Risoluzione di condanna del Parlamento europeo dove si equiparano il comunismo e il fascismo sul piano storico.

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Giovedì 19 settembre 2019, il Parlamento europeo ha sostanzialmente equiparato sul piano storico il nazismo al comunismo, segnando uno spartiacque politico-culturale decisivo per l’identità della stessa Unione Europea. La risoluzione, votata da 535 deputati a favore, 66 contro e 52 astenuti, è un atto politico vero e proprio stante il fatto che a favore hanno votato compatti il gruppo dei Socialisti e Democratici di cui è membro il PD, il gruppo del Ppe, di cui fa parte Forza Italia, il gruppo Identità e Democrazia a cui aderisce la Lega, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte Fratelli d’Italia e anche quello I parlamentari italiani di tali gruppi presenti in aula ieri.

Con la risoluzione la comoda distinzione tra “stalinismo” e “comunismo” non è più possibile associando nella stessa ,quasi sempre, la parola “stalinismo” accompagnata e usata insieme a “comunismo”, in un rifiuto dei totalitarismi nelle diverse forme storiche in cui si sono presentati e nell’evitare che si ripropongano, nella convinzione e nell’auspicio, però ancora tutto da realizzare, che non se ne riproducano di nuovi e di incogniti.

Sulla condanna al Fascismo si è tanto scritto da anni, ma da ieri con la condanna anche del Comunismo, si chiude una epoca storica di errori e di estremizzazioni delle ideologie che hanno segnato violazione dei diritti umani, difatti la risoluzione afferma che dopo Norimberga, «vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo»

In Italia, la storia del PCI, un grande partito politico, è cosa differente dal comunismo militante, dove seppur seguirono inizialmente strade parallele si arrivò poi a rompersi ogni legame con l’avvento delle violenze di piazza fino all’epilogo del terrorismo rosso il cui apice nefasto fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Dal comunismo militante nacquero primi germi che favorirono l’avvio dell’eversione e del terrorismo di sinistra rintracciati nel periodo di tensione sociale che segnò il finire degli anni sessanta e che venne in qualche modo alimentato dalla protesta operaia e sindacale e dal movimento di contestazione studentesca che prese poi il nome di sessantotto.

Le formazioni che scaturirono nel cosiddetto terrorismo rosso, perseguirono lo scontro frontale attraverso la scelta armata con altri che si  limitarono alla prassi degli scontri di piazza (Potere OperaioLotta ContinuaAvanguardia operaiaMovimento Lavoratori per il SocialismoAutonomia OperaiaLotta Comunista), mentre singoli elementi o piccoli raggruppamenti, invece, optarono per la clandestinità e la lotta armata. A partire dal 1970, con la nascita delle BR, le organizzazioni armate di sinistra andranno sempre più moltiplicandosi. Tra le più rilevanti che da li in poi nasceranno ci furono: i Nuclei Armati ProletariPrima Linea, i Proletari Armati per il Comunismo, i Comitati Comunisti Rivoluzionari, le Unità Comuniste Combattenti, le Formazioni Comuniste Combattenti e la Brigata XXVIII marzo.

Fra i fondatori delle Brigate Rosse  vi era non solo Gallinari ma tutto un gruppo di giovani emiliani, fra i quali Franceschini, fuoriusciti dal Pci. Nella prima operazione giudiziaria contro le Br nel 1972, moltissimi fra le decine di indagati in Liguria e Piemonte, risultarono iscritti al Pci e in diversi erano della sezione di Occhieppo, in provincia di Biella, paese natale di Secchia.

Piero Fassino ha onestamente descritto il comportamento del Pci in quegli anni.

«a volte, le nostre intenzioni erano confuse. Mentre alcuni compagni pensavano a una congiura di forze reazionarie, in altri la condanna del terrorismo era, come dire?, soltanto tattica. Secondo questi ultimi compagni, il terrorista sbagliava unicamente perché la forma di lotta che aveva scelto era “controproducente” e faceva il gioco del padrone. Mancava in molti di noi un giudizio negativo della violenza, da rifiutare sempre, in sé e per sé. E c’erano anche, guai a non riconoscerlo!, gruppi sia pure isolati di nostri compagni che dicevano di certe vittime: “Gli sta bene!”. Accadde, ad esempio, per il sequestro Amerio. Quest’ultima posizione si espresse nella formula: “I terroristi sono compagni che sbagliano”. Lo slogan imperversò per un paio d’anni, fino al 1977, contrapponendosi alla tesi della congiura».

Allo stesso ragionamento è arrivato Giorgio Amendola nel 1979.

«L’errore iniziale compiuto dal sindacato è stato quello di non denunciare immediatamente il primo atto di violenza teppistica compiuto in fabbrica, come quello compiuto nelle scuole. L’errore dei comunisti è stato quello di non aver criticato apertamente, fin dal primo momento, questo comportamento, per un’accettazione supina dell’autonomia sindacale e per non estraniarsi dai cosiddetti movimenti».

L’ultima affermazione di un membro comunista, occhieggiante alla Brigate Rosse, appartenne a Rossana Rossanda (fondatrice del “Manifesto” ed espulsa dal Pci): la politica disse le seguenti affermazioni, addirittura sei giorni dopo il rapimento d’Aldo Moro.

« Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle BR. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo, imparavamo allora, è diviso in due. Da una parte sta l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale (allora non si diceva “multinazionali”). Gli Stati erano il “comitato d’affari” locale dell’imperialismo internazionale. In Italia il partito di fiducia – l’espressione è di Togliatti – ne era la DC. In questo quadro, appena meno rozzo e fortunatamente riequilibrato dalla “doppiezza”, cioè dall’intuizione del partito nuovo, dalla lettura di Gramsci, da una pratica di massa diversa, crebbe il militarismo comunista degli ani cinquanta. Vecchio o giovane che sia il tizio che maneggia la famosa Ibm, il suo schema è veterocomunismo puro. Cui innesta una conclusione che invece veterocomunista non è: la guerriglia. »

L’asserzione almeno imbarazzante provocò le giuste proteste del moderato del Pci: Emanuele Macaluso.

Lo storico Gianni Oliva disse che «Il Pci era considerato un nemico dal partito armato: il suo errore, semmai, è stato quello di non capire subito il fenomeno, di parlare di provocazioni. Solo dal 1975 il Pci ha preso posizione decisa riconoscendo il terrorismo rosso. Più gravi sono state le tolleranze di molti intellettuali, dalla formula assolutoria compagni che sbagliano all’ambiguità di né con lo Stato, né con le Br. E contiguità pericolose ci sono state nell’ambiente di fabbrica, nello stesso sindacato: Guido Rossa è un operaio che ha pagato con la vita per aver denunciato queste contiguità ed era stato lasciato solo nei giorni della denuncia».

Il segretario generale della Cgil Luciano Lama gridò che il sindacalista “era stato lasciato solo”, venendo contestato dagli stessi lavoratori.

Fonti:

https://www.avvenire.it/agora/pagine/per-fare-i-conti-con-comunismo-e-nazifascismo

https://www.ilfoglio.it/bordin-line/2018/03/24/news/lalbum-di-famiglia-delle-brogate-rosse-e-del-pci-185964/

http://www.larosanera.it/le-brigate-rosse-semplici-compagni-che-sbagliano

https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/terrorismo-prosper-grazie-chi-diceva-compagni-che-sbagliano-1686554.html

https://tg24.sky.it/politica/2019/01/23/guido-rossa-storia-

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