L’analisi del CeSNi (Centro Studi Nicoterese) dopo i lavori del I° Forum sullo spopolamento: “Agire su famiglia, lavoro, salute, sviluppo e immigrazione”.

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“Il recente Forum sullo spopolamento che abbiamo tenuto a Nicotera deve costituire un occasione di riflessione per il legislatore nazionale e per quello regionale e per i comuni, per iniziare ad invertire la rotta di una regione che già rappresenta poco più del 3% della popolazione italiana (settima su venti per popolazione complesiva) e che altrimenti con questo trend, tra mezzo secolo, rischia di diventare ancora più marginale”.

E’ questo l’incipit della riflessione operata dal Centro Studi Nicoterese (CeSNi) che, a qualche giorno di distanza dai lavori del Forum, adesso, nella nuova sessione, prevista a Gennaio del 2018, cercherà di tracciare un vero e proprio programma d’azione.

“L’attuale situazione è frutto di due dinamiche: – si legge nella nota – la prima è data dal saldo naturale negativo frutto del calo delle nascite e dell’aumento dei decessi. Sul primo aspetto, appare chiaro che gli enti locali possono fare ben poco. E’ il governo nazionale che deve mettere in atto una seria politica di sostegno alle famiglie attraverso l’introduzione di misure di equità fiscale (il cd “quoziente familiare”, un sistema mediante il quale l’imposta è determinata in relazione a un coefficiente – il quoziente per l’appunto – calcolato prendendo in considerazione non soltanto il reddito complessivo della famiglia, ma anche il numero delle persone che la compongono), il sostegno alle donne, con misure che concilino i tempi della famiglia e del lavoro come la realizzazione di più asili nido (anche aziendali e di fabbrica) e l’obbligo per i comuni di adottare un piano comunale degli orari e ovviamente, misure a favore dell’occupazione dato che meno lavoro c’è e più i giovani stentano a lasciare la casa dei genitori, a sposarsi e quindi a procreare”.

“Per quanto riguardo il secondo aspetto – la mortalità – qui Stato, regione e comuni, ognuno secondo le proprie competenze e responsabilità, devono innazitutto puntare al miglioramento del sistema sanitario e al contrasto di quei comportamenti (cattiva alimentazione, fumo, abuso di alcool e di droghe, ecc) che sono cause di morte, perchè aumentano le probabilità di patologie come quelle a carico del sistema cardiocircolatorio o il diabete; dall’altro lato è necessario una politica che si ponga l’obiettivo di contrastare ogni forma di inquinamento che è sicuramente una concausa dell’aumento delle patologie tumorali anche attraverso la tutela della aree verdi, lo stop all’inutile consumo di suolo e lo sfruttamento di fonti alternative di energia e promuovere – per esempio attraverso lo sport (a cominciare dalle scuole) – un sistema di vita più salutistico”.

“L’altra dinamica – si legge ancora nella nota – è data dal saldo migratorio anch’esso da anni ormai costamentemente negativo. Qui sia lo stato che gli enti locali possono e devono agire: il primo promuovendo lo sviluppo infrastrutturale del Meridione, il cui gap col resto d’Italia, penalizza il turismo, la capacità di impresa e l’accesso ai mercati (come testimonia il caso emblematico dell’hub portuale di Gioia tauro) e i secondi proseguendo nello sforzo intrapreso dalla Regione Calabria di continuare a spendere i preziosissimi fondi strutturali comunitari sugli assi di sviluppo che la natura stessa e la vocazione del territorio ci impongono di promuovere: turismo, beni culturali, agricoltura di qualità, piccole e medie imprese. La nostra regione infatti, possiede delle bellezze storiche, artistiche e naturalistiche che, se adeguatamente valorizzate, possono fare la differenza purchè anche qui si agisca in una logica di progettualità unitaria cioè pochi grandi progetti ma fatti bene e realizzati in tempi certi. Tra questi appare necessario anche un serio piano di recupero del patrimonio edilizio dei centri storici dei comuni calabresi che sono uno scrigno di tesori. Un saldo migratorio negativo che può essere poi infine mitigato anche da una seria politica dell’immigrazione fondata sull’accoglienza diffusa che ha fatto la fortuna di comunità in via di spopolamento come Riace, Camini e Acquaformosa”.

“Infine – conclude la nota – è auspicabile una seria azione volta ad incoraggiare i comuni a dare vita ad unità amministrative più grandi di quelle attuali. Quattrocentocinque comuni sono troppi per una regione che conta poco meno di due milioni di abitanti. In Calabria infatti, il 63% dei comuni stessi ha meno di tremila abitanti ma in questi vive solo il 19% della popolazione regionale complessiva. E comuni così piccoli, non riescono più ad assicurare i servizi essenziali e a sua volta, la mancanza di servizi è la principale causa dopo l’assenza di occasioni di lavoro, che spinge la gente ad andare via da questi centri urbani e anche dalla Calabria stessa”.

“Su questi temi – conclude la nota – ci ritroveremo tra qualche mese a Gennaio 2018, per dare vita a  un programma di cose concrete da portare all’attenzione delle istituzioni.

 

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