La struttura architettonica della Cattedrale di Maria Santissima di Romania a Tropea ha subito, come già evidenziava Corrado Bozzoni, profonde trasformazioni, restauri e rifacimenti tanto da non consentirne “una valutazione critica ed una datazione sicura”.
La facciata, parzialmente inglobata da un corpo di fabbrica porticato di collegamento tra chiesa ed episcopio, presenta un profilo a salienti e, superiormente al portale centrale archiacuto a finto protiro, un oculo cinquecentesco sormontato da nicchia che espone la scultura in marmo della Vergine con il Bambino. Altro portale, di ridotte proporzioni rispetto al principale, è posto al lato destro della prospettiva.
La parte che, comunque, meglio conserva e documenta i caratteri originari è la parete settentrionale dell’edificio la cui superficie è mossa da una serie di arcate cieche a tutto sesto e a più ghiere, in cui insiste un motivo di rombi, cromaticamente variegati, che si ripete nella sottostante cornice e che con la sua bicromia ricorre anche negli archivolti bicromi della fascia superiore. La presenza di questi elementi bicromici ha coinvolto e diviso gli studiosi di architettura medioevale tra coloro che vi riconoscono influenze sicule ed , invece, campane. L’organismo architettonico della cattedrale tropeana presenta un assetto di tipo basilicale a tre navate, suddivise da otto pilastri di tufo ottagonali, su cui si innestano archi a sesto acuto il cui profilo è segnato da una doppia ghiera. Le navate sono absidate ed il presbiterio rialzato.
La riconfigurazione barocca dell’edificio cominciò dai primi del ‘600 e continuò nel secolo successivo con i lavori che interessarono la volta, il presbiterio, le navate laterali e l’ingresso settentrionale dove il portale venne sormontato da un ovale marmoreo riproducente l’immagine della Madonna di Romania. L’appellativo di “Romania” è connesso al racconto relativo alla veneratissima icona, conservata nell’abside centrale entro una cornice argentea, che la tradizione vuole proveniente dall’Oriente iconoclasta, ma che la critica considera, piuttosto, frutto di artista locale, avvezzo alla pittura di iconografia greco-bizantina ma consapevole dei nuovi orientamenti giotteschi nell’arte italiana del XIV secolo. L’immagine fu ritenuta miracolosa per aver salvato la cittadina dal terremoto del 1638 e divenne oggetto di ampissimo culto. Tra le trasformazioni che l’edificio conobbe nel XVIII secolo è la riconfigurazione della cappella di Santa Domenica, voluta da Mons. Guglielmini (1731-51), a pianta centrale con croce inscritta, decorata con stucchi, altari in marmi policromi e un ciclo pittorico relativo alla vita della Santa.
I restauri ad pristinum finalizzati al recupero della facies normanna della cattedrale hanno comportato la scomparsa di molti apparati barocchi; ciò nonostante, essa conserva importanti testimonianze artistiche di un periodo che va dal XV al XVII secolo, quali i sepolcri Galluppi (1599), quello Cazetta (XVI secolo) e quello Scattaretica del 1651, tutti ubicati lungo la navata destra. Tra le testimonianze scultoree di altissimo livello che ancora oggi documentano lo splendore decorativo della Cattedrale e la munificenza dei suoi prelati, sono un ciborio quattrocentesco di fattura toscana che conserva ancora tracce delle originarie finiture oro, ed il maestoso gruppo marmoreo noto come Madonna del Popolo, opera di Giovan Angelo Montorsoli, allievo di Michelangelo, datato al 1555
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