La nobile Seminara oltra a vantare un nobile e glorioso passato, essere la “casa” della Madonna dei Poveri e la Patria di Barlaam e Leonzio Pilato; è anche la “casa” del Monastero ortodosso dei Santi Elia il Giovane o il Siciliano e Filarete l’Ortolano e della sua Chiesa.
Un angolo di cielo, un luogo decisamente dell’anima, dove l’Oriente abbraccia l’Occidente.
Dove il tempo si ditata e si entra in un’atmosfera che oscilla tra fede e sogno.
Dove la spiritualità ti entra nel cuore e nell’anima e vorresti che il tempo si fermasse lì, per pregare e ricongiungersi con l’infinito.
Prima di parlare del monastero oggi è però doveroso iniziare dalla sua storia, quando la Piana di Gioia Tauro si chiamava VALLIS SALINARUM (Valle delle Saline).
Un monastero così importante, tanto da interessare lo stesso Imperatore di Costantinopoli, Leone VI il Saggio. Un monastero distrutto dal terremoto nel XVI secolo e successivamente abbandonato anche per via dal percorso di latinizzazione forzato e violento delle chiese ortodosse del meridione d’Italia e poi tornato alla luce, grazie all’intervento del Patriarcato di Costantinopoli e della Provincia di Reggio Calabria.
Ma procediamo con ordine.
Secondo il bíos originale greco di sant’Elia, il santo ebbe una visione in Antiochia in Siria, che gli indicò dove edificare «l’ascetica palestra». Il monastero inizialmente concepito come aschetario, fece accorrere presto i primi discepoli, fra i quali il monaco Saba, e divenne meta di pellegrinaggio
L’imperatore romano, Leone VI il Sapiente, donò alla fondazione beni e rendite cospicue.
Gli storici datano nell’anno 884 la costruzione del cenobio.
Nel periodo normanno il monastero, continuò ad essere un importante luogo di culto, meta di tantissimi pellegrini desiderosi di venerare le miracolose reliquie dei santi protettori del cenobio. Fu un importante centro culturale, possedette una delle biblioteche più ricche di altri monasteri del territorio, dove si potevano trovare importanti testi liturgici ed opere di letteratura profana, tra i quali un volume contenente parte delle opere di Omero ed Aristofane, e un manoscritto con l’Ecuba di Euripide.
Il monastero imperiale di S. Elia fu assegnato da Roberto il Guiscardo nel 1062 all’abbazia benedettina di S. Maria, nella valle di Nicastro, nel luogo detto di San’Eufemia.
Dieci anni più tardi (1072), divenne luogo di culto per san Filareto e successivamente intitolato anche al nuovo santo: infatti, compare come monastero di Sant’Elia il Siciliano o il Giovane e San Filarete l’Ortolano sia nel diploma di Ruggero II (febbraio 1133), sia nell’atto datato 3 ottobre 1329 in cui Neofito è identificato come egùmeno dello stesso monastero di Seminara.
Altri documenti comprovano la sua esistenza dal XII al XV secolo.
Il monastero, dopo essere stato uno dei principali centri di fede e cultura ortodossa, divenne sede del primo Capitolo generale della Congregazione basiliana d’Italia nel 1579. La Chiesa romana utilizzò la congregazione per latinizzare i monasteri greci del Mezzogiorno, favorendo, di fatto, la scomparsa del rito-ortodosso dall’Italia meridionale. Nel XVII secolo decadde sempre più dall’antico splendore.
Il terremoto dell’11 gennaio 1693 distrusse gran parte del convento e i monaci furono costretti a trasferirsi in un edificio “fuori le mura” della città di Seminara.
I religiosi, dopo aver trascorso venti anni in un ospizio per la cura degli infermi, si trasferirono nel 1711 in un nuovo edificio fatto costruire all’interno della città.
Un nuovo terremoto, quello del 1783, che sconvolse tante parti della Calabria meridionale, non risparmiò Seminara.
Il governo di Ferdinando IV di Borbone soppresse i piccoli monasteri e i loro beni furono assegnati alla neo-costituita Cassa Sacra con il fine di mettere in vendita e poi utilizzarne il ricavato per affrontare le ingenti spese di ricostruzione delle aree colpite dal sisma.
