Il commissariamento dei quattordici depuratori dislocati lungo la costa tirrenica calabrese, messo in atto dal governatore Roberto Occhiuto, da una parte riscuote consensi, dall’altra riaccende il dibattito sulle carenze che sono alla base del malfunzionamento degli impianti e sui ritardi con cui ancora una volta si interviene per tamponare una situazione alquanto delicata. Con la stagione delle vacanze ormai in cammino e con i tempi tecnici necessari per riparare i guasti riscontrati nel corso di specifiche indagini conoscitive condotte a tappeto, tra il 18 gennaio e il 10 giugno scorsi, da Regione, Arpacal e amministrazioni provinciali, non sarà facile recuperare il bandolo della matassa. Probabilmente, controlli e verifiche si sarebbero dovute concludere in meno di cinque mesi per come è avvenuto. A questo punto, nessuno se lo augura, ma c’è il rischio concreto che anche per quest’anno il mare pulito resti una pia illusione. Questa sensazione è stata nettamente percepita dalle associazioni attive tra Nicotera e Tortora, che, non a caso, su iniziativa di Francesca Mirabelli, responsabile di “Mare pulito Bruno Giordano”, il prossimo 29 gennaio, alle ore 19,30, si ritroveranno nell’anfiteatro del porto di Tropea per fare il punto della situazione. A mobilitarsi, oltre a “Mare pulito”, sono anche i gruppi che fanno capo al comitato “Uniti per il golfo di Sant’Eufemia”, ma delegazioni dovrebbero arrivare anche dalla zona di Paola e oltre. La tensione sale e potrebbero trovare conferma le previsioni di un’estate davvero calda.
Peraltro, l’ordinanza con cui il governatore Occhiuto commissaria i depuratori di San Lucido, Fuscaldo, San Nicola Arcella, Belvedere Marittimo, Guardia Piemontese, Sangineto, Belmonte Calabro, Parghelia, Zambrone, Briatico, Ricadi, Pizzo, Tropea e Nocera Terinese e li affida alla supervisione del Consorzio regionale per lo sviluppo delle attività produttive (Corap), a parere di tanti, lascia aperta una grande falla. Non prende, cioè, alcun provvedimento nei confronti del megadepuratore di Gioia Tauro un cui tubo, rotto in due punti, da oltre dieci anni continua a scaricare a meno di cento metri dalla battigia anzichè quattrocento per come previsto. E’, tutto sommato, comprensibile che la Regione, proprietaria del 51% della Iam che gestisce l’impianto, trovi serie difficoltà a commissariare se stessa, ma la questione non può e non deve essere sottovalutata. Circa un mese fa, il problema del tubo che scarica tranquillamente a mare è stato riportato alla luce dai tecnici del battello oceanografico della stazione zoologica “Anton Dhorn” guidata da Silvio Greco. La loro relazione è finita sui tavoli competenti, ma la Regione, la Capitaneria di porto di Gioia Tauro e la Procura di Palmi sino ad oggi non pare siano entrate in sintonia per porre fine all’incredibile sconcezza.
A frenare l’intervento concorrerebbero più fattori. Oltre ai costi elevati, ci sarebbe da fare i conti col fatto che la riparazione del tubo obbligherebbe la Iam a scaricare i liquami direttamente nel torrente Budello per il tempo necessario all’esecuzione dei lavori, scelta questa fortemente osteggiata da residenti e ambientalisti. Un ruolo non secondario lo giocherebbe anche la considerazione che la Iam attualmente gestisce il megadepuratore in regime di proroga e, quindi, sarebbe poco propensa ad affrontare spese consistenti in assenza di garanzie per il futuro. Resta il fatto incontestabile che il golfo di Gioia Tauro, chiuso tra il fiume Mesima a Nord e il fiume Petrace a Sud è uno dei tratti del litorale tirrenico più esposto al rischio inquinamento. Un altro grosso contributo alla non balneabilità delle acque marine viene dato dal Vena. Questo collettore, dopo aver raccolto tutti gli scoli fognari carichi di fetori irrespirabili dell’abitato di Rosarno che grava sulla Nazionale 18, corre parallelamente al Mesima per, poi, andare a sfociare a poche decine di metri dalla sua foce, con tutto quel che ne consegue. Anche in questo caso nessun intervento. Risalendo verso Nord, i nodi più grossi da sciogliere sono quelli legati al litorale di Pizzo, “vittima” soprattutto degli scarichi riversati in mare dal fiume Angitola, al litorale lametino e al litorale di Paola e oltre. Enti, istituzioni, forze dell’ordine, avevano garantito un mare pulito al 60/70%. Potrebbe non essere così.
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