Sentenza Ustica. Rigettati gli appelli dei Ministeri che dovranno risarcire i familiari. L’aereo Itavia e il misterioso sommergibile? Una strage perpetrata da più Stati alleati che, a distanza 38 anni, si tenta di svelare.

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Giorno 11 febbraio, la Prima sezione civile della Corte di Appello di Palermo, presieduta da Antonio Novara, ha rigettato gli appelli promossi dai ministeri della Difesa eTrasporti contro la sentenza emessa dal tribunale civile del capoluogo siciliano nel gennaio 2016 che li aveva condannati a risarcire 12 milioni di euro circa a una parte dei familiari delle vittime della strage di Ustica (27 giugno 1980, 81 morti). L’incidente, secondo la Corte d’Appello di Palermo, è da addebitarsi ad un missile. La Corte ha dichiarato la prescrizione al risarcimento da ‘depistaggio’. Il legale delle vittime, dichiara che non vi è alcun conflitto tra penale e civile “Questa sentenza si aggiunge alle numerose altre che, in sede civile, hanno già restituito giustizia ai parenti e verità dei fatti. Questa sentenza, tra l’altro, ha voluto ulteriormente precisare che non vi è mai stato alcun conflitto tra i giudicati penali e quelli civili”.

Manca sempre “l’ultimo chilometro”, in quella strage di 81 innocenti che viaggiavano sul volo DC9 Itavia partito malauguratamente con oltre un’ora in ritardo da Bologna verso Palermo. A quell’ora non doveva trovarsi su quel tratto di cielo. Ma l’imponderabile è sempre una variabile mal calcolata anche dagli “efficientissimi” apparati militari della Nato che, quella maledetta sera, erano in zona per delle esercitazioni congiunte tra americani, francesi e inglesi. L’aereo Itavia non è stato abbattuto in volo e ne è esploso in volo, per come hanno finora tentato di farci credere, ma è stato verosimilmente solo perforato da un sottile missile aria-aria AIM-7Sparrow lanciato durante la battaglia aerea con due Phantom, uno con piloti americani e l’altro francesi contro due Mig libici nel cielo di Ustica e precisamente tra lo spazio aereo di Calabria e Sicilia. L’aereo di linesa, fortemente danneggiato dal foro di entrata e di uscita del missile inesploso, aveva subito danni alla parte centrale più spessa e prossima ai motori che avevano attratto il missile ad infrarosso, negli ambienti militari conosciuto per essere un missile con problemi a basse quote, ma anche se sparato in uno spazio ravvicinato rimando inesploso ma perforante, provocando così, la morte dei passeggeri vicini alla parte interessata al passaggio del missile. I piloti furono verosimilmente in grado di ammarare nel tirreno antistante Ustica, facilitati dal fatto che il volo era già in fase di avvicinamento per l’atterraggio e quindi minimale era stato il problema della depressurizzazione.

Purtroppo i piloti non riuscirono a mettersi in contatto con la torre di controllo di Ustica, vigendo in tutta l’area del tirreno meridionale, il “silenzio radar”, imposto dalle esercitazioni Nato che si svolgevano da quel pomeriggio e che inibivano tutti i radar della zona, nonché il radar di bordo del Dc9 Itavia, ma erano in grado di ascoltare. Era la sera del 28 giugno del 1980 e l’esercitazione Nato di quel giorno era una finta esercitazione, nascondendo una azione di attacco al volo di Gheddafi di rientro dalla Polonia. Il Governo Italiano venne informato dagli alleati Americani solo durante le fasi iniziali dell’azione di attacco aereo, perché il tutto si sarebbe svolto nei cieli del territorio italiano. Francesco Cossiga, allora capo del Governo, informato, del concreto timore di ritorsioni all’Italia da parte del mondo arabo e non solo libico, informò Giulio Andreotti il quale, a sua volta, informò l’alleato di governo Bettino Craxi, convolto decidendo nell’immediato di dare l’ordine di informare Gheddafi su quello che stava accadendo nei nostri cieli, permettendogli di virare con il suo aereo verso Malta, e poi alla volta della Libia, riuscendo così a scansare l’attacco. Sorte diversa ebbero i due Mig libici di scorta al volo di Gheddafi che vennero attaccati dai Phantom, abbattendone uno gli americani, dopo un lungo inseguimento sulle montagne della Sila calabrese, per poi abbatterlo dopo aver colpito il pilota con la mitragliera di bordo che, ferito gravemente, si schiantò al suolo da li a breve.

