I resti di un “Elephas antiquus”, elefante dalle zanne dritte, sono stati rinvenuti lo scorso 17 settembre sulla riva meridionale del Lago Cecita.
Dell’importante rinvenimento si è discusso stamattina in una conferenza pubblica presso il Centro visite “Cupone” di Camigliatello Silano presente il Presidente della Giunta regionale, Mario Oliverio, di Giovanna Verbicaro, della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio per Cosenza, Catanzaro e Crotone, di Antonella Minelli, dell’Università degli studi del Molise, di Felice Larocca, dell’Università degli studi di Bari e di Mario Pagano, della Soprintendenza per Cosenza, Catanzaro e Crotone, del sindaco di Spezzano della Sila, Salvatore Monaco e del commissario del Parco nazionale della Sila, Sonia Ferrari.
L’elefante dalle zanne dritte (Palaeoloxodon antiquus (nel disegno) è una specie estinta di elefante, vissuta nel Pleistocene medio e superiore (all’incirca da 550.000 a 70.000 anni fa). Si ritiene che possa essersi evoluto agli inizi del Pleistocene dalle forme asiatiche di Elephas planifrons e diffusosi poi in tutta Europa. Con i suoi quasi 4 metri di altezza media, questo elefante aveva dimensioni simili ai più grandi esemplari di elefante africano ed era perciò notevolmente più grande del contemporaneo mammut lanoso (Mammuthus primigenius); il cranio, relativamente piccolo in proporzione al resto del corpo, aveva una forma stretta e allungata, mentre le zannescendevano quasi diritte a sfiorare il suolo, curvandosi leggermente solo all’estremità. Le zampe erano in proporzione più lunghe, sia rispetto agli elefanti attuali che ai mammut. Viveva in foreste o in praterie ricche di macchie di alberi decidui ma alcuni ritrovamenti indicano anche una penetrazione nelle foreste di conifere della fascia temperata. Si tratta di un animale tipico dei periodi interglaciali europei. Con i ritorni al clima freddo, l’Elephas antiquus si ritirò verso sud lasciando la zona centroeuropea al contemporaneo mammuth delle steppe (Mammuthus trogontherii). Nel secondo periodo interglaciale, l’animale raggiunse il Mediterraneo, dove diede vita a numerose sottospecie (o specie vere e proprie, a seconda delle classificazioni), tra cui alcune forme nane come Palaeoloxodon falconeri e subì la caccia da parte dell’uomo. Gli ultimi esemplari sono documentati in Spagna, dopodiché l’animale si estinse alla fine del Würm. Su di una roccia del sito portoghese di Vermelhosa, adiacente al Parco della valle del Côa, è stata documentata una figura paleolitica graffita raffigurante la testa di un Palaeoloxodon antiquus. Riguardo al Portogallo, João Luís Cardoso afferma che la specie è sopravvissuta sino al 30.000 BP. A Castel Cellesi (VT) è la parziale musealizzazione in loco di uno scavo che, dopo il rinvenimento di alcuni denti nel 2013, sta portando alla luce i resti di un individuo adulto simile a quello viterbese, con la collaborazione del Museo di Paleontologia dell’Università di Firenze.
Nel corso dell’incontro è stata messa in evidenza la tesi sostenuta da tempo da studiosi e archeologi, circa l’importanza del comprensorio montano della Sila Grande, sia per la conoscenza del patrimonio “paleo-archeologico” che per le dinamiche insediative che hanno interessato la zona, dalla Preistoria all’Alto Medioevo.
“I risultati di questa eccezionale e straordinaria scoperta – ha rimarcato Oliverio, nell’occasione – sono importantissimi perché fanno emergere la ricchezza complessiva del nostro territorio” e lo stesso Presidente ha auspicato che questi resti e altri che potranno essere trovati siano allocati in una struttura museale ad hoc.
Oliverio ha poi aggiunto che la Sila debba candidarsi ad ad essere riconosciuto come Patrimonio dell’Unesco annunciando infine che a Gennaio del 2018 la Regione presenterà un progetto di valorizzazione e di rilancio di questo stesso territorio.
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