Giornalista simula reato sparandosi alcuni colpi di pistola. Vittima del personaggio che si compiace in maniera patologica.

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Quello dei cronisti svalvolati, collusi e complici, che sono alla ricerca smodata di notorietà, calpestano l’etica e la professionalità. Sono diventati un problema serio all’interno dell’Ordine dei Giornalisti. Il procuratore Nicola Gratteri afferma che bisogna fare molta pulizia nel giornalismo e nella magistratura. Due istituzioni entrambe corrotte con certe giornaliste e giornalisti finti antimafiosi magari con amicizie e/o il parentato delinquente e colluso e che fanno i calunniatori verso terze persone per bene, spesso colleghi, pensando così di ingraziarsi i procuratori e ingannare gli inquirenti credendo furbescamente di pararsi il sederone…ma i dossier sono spesso già sui competenti tavoli e stentano a procedere per le troppe denunce e querele, spesso trascurate e lasciate all’oblio della prescrizione.

“C’è un giornalismo colluso e talvolta complice” affermava Claudio fava, nel 2015 nella sua qualità di componente della commissione antimafia  – proseguendo nell’affermare -l’altro lavoro che sta portando avanti la Commissione Antimafia riguarda il modo in cui le mafie sono riuscite a condizionare la capacità di benevolenza del giornalista: “C’è un giornalismo colluso, reticente, silenzioso, talvolta complice. Alcuni direttori di giornali hanno scelto la via della prudenza”.

Anche paolo Guzzanti nel 2013 sul “Il giornale” affermava <Quando Giampaolo Pansa affondava gli stivali nel fango del Vajont e descriveva la catastrofe dall’altezza della melma, faceva quel genere di giornalismo. Così erano (eravamo) allora i cronisti, questo chiedevano i direttori, di questo si compiacevano gli editori vedendo il loro prodotto venduto per la qualità. Le divisioni politiche e le faziosità ci sono sempre state, ma quel che accadde a partire dall’inizio degli anni Novanta costituisce una mutazione progressiva e una deformazione caricaturale del giornalismo, già agonizzante per la nascita della cronaca in streaming e del telefonino.  In questo modo più di mezza Italia è stata delegittimata come canagliesca e cafona, rozza e torbida, secondo il comandamento che la vuole dominata dalla «pancia»; mentre dall’altra parte, nel mondo dei buoni, omologati dai magistrati e dai giornalisti che esercitano il potere di fatto, si muovono folle virtuose che sembrano i nuovi Hare Krishna coi loro mantra>.

Il Giornalista Udo Ulfkotte trovato morto nel 2017 a soli 57 anni, ha pagato con la vita l’essersi messo contro certi poteri denunciati nel suo libro “Giornalisti comprati”

Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende e lobby.

In 40 anni ne ho sentite di tutti i colori su giornalisti e giornaliste corrotte sia professionalmente che culturalmente. Udo Ulfkotte era un giornalista intellettualmente onesto ed ha pagato con la vita. Spesso è la linea editoriale da rispettare, o le amicizie mafiose o parentati mafiosi, oppure è l’ideologia che ti colloca sull’altra sponda della verità corrompendosi l’integrità interiore giornalistica, facendoli così complici o fingendo di essere antimafiosi scrivendo articoli senza senso, costruiti solo per denigrare. Ma spesso quello che ho notato più banalmente è l’invidia tra categorie di giornalisti e giornaliste fino alla calunnia e alla sottile diffamazione ben descritta anche in questo libro, che mira a screditare il collega o la collega di altra testata in quello che scrive e che fa nella vita. Gratteri le indica tra quelle che screditano anche lui, persona per bene, e le sue inchieste scomode, guardando nelle pagliuzze del “Riesame che ne libera 5 e alcuni giornali dicono che l’operazione sia stata un ‘flop’”. I dossier giornalistici che denunciano questi fatti ben documentati stanno sui competenti tavoli in attesa che qualcuno li legga e ne prenda coscienza per intervenire, libero da condizionamenti.

Qualche giorno fa è uscita su tutti i giornali questa notizia: “Il giornalista Mario De Michele indagato per simulazione di reato, si è sparato da solo i colpi di pistola. Ha ingannato tutti”. Insomma, era diventato un simbolo del giornalismo anticamorra. Il 4 maggio sembra subire un altro attentato, con spari rivolti contro la sua abitazione. “Io ho paura, sono una persona normale”,  aveva detto ai giornalisti delle Iene. 

 “È stato scioccante”, dice Mary Liguori, giornalista de Il Mattino. Sul sito di Mario De Michele esce un editoriale di addio, con tanto di scuse a polizia e magistratura. La giornalista allora inizia a indagare: “De Michele ha ricevuto un avviso di garanzia per aver inscenato gli attentati ai suoi danni e per essersi inviato da solo una lettera minatoria con tanto di proiettili”.

Facciamo davvero fatica a credere che si stia parlando della stessa persona che avevamo conosciuto sei mesi fa: “Il fatto che gli avessero affidato una scorta d’urgenza faceva presupporre che non ci fosse nulla di strano in quel suo racconto”, dice Mary Liguori. E anche l’ultimo presunto attentato, quello contro la sua casa, sarebbe stato compiuto dallo stesso De Michele. Il quale, ormai sgamato, è costretto ad ammettere <L’artefice degli spari contro la mia abitazione sono stato io. Ho capito che da persona sono diventato inconsciamente personaggio, e mi piaceva. Cioè sono diventato quel personaggio che ho sempre odiato” – conclude  Michele – “Sono arrivato al compiacimento patologico che mi ha portato dopo il 14 novembre a perdere la testa e, non ti nascondo, se non mi avessero fermato i carabinieri avrei potuto pure fare un gesto autolesionistico. Li ringrazio per questo. Ho fatto una cosa gravissima, non posso fare finta di nulla”. 

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