Per questo incidente aereo in Sila, sull’autopsia del pilota si inscenerà una parte del depistaggio “costringendo”, il medico sanitario del posto, a dichiarare il decesso come se avvenuto 15 giorni prima. (noidellitavia.it/176334385) Mentre l’altro Mig libico venne abbattuto in un secondo attacco da un Phantom francese, non prima però di essersi nascosto e camuffato sotto la pancia del DC9 Itavia che, sfortunatamente si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato a causa del forte ritardo alla partenza da Bologna. Per colpire il Mig Libico, i piloti alleati, si sono avvalsi del visore radar di bordo non distinguendo, in quegli istanti concitati e con l’adrenalina al massimo, che il velivolo a cui stavano puntando il missile aria-aria era il Volo Itavia e non il Mig Libico. Il Volo Itavia subì un importante danno, ma non esplose in volo e ne precipitò. Ben altro danno devastante lo stesso missile avrebbe provocato all’esile Mig Libico se colpito, rispetto alla consistente mole di un Dc9. Questo secondo Mig venne poi intercettato e abbattuto sulla traiettoria libica nel tentativo disperato di raggiungere Sirte. Ma questo rimane ancora un mistero perché gli aerei colpiti furono due per come dichiarato da parte americana e da parte libica, quest’ultima forse bluffando, ed entrambi comunque senza mai citare l’abbattimento del DC9 Itavia.

Fatto sta che il volo DC9 Itavia riuscì ad ammarare, come da notizie immediate riuscite a carpire nei primissimi giorni di concitazione in ambienti militari, nel mentre le forze Nato si rendevano conto del pasticcio combinato: aver abbattuto un volo civile, per giunta, senza aver colpito l’aereo di Gheddafi.

L’epilogo sta in quello che non si è mai detto o meglio si è verosimilmente colpevolmente taciuto, perché troppo grave sarebbe stato raccontare una strage di innocenti in un fallimento totale di una operazione congiunta tra forze Nato alleate, beffate da Gheddafi. Avrà anche pesato “il tradimento” italiano nell’avvisare per tempo Gheddafi permettendogli la fuga. Avrà altresì pesato lo scandalo internazionale di aver abbattuto per errore un volo di linea civile. Fatto sta che dal mare antistante Ustica, da notizie riservatissime del tempo, emerse un sommergibile (della marina francese?) non per salvare i superstiti che stavano galleggiando nell’aereo ammarato, ma pensarono scelleratamente di minare l’aereo per affondarlo e seppellirlo in fondo al mare insieme agli scomodi testimoni. Un minor danno collaterale, secondo la mentalità militare, deciso sull’onda emotiva del fallimento dell’intera operazione alleata. Un calcolo che si manifesterà nel tempo fatale, dovendo coprire un crimine inconfessato che necessiterà, in fase processuale, di continue manomissioni, depistaggi, omicidi di testimoni scomodi, nonché di testimonianze false dove, chi l’ha fatta da padrona nella regia, sono stati i vari servizi segreti civili e militari, coperti da una ragion di Stato, che sempre prevale sulla verità e sulla giustizia.

La presenza di un sommergibile a suo tempo emerso non per salvare e prestare soccorso, ma per fare il lavoro sporco e criminale per eliminare gli scomodi e innocenti testimoni, è una verità che fu ventilata e sussurrata ai magistrati del tempo, che però non riuscirono, o gli fu impedito, o furono depistati o non vollero, trovare i riscontri. Oltre al giudice Priore vi fu un coinvolgimento del giudice Ferdinando Imposimato che della vicenda di Ustica si occupò tra il 1987 e il 1992, come membro del Copaco, il Comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti. Con Imposimato, ebbi modo di confrontarmi in merito, in ultimo nel maggio 2013, confermandomi l’ipotesi della pista del sommergibile, mai però riscontrata nelle testimonianze e/o documentata agli atti processuali e nè del Copaco. Il depistaggio, probabilmente, aveva colpito ancora.

Queste notizie arrivarono a suo tempo anche ad altri ristretti giornalisti addetti alle inchieste di stragi e intrighi internazionali, come il sottoscritto, che si occupò di terrorismo internazionale già negli anni 80/90, in un tempo in cui il terrorismo era limitato e circoscritto a quello medio-orientale e più precisamente Arabo-Palestinese, dove con l’Italia vigeva un patto non scritto di non belligeranza, il cosiddetto “lodo Moro” che preservava l’Italia da attentati in cambio di libero accesso sul territorio da parte dei gruppi antiisraeliani legati all’OLP che, in più Paesi arabi altresì, avrebbero garantito adeguato l’afflusso di petrolio per l’Eni. Attività giornalistica che, a quei livelli, spesso si fa gomito a gomito con apparati dei servizi segreti sia militari che civili e le notizie, se non venivano date direttamente, si apprendevano per contatto o per capacità di analisi derivanti da un oggettivo convincimento e fiuto giornalistico, sui fatti. Ma finchè una notizia non è suffragata da documenti, è una notizia che non va data per certa.

