PILLOLE DI STORIA: NEL 1966 TRAGEDIA AD OPPIDO MAMERTINA.

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Oppido Mamertina è una ridente cittadina della fascia pre-aspromontana, ricca di storia, da un nobile e millenario passato e  sede vescovile .

Non si conosce la data esatta dell’istituzione della diocesi di Oppido. Essa compare per la prima volta sul finire della dominazione bizantina in Calabria, documentata in un atto di donazione del 1044.

E’ presumibile che la fondazione della Diocesi sia anteriore a questa data, ma non di molto, perché non appare in nessuna  Notitia Episcopatuum del  patriarcato di Costantinopoli del X secolo.

IL primo vescovo conosciuto è Nicola, menzionato in un diploma del 1053.

In queste mie modeste righe  non tratterò di storia, perché  voglio  ricordare, una pagina molto  dolorosa della sua storia.

Per non dimenticare.

Mi riferisco alla tragedia del lontano Ferragosto del 1966, dove persero la vita 9 persone di cui 8  erano dei bambini innocenti.

Era la vigilia di Ferragosto e  nonostante il caldo, tutti erano in trepidante attesa perché il giorno dopo si sarebbero recati in montagna o in campagna per celebrare il rito del Ferragosto.

Il canto dei grilli e delle cicale si spandeva nell’aria che profumava di terra, accompagnato però, quella notte, dal lugubre canto della civetta, portatrice di oscuri messaggi.

All’improvviso in via Rocco De Zerbi delle urla squarciano il silenzio della notte.

Sono i genitori di Carmine Antonio e Salvatore Verduci.

I bambini stanno male, vomitano e accusano dolori atroci allo stomaco, in viso sono violacei.

Vengono subito portati  nel locale ospedale, allora funzionante, ma Antonio che aveva solo sei anni  arriva morto.

I suoi fratelli amorevolmente curati dai dottori si salvano.

Di primo acchito il dott. Marino, il dott. Iaria e il prof. Lucente pensano si tratti di intossicazione, dovuta a del cibo avariato, mangiato solo dalla famiglia Verduci, ma presto, capiscono di essersi sbagliati, perché alle 23, 30 altre grida squarciano la notte: Vincenzo Calabria 12 anni, il fratello Giuseppe di 13 anni e la mamma Maria Vincenza Muratore accusano vomito e dolore atroci(gli stessi sintomi dei Verduci).

Vengono portati in ospedale, Vincenzo muore, la mamma e il fratello si salvano.

All’una e quarantacinque del 15 agosto muore a soli 68 anni Concetta Musicò, mentre il marito è in gravi condizioni.

I dottori allora capiscono che non sono di fronte ad un caso circoscritto ad una sola famiglia, ma avvelenamento collettivo.

Vengono subito avvertiti il medico provinciale, il pretore di Oppido e i Carabinieri.

La notizia si propaga per tutta la cittadina e la gente ha paura.

I medici iniziano a parlare di avvelenamento da esteri fosforici, anticrittogramici o antiparassitari contenuti in alcuni ortaggi ed il focolaio viene localizzato nel rione Tuba, il più misero della città.

Intanto i morti continuano, alle 11,00 del 15 agosto muore Carmelo Giuseppe Russo di soli 18 mesi e tre dei suoi fratelli vengono ricoverati.

Alle 12,00 muore Antonio Zappia di un anno e mezzo e i ricoveri continuano.

Alle 15,00 muoiono Impellicceri Salvatore, Pasquale e Anna Maria rispettivamente di sette, cinque e tre anni.

Viene sospese l’erogazione dell’acqua potabile e il sindaco Gerardo Carbone  emana  un’ordinanza,  dove viene vietato il consumo della frutta e degli ortaggi coltivati ad Oppido.

Molte famiglie impaurite lasciano le loro case per trasferirsi momentaneamente altrove.

Il ministro della Sanità manda da Roma degli ispettori medici e il direttore dell’Istituto Superiore della Sanità che, insieme ai dottori e alle autorità locali devono scoprire le cause dell’avvelenamento, individuati nei pomodori dell’orto di una delle vittime.