Fu l’atto di morte ufficiale di un monastero che era esistito per nove secoli.
Il monastero fu poi ricostruito nella prima metà del duemila, grazie all’interessamento del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli nella persona di Sua Eminenza Reverendissima Metropolita Ghennadios, dell’allora Archimandrita padre Nilo Vatopedinos, ad un finanziamento concesso dalla Provincia di Reggio Calabria , alla donazione da parte del dott. Santo Gioffrè sia del terreno, su cui è edificata la nuova Chiesa e sia l’antico edificio antistante la Chiesa adibito a monastero, dall’ interessamento dell’ingegnere Giuseppe Buggè, e dagli aiuti dei monasteri e dei fedeli ortodossi Greci e Ciprioti.
Il 30 ottobre 2005, il cenobio fondato undici secoli prima da Sant’Elia di Enna riapriva, nel luogo anticamente chiamato “fuori le mura”, con la benedizione di S.E.R. Gennadios Zervos, Metropolita Ortodosso d’Italia Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Per molto tempo è stato guidato dall’igumena Stefania reggente del sacro monastero e dall’ efimerios economo padre Ilias Iaria reggente la Chiesa del sacro monastero, i quali hanno sempre celebrato le Divine Liturgie ogni Domenica e in tutte le Sante Festività; assicurando anche lo svolgimento di tutte le altre funzioni religiose e di tutti i Misteri (Sacramenti) della Chiesa Ortodossa per tutti i fedeli.
All’interno della chiesa è possibile ammirare i bellissimi affreschi e l’iconostasi tipici degli edifici di culto greco-bizantino.
Infine vorrei ricordare la figura di Sant’Elia.
Elia di Enna, vissuto nel IX secolo, fu uomo di fervida e salda fede in Dio, dotato del dono della profezia e capace di offrire esempi mirabili di vita ascetica e cristiana, tanto da conquistare fama in tutto l’Impero Romano d’Oriente e presso l’imperatore Leone VI.
Elia fu intimo di patriarchi e generali, viaggiò molto, attraversò l’Africa del nord (allora sotto il dominio arabo), giungendo fino a Gerusalemme e in Siria; giunse pure ad Amalfi, accolto dal vescovo della città; poi si recò a Roma, dove incontrò il papa Stefano V.
Elia è stato, per antonomasia, il santo della Chiesa indivisa, stimato ed onorato in Oriente ed Occidente, a Roma come a Costantinopoli, il «perfetto modello dei monaci» e «regola e norma esatta della vita monastica». Il suo attaccamento ed amore per la terra calabra è testimoniato dalle sue ultime volontà. L’imperatore Leone VI il Sapiente, desideroso d’incontrare Sant’Elia e di beneficiare delle sue preghiere e dei suoi consigli, lo invitò, tramite il messo imperiale Cusonio, a recarsi a Costantinopoli. Elia, benché ormai vecchio e sofferente, accolse l’invito, confidando al suo discepolo Daniele che la morte lo avrebbe colto durante il viaggio. Giunto a Tessalonica, il santo, percependo l’ora del trapasso, chiamò a sé Daniele e gli espresse il desiderio che la sua salma venisse trasportata nel monastero di Seminara. Prevedendo, per divina intercessione, le difficoltà che l’imperatore avrebbe opposto al trasferimento del suo corpo, Elia scrisse una lettera e la consegnò a Daniele impegnandolo di recapitarla a Leone VI subito dopo la sua morte.
Nell’agosto del 903 il santo nasce al cielo e muore alla terra. Leone VI, letta la missiva indirizzatagli, ordinò l’immediato trasferimento nel Monastero delle Saline delle spoglie del santo, adempiendone così le ultime volontà.
Elia rappresenta il forte radicamento della cultura ortodossa nel territorio calabrese e, più in generale, nel Meridione.
Ringrazio padre Ilias Iaria che con amore e sapienza mi ha fatto visitare questo meraviglioso luogo, testimone di fede millenaria e di un favoloso e nobile passato.