Reggio Calabria, 7 dic. (askanews) – “Lucano non può gestire la cosa pubblica né gestire denaro pubblico mai ed in alcun modo.
Egli è totalmente incapace di farlo e, quel che ancor più rileva, in nome di principi umanitari ed in nome di diritti costituzionalmente garantiti viola la legge con naturalezza e spregiudicatezza allarmanti”: sono parole pesantissime quelle riportate nelle motivazioni della sentenza del Tribunale del Riesame che il 16 ottobre scorso ha sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora fuori dal comune di Riace, per Mimmo Lucano, il sindaco del piccolo comune della locride sospeso nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla procura di Locri. A Riace Lucano per anni ha ricoperto la carica di primo cittadino e ha dato avvia alla creazione del cosiddetto “modello Riace”, divenuto un simbolo in tutto il mondo di un sistema perfetto tra accoglienza e integrazione.
Un modello su cui, però adesso i giudici dello Stretto scrivono a chiare lettere che “Lucano, afflitto da una sorta di delirio di onnipotenza e da una volontà pervicace ed inarrestabile di mantenere quel sistema Riace rilucente all’esterno, ma davvero opaco e inverminato da mille illegalità al suo interno”.
Il sindaco del piccolo comune della fascia jonica della provincia di Reggio Calabria il due ottobre scorso era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia ai domiciliari in quanto accusato, dalla Procura di Locri nell’ambito dell’operazione “Xenia”, di aver organizzato illegalmente alcuni matrimoni tra immigrati e cittadini del luogo nonché di aver affidato, in modo illecito, il sistema di raccolta rifiuti e di pulizia urbana a due cooperative. Ma le motivazioni del collegio presieduto da Tommasina Cutroneo si arricchiscono di nuove valutazioni e spunti investigativi che tratteggiano una figura ben diversa da quella che per anni Lucano ha mostrato di sé.
“Qui non vengono messi in discussione i buoni propositi o la sussistenza di ragioni anche umanitarie – chiosa il Riesame – ma si vuol rappresentare che tutto questo nel tempo è stato annacquato e sporcato da una mala e opaca gestione, da mille violazioni di legge e da una volontà sempre più forte ed incontenibile del Lucano di dare l’immagine al mondo esterno di un modello di integrazione e di salvarne ed esportarne le fattezze esteriori a tutti i costi più che di far sì che quel modello apparentemente perfetto lo fosse invero realmente”.
Lucano ha più volte sostenuto che era ben cosciente di aver “aggirato le leggi” in modo da far rimanere nel paese di Riace il più a lungo possibile cittadini migranti e richiedenti asilo solo per un senso di umanità e perché “era un dovere civile”. Adesso, però i giudici delineano un contesto molto diverso da quanto il primo cittadino ha affermato in più occasioni. “Le persone, la cui sofferenza e il cui terribile vissuto verrebbero da Lucano portate a vessillo del suo agire, è riportato nelle motivazioni, si trasformano contraddittoriamente in freddi numeri”.
Numeri e voti soprattutto: questo è il nuovo particolare che emerge dalla sentenza. Lucano, stando a quanto scritto dal Riesame, avrebbe avuto un tornaconto politico-elettorale di Lucano il quale in più di un’occasione avrebbe fatto la conta dei voti “che gli sarebbero derivati dalle persone impiegate presso le associazioni e-o destinatarie di borse lavoro e prestazioni occasionali; persone, molte delle quali, inutili a fini lavorativi o addirittura non espletanti l’incarico loro affidato, sovrabbondanti rispetto ai bisogni, eppure assunte o remunerate anche in via occasionale per il ritorno politico-elettorale”. Tante sono le intercettazioni, captate dalla guardia di finanza, in cui il primo cittadino sciorina numeri, dati e stime di consenso. Come questa: Lucano: “La politica mi tiene a me, sennò un minuto ci stavo a mandare a casa, la politica di merda mi tiene non pensare…perché soltanto di Città Futura (una delle associazioni estranea però, dall’inchiesta della Procura ndr) sono 100 voti, mi sono fatto un conto, tutti quelli che lavorano”.
Anche di fronte ad eventuali inchieste della magistratura e delle forze dell’ordine, Lucano avrebbe tentato di “usare” un eventuale scesa in campo elettorale che, secondo i suoi ragionamenti, lo avrebbero messo a riparo da qualsiasi scandalo giudiziario. “Con callida freddezza- è scritto dai giudici- una volta appurato di essere oggetto di indagini giudiziarie oltre che amministrative, progettava la sua candidatura alle politiche come capolista al fine di arginare l’azione giudiziaria nei suoi confronti”.
Ciò lo desumono i giudici da una conversazione in cui Lucano dice apertamente “per quanto riguarda gli aspetti giudiziari così a me conviene..ma intanto ovviamente accetto solo se sono primo della lista…”. Nell’ultima parte delle motivazioni del Riesame poi, è stata trattata la sua gestione dei fondi pubblici per i progetti Sprar finanziati da prefettura e ministero dell’Interno.
Anche su questo aspetto le parole del Collegio sono tutt’altro che tenere. “La gestione opaca e a tratti sconcertante dei fondi destinati all’accoglienza di cittadini extracomunitari tratteggia Lucano – chiosano i giudici – come soggetto avvezzo a muoversi sul confine tra lecito ed illecito, a tollerare e favorire condotte illecite altrui per fini che, come si è visto, spesso vanno moto al di là della, troppe volte, ostentata volontà di perseguimento di scopi umanitari e-o che con questi poco o nulla hanno a che vedere. Avvalendosi e chiaramente abusando del ruolo rivestito l’uomo piegava l’intero ente comunale al suo volere, al punto che non era dato ad alcuno contestare le sue violazioni di legge o impedirne la perpetrazione né arginare la sua arroganza e l’esercizio prepotente del potere, creava una fitta rete di contati personali che agevolavano – chi più chi meno consapevolmente – la perpetrazione dei delitti indicati e sulla quale tuttora potrebbe fare affidamento per tornare a delinquere”.
Per il Riesame non ci sono elementi, allo stato dei fatti, che portano ad affermare che Lucano avrebbe tenuto per sé i finanziamenti ottenuti anche se ciò “suscettivo di rigoroso accertamento”, ma “allarma il disprezzo e lo sciupio, nella migliore delle ipotesi, del denaro pubblico ed il ruolo attivo di Lucano nel destinarlo a finalità diverse da quelle per le quali veniva erogato, la sua inerzia nel tollerare sottrazioni e distrazioni di denaro da parte di quel nugolo indistinto di persone entrate a far parte delle associazioni, il suo attivismo nel coprirle per fini elettorali e di ostinato mantenimento di quel modello Riace, pieno di illegalità, e la sua pervicacia nel continuare ad elaborare brogli e stratagemmi anche a fronte delle indagini in corso pur di non perdere i finanziamenti e mantenere intatta quella immagine perfetta di Riace, consegnata al mondo in tutti i modi”. Un quadro quindi sconcertante che adesso pone molte ombre sull’agire del sindaco divenuto paladino dell’immigrazione e che nel 2016 era stato inserito dalla rivista “Fortune” nella classifica dei 50 personaggi più potenti nel mondo e anche recentemente a smuovere l’opinione pubblica internazionale per una candidatura, della cittadina di Riace, al Nobel per la pace. Analizzando, però le conclusioni del Tribunale della Libertà adesso il Nobel e gli albori di un modello perfetto di integrazioni, sono molto lontani; quello che resta infatti, sono “meccanismi opachi e illegali” uniti a un connubio di “mala gestione” in spregio a qualsiasi norma di legge.
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