E’ stato  presentato a San Marco Argentano (CS) il libro autobiografico di Madre Mirella Muià “La porta aperta dell’orizzonte. Storia di un lungo viaggio”, edito da Bit Culturali

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E’ stato  presentato a San Marco Argentano (CS) il libro autobiografico di Madre Mirella Muià “La porta aperta dell’orizzonte. Storia di un lungo viaggio”, edito da Bit Culturali.
L’evento si è svolto   presso la sala consiliare “Mario Scarpelli” del Comune, ed è stato  organizzato dal CIF – Centro Italiano Femminile – di San Marco Argentano.

Dopo i saluti di  S.E. Mons. Stefano Rega, Vescovo della Diocesi di San Marco Argentano-Scalea; di  Don Angelo Longo, consulente ecclesiastico CIF e di  Maria Turano, presidente del CIF; ha dialogato con  l’autrice Giuseppina Quintieri.
Ha moderato l’incontro Fenisia Di Cianni .

Madre Mirella Muià originaria di Siderno,  è stata ricercatrice presso la Sorbona di Parigi dal 1977 al 1989. Consacrata monaca eremita diocesana nel 2012 da monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, a lei è stato affidato l’eremo dell’Unità e la Chiesa di Santa Maria di Monserrato in Gerace.

Dal dialogo con Madre Mirella  è emersa una storia  speciale.

Una storia  dove la tematica principale è il viaggio: la vita come un viaggio.

Una storia fatta anche  di passaggi, attraverso porte che a volte si socchiudono senza far rumore e altre volte si aprono all’improvviso, lasciando intravedere un paesaggio nuovo.

Una donna meravigliosa, infinita, che parte da Siderno da bambina,  e va ad abitare a Genova insieme alla sua famiglia.

Da piccola desiderava  vivere come il profeta Elia, “sul monte, nella grotta”, ma poi, all’età di 15 anni “accadde qualcosa, che non saprei definire: era come se le esperienze passate nel vivere e nel vedere la povertà e l’umiliazione di tanti, e l’indifferenza e l’ingiustizia che mi circondava, mi avessero scavato dentro un solco invisibile, emergendo dalla coscienza. Allora sorse la domanda: perché? E la rivolsi proprio a lui, al Dio dell’universo e delle piccole cose: “Dove sei? Perché non fai nulla? Non vedi, non senti?” E un giorno gli dissi: ‘Se te ne stai a guardare, io non starò con te. Se mi vuoi, mi cerchi tu!’. E quel giorno durò per venticinque anni…”

Nel 1969, dopo aver partecipato, come studentessa di un liceo di Genova, alle lotte rendere la scuola più aperta e meno classista, Mirella vince una borsa di studio per un periodo di studio in Germania, per proseguire la preparazione della tesi in letteratura tedesca.

L’identità di figlia di emigrati e di un padre navigante avvicina Mirella a tutti gli esuli, e questo lo esprime e lo rivendica quando insegna in un liceo di Parigi, quando si tratta di coinvolgere e far sentire partecipi i figli degli algerini e di tanti paesi africani che negli anni ‘70 arrivano sempre più numerosi a riempire le periferie delle città francesi: “Era come se mi riservassi il diritto di essere me stessa solo in alcuni brevi momenti: nel dialogo con un poeta o un filosofo, oppure nel contatto con quelli che sarebbero stati, negli anni successivi, i miei studenti, con cui mi aprivo comunicando spontaneamente quel che avevo dentro, o nell’aprirmi ai luoghi che attraversavo, le isole della Senna, i Boulevards, le stradine di Montmartre e dei quartieri più antichi: parlavo con ciò che mi parlava…e mi sentivo ‘parlata’ da tutto ciò che aveva una storia umana di erranza, di bellezza, di povertà, di solitudine comunicativa – allora mi sembrava di essere a casa ovunque”.

Poi, passati i venticinque anni da “quel giorno”, arriva l’incontro con quel Dio con cui aveva “litigato” a 15 anni: “Sulla soglia di casa, mi fermai un attimo, giusto il tempo di realizzare che un sentimento sconosciuto aveva preso dimora in me, e mi abitava: la figlia di un padre errante sugli oceani aveva accolto, in quel giorno nuovo, la richiesta d’asilo di una paternità errante nel mondo, ricevuta da quel corpo che portava in sé stesso tutto l’esilio di Dio…”

Sonia ed Esther, sono come due fari per Mirella, nel suo cammino di migrante tra Italia e Francia, fondamentali le figure di Sonia ed Esther:

La prima è una maestra delle scuole elementari di quando era a Genova, la seconda è una donna di Parigi. Anche grazie a loro trova dei libri, tra cui la biografia di Santa Teresa d’Avila e la Bibbia. La lettura della Genesi e del Vangelo di Giovanni aprono delle finestre da cui arriva una luce per tanto tempo ignorata o covata: “Ecco la luce che splende nelle tenebre e non si spegne, ma le percorre, le attraversa come un fiume carsico, o come il sangue nelle vene del corpo umano”. Finestre come ferite:“Le divisioni sono come le ferite di quell’essere uno, e quelle ferite, se lo vogliamo riconoscere, sono le porte stesse della luce…”.

Mirella, oltre a scrivere e pubblicare libri di poesia e un romanzo in francese, inizia a dipingere icone bizantine, frequentando, a Parigi, un corso con un maestro. Poi c’è il ritorno in Calabria, verso l’eremo dell’Unità, dove abita da ormai quasi venti anni.

Il finale del libro riprende un aneddoto dell’inizio, quello del rabbino Yehoshua ben Levi, ripreso dal Talmud babilonese. “La sorte del suo popolo esiliato lo addolorava al punto da rivolgersi al profeta Elia, pregandolo di supplicare Dio perché inviasse presto il Messia. Elia gli rispose: ‘Il Messia è già venuto!’

L’evento è stato intervallato dall’esecuzione di alcuni brani musicali  da parte di Francesca Cristofaro.

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