La Germania piange uno dei suoi cancellieri più longevi – il secondo dopo il celebre Otto Von Bismarck – ma anche popolari assieme al socialdemocratico Willy Brandt.
Helmut Josef Michael Kohl infatti – cancelleria della Germania dal 1º ottobre 1982 al 27 ottobre 1998 – si è spento ieri all’età di 87 anni. La notizia ha subito fatto il giro del mondo e in Patria oggi tutte le bandiere dei pubblici uffici sono state esposte a mezz’asta.
Nato a Ludwigshafen am Rhein, il 3 aprile 1930, a una famiglia conservatrice: il padre è un ufficiale della finanza e la madre un’insegnante. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, come tutti i giovani dell’epoca, segue un addestramento, ma non combatterà mai: la guerra finisce infatti prima che egli parta per il fronte. Nel 1960 sposa l’interprete Hannelore Renner figlia di uno dei più grandi armatori tedeschi e dalla quale avrà due figli, Walter e Peter.
La sua passione per la politica si manifesta quando è ancora molto giovane: nel 1947 lavora nella Unione Cristiano Democratica giovanile (CDU) della sua città. Studia all’Università di Francoforte scienze politiche, storia e legge, conseguendo il dottorato in Storia ad Heidelberg. Nel 1960 viene eletto nel parlamento locale della Renania Palatinato, dove ottiene cariche di crescente prestigio fino a quando nel 1969 viene eletto Ministerpräsident: Grazie alla reputazione di capace amministratore, guadagnata piuttosto velocemente, fu Ministerpräsident fino al 1976 quando divenne il candidato della CDU al cancellierato nelle elezioni federali del 1976, vinte dalla SPD. Divenne quindi leader dell’opposizione cristiano-democratica contro il governo allora retto dal cancelliere Helmut Schmidt (SPD). Il 1º ottobre 1982 il Partito Democratico Libero (FDP) si ritirò dalla coalizione con il Partito Socialdemocratico di Germania votando una mozione di sfiducia costruttiva che deponeva Schmitt per insediare come cancelliere Helmut Kohl.
Il principale successo politico di Kohl – riconosciutogli da estimatori ed avversari – è stato il modo sicuro e deciso con cui ha guidato il processo di riunificazione della Germania iniziato con la caduta del Muro di Berlino. Dopo che l’Unione Sovietica aveva abbandonato il suo pressante controllo sulla Germania Est, Kohl approfittando della debolezza dell’URSS ormai destinata al collasso, sollecitò, con sempre maggior forza, le procedure per l’unione delle due Germanie. Nel maggio del 1990 si concluse la trattativa con la Germania Est, che prevedeva la parificazione economica e monetaria tra le due nazioni e l’unificazione dei sistemi di governo. Ufficialmente la Germania Est scomparve il 3 ottobre 1990. Ad unificazione avvenuta Kohl persuase poi il governo sovietico ad accettare anche l’idea di una Germania riunificata sotto l’alleanza della NATO e contemporaneamente, convinse il francese François Mitterrand a non opporsi, prospettandogli il ruolo di traino della nuova Germania verso il progetto di una maggiore integrazione europea.
Sull’onda della gioia per la riunificazione, Kohl stravinse le prime elezioni della Germania riunificata nel 1990 riuscendo, dopo quattro anni, a vincere sul filo del rasoio anche le elezioni del 1994, ma i grandi problemi economici del dopo riunificazione, la disoccupazione galoppante e la mancanza di riforme necessarie per il paese decretarono la sua sconfitta nelle elezioni del 1998 con la schiacciante vittoria del SPD del suo leader Gerhard Schröder. Dalla fine della sua carriera politica Kohl aveva ricoperto diverse posizioni nel mondo degli affari, per il Credit Suisse e KirchMedia.
Assieme al francese Francoise Mitterand è considerato il padre dell’Euro e della attuale architettura comunitaria. L’immagine di lui che prende la mano Mitterand davanti al sacrario di Verdun dove durante la prima guerra mondiale i soldati dei due paesi storicamente nemici in guerra tra loro per ben tre volte nel corso dela lstoria contemporanea (1871, 1914-1918 e 1939-1945) rimane l’immagine più vivida del suo cancellierato. Una sorta di testamento politico fotografico di un Europa che ha rinnegato i nazionalismi nel nome di un comune destino pur nel rispetto delle singole pluralità geopolitiche che la compongono.