Il 16 agosto vengono celebrati in Cattedrale i funerali delle 8 vittime e il sindaco proclama il lutto  cittadino.

Intanto la notizia fa il giro del mondo e la cittadina viene presa d’assalto dai giornalisti.

Messaggi di cordoglio arrivano anche dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat  e dal Papa paolo VI.

Muore Natalina Monterosso.

Allora i medici iniziano a capire chela causa non sono i pomodori, anche perché molti dei ricoverati giurano di non aver mangiato pomodori.

Comincia così il valzer delle supposizioni, dei dubbi e delle polemiche.

Il 19 agosto arriva ad Oppido il Ministro Giacomo Mancini, segno che il governo presieduto da Aldo Moro stava seguendo la triste vicenda.

Il Ministro visita il rione Tuba e rimane scioccato dalle misere condizioni del rione, dalle baracche .

Condizione che Don Luca Asprea  descrisse  nella sua eccezionale opera

“Il Previtocciolo” pubblicata  nel 1971 da Feltrinelli.

Anche se, è doveroso dire che Oppido non era solo il  rione Tuba, perché oltre alla sede vescovile e all’ospedale c’era la Pretura, l’ufficio del registro e persino il carcere.

A poco a poco le condizioni delle altre persone  ricoverate, migliorano e la città cerca di ritornare alla vita.

Tutti però  vogliono sapere la vera causa dell’avvelenamento.

Il Ministro Mancini stanzia la somma di 600 milioni di lire per la costruzione di alloggi popolari, il Ministro della sanità Mariotti  manda 15 milioni per l’ospedale e la stessa cifra Papa Paolo VI.

Il 31 agosto i giornali pubblicano una notizia  scioccante.

Non sono stati i pomodori la causa dell’avvelenamento ma del pane!

Era stata  in effetti chiusa per ordinanza del sindaco una panetteria abusiva, ma non tutti ancora sono convinti di questa ipotesi, perché in molti sono propensi per i pomodori. Si arriverà alla certezza il 10 marzo del 1967: era stato davvero il pane il veicolo dell’avvelenamento.

Vediamo adesso l’iter che porta  a questa conclusione.

In primis grazie all’intuizione e all’esperimento di Domenio Impellicceri che aveva perso tre figli.

Il  signor Impellicceri  racconta: “ Mia moglie mi disse che aveva conservato, dopo la morte dei bambini, un pezzo di pane avanzato durante quella disgraziata cena.

Io solo non ne avevo mangiato ed infatti, ero stato l’unico a non aver vomitato.

Allora  presi il pane rimasto  e ne sbriciolai un pò.

Presi una gallina, gli legai la zampa ad una sedia e le misi davanti quelle briciole. Subito dopo averle mangiate, la gallina, vomitò una schiuma nerastra e dopo un’ora morì”.

Il signor Impellicceri, allora, porta subito la gallina morta  insieme a dei pezzettini di quel pane al Comune dove erano presenti gli esperti dei ministeri che, subito mandano il tutto a Roma per gli esami di laboratorio.

Intanto si viene a sapere che quel pane era stato comprato nel forno della signora Carmela Barbaro che a giorni alterni lo faceva in casa  per venderlo.

Il pane era  molto apprezzato perché era genuino e perché costava poco.

Intanto dopo due giorni dal Ministero della Salute arriva la notizia che si trattava di avvelenamento da esteri fosforici contenuti negli ortaggi e non nel pane.

La notizia viene  però accolta con scetticismo dalla popolazione.

La verità arrivo dopo  bel sette mesi, esattamente il 10 marzo del 1967: gli esteri fosforici erano contenuti nel pane e non negli ortaggi!

Sicuramente nell’impasto all’insaputa della signora, senza che lei lo volesse, era finita della polvere topicida o antiparassitaria.

Interrogata la donna, aveva detto che l’impasto era stato fatto da una sua nipote che dopo  aveva mangiato  il pane, senza stare male.

Si scrive così la parola fine ad una tragedia che aveva scosso  tutta l’Italia.

Il tempo è passato e tutto è stato dimenticato.

Si  potrebbe magari  realizzare  un cortometraggio su questo grave episodio che seppur intriso di lacrime e  dolore rappresenta una pagina di storia della città.

 

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