Il “Lodo Moro”, ancora oggi, appare essere in vigore, tranne quanto accaduto a Bologna nel 1980 e a Fiumicino nel 1985, dove si ruppe temporaneamente l’accordo per poi riprenderlo una volta chiariti i fatti, il che spiega perché l’Italia è ancora immune da attacchi terroristici, avendo onorato il patto nelle vicende medio-orientali ed Arabo-Palestinese rispetto alle posizioni israeliane.

Anche la strage alla stazione di Bologna andrebbe rivista sotto la lente dei fatti di Ustica. Strage avvenuta il 2 agosto 1980 ad appena 33 giorni dai fatti di Ustica. Nel 1980 il Ministro Giovanni Spadolini fu l’unico a sostenere che la Libia di Gheddafi era coinvolta nella strage di Bologna, appoggiando la pista arabo-mediorientale, contro la maggioranza che scelse quella neofascista. Francesco Cossiga, il 15 marzo 1991, al tempo della sua presidenza della Repubblica, affermò di essersi sbagliato a definire «fascista» la strage alla stazione di Bologna e di essere stato male informato dai servizi segreti. Anche la sua dichiarazione dopo la dichiarazione del 1980 di Spadolini, poi ritrattata da Cossiga, aiutò ad abbandonare la pista libica, per puntare su quella neofascista, non italiana ma internazionale per scagionare la Libia ed evitare incidenti diplomatici, poiché Gheddafi aveva importanti partnership commerciali e petrolifere con l’Eni e la Fiat, nonché quote di partecipazioni azionarie. Il leader libico coltivava anche buoni rapporti con Giulio Andreotti. L’ex faccendiere Francesco Pazienza, condannato a 13 anni per i depistaggi verso la pista neofascista, ha sostenuto questa tesi in interviste concesse dopo la scarcerazione, affermando che anche il procuratore Domenico Sica propose la pista libica, rivelando il motivo per cui Gelli capo della P2, volle depistare, e cioè la difesa degli interessi finanziari e petroliferi italiani con il regime di Gheddafi, poiché, «in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l’Eni.

Il magistrato Rosario Priore, ex titolare dell’inchiesta su Ustica e sui legami tra P2 e Brigate Rosse, nonché parente di una delle vittime della strage di Bologna (il lontano cugino Angelo Priore), ha sostenuto che il DC-9 di Ustica fu abbattuto da un missile libico o francese durante il confronto tra le tre aviazioni francesi, statunitense e libica, e che la vendetta di Gheddafi per l’attentato di Ustica (percepito con l’assenso dell’Italia, nonostante il provvidenziale avviso) e per l’accordo della Valletta, avrebbe potuto essere la fornitura dell’esplosivo ai palestinesi che poi fu usato per la strage di Bologna.

Entrare nel merito della vicenda significa dover distinguere una verità processuale diversa dalla verità reale, cioè quella velata o non raccontata o peggio depistata in quei livelli di intrighi internazionali spesso, e solitamente, perpetrati prevalentemente sotto la regia di vari servizi segreti i quali, non sono mai stati deviati, ma solo e soltanto, al servizio di una ingannevole e sporca “ragion di Stato” che, spesso, prevale sul diritto e sulla verità. L’attentato di Bologna, forse, fu una ritorsione all’Italia non perfettamente creduta estranea da Gheddafi, nonostante la soffiata? Anche la carlinga dell’aereo non è credibile possa essersi così frantumata in numerosi pezzi, per la dinamica di un aereo inabissatosi senza lasciare a galla granché frammenti e cose. Le ricerche, seppur vicino alla costa, durarono giorni, appare più credibile l’ipotesi che nel fondo del mare si riuscì ad avere tutto il tempo per manomettere anche i rottami dell’aereo, poi recuperato, guarda caso, da una società francese, la Ifremer, incaricata nel 1987 di recuperare i resti del DC 9 poi finita al centro di aspre accuse, perché legata ai servizi segreti francesi.

Oggi ritorna attuale il dibattito alla luce della nuova testimonianza del marinaio Brian Sandlin – intervistato su La 7 dal giornalista Andrea Purgatori – imbarcato nella portaerei Saratoga che stazionava nel porto di Napoli affermando che vi fu una la battaglia aerea tra i Phantom e i Mig libici. Chissà se le autorità vorranno sentire la testimonianza di Brian Sandlin, per conoscere se lo stesso era anche informato della presenza di un sommergibile francese durante le esercitazioni Nato. Attendiamo a tempo debito la de-secretazione dei documenti e, sicuramente, scopriremo come al solito, tardivamente, tutta la verità.

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