platea accompagnano i passaggi più significativi. Ogni ragionamento si mantiene nell’alveo della correttezza, anche se le puntualizzazioni su accuse e temi portati avanti dai sostenitori del sì non mancano di certo.
A tener alto il fuoco sotto la pentola è Concetto Bagnato. Sfoggiando una garbata vena ironica, rispedisce al mittente le accuse di disfattismo e populismo, riconosce la legittimità assoluta dell’iniziativa portata avanti dal consigliere regionale Michele Mirabello anche se non la condivide e, comunque, invita tutti ad evitare l’astensionismo <perchè – dice – tanta gente è morta per darci questo diritto e non dobbiamo permettere che siano altri a decidere per noi>. Aggiunge che il referendum regionale non prevede alcun quorum di votanti ed è bene che ogni cittadino esprima democraticamente la propria opinione. Poi, assieme a Tina Scordìa, affronta, spiega, motiva le ragioni del no che si dispiegano in cinque passaggi salienti. In sostanza, il no al referendum mette radici nel mancato e preventivo coinvolgimento della popolazione che, esclusa da ogni fase decisionale, non può accettare passivamente imposizioni calate dall’alto.
Peraltro, e questo è il secondo punto, il referendum viene ritenuto inutile perché la denominazione “Capo Vaticano” <è già in uso e non sarà certo la sua “ufficializzazione” a risolvere i problemi legati allo stato di degrado del territorio>. C’è poi un patrimonio identitario da difendere anche perché <l’appartenenza è un valore e, in quanto tale, va conservato, rispettato e tramandato>. Il no al cambio di denominazione viene legato anche al fatto che <il referendum promette benefici principalmente alle attività turistico-economiche, ma in realtà divide creando spaccature sociali e false aspettative amplificando sempre più la rimarcata necessità dei servizi primari nell’intera comunità>. L’ultimo motivo per sbarrare la casella del no sulla scheda referendaria nasce dalla constatazione che <la crescita di un territorio non può e non deve essere limitata solo alla denominazione perché non è un prodotto da vendere o da sfruttare, bensì una realtà da vivere, condividere e amare>. Insomma, la sfida è aperta e l’incertezza non manca. Sarà decisivo il voto di Santa Domenica (2000 votanti) dove tutto sembra correre sul filo dell’equilibrio, mentre Ricadi (700) appare schierato nettamente per il no e San Nicolò (1200) per il sì.