Non voglio mica la luna

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Correva l’estate 1984 e  Fiordaliso cantava “Non voglio mica la luna”.

Il testo parla di una donna che vuole un po’ di solitudine, per stare da sola e guardare le stelle e avere un po’ di tempo per sé, e fare l’amore con l’uomo che ama.

Ero stata rimandata in matematica e papà mi accompagnava a Palmi dal prof.  Domenico Furina per fare ripetizione.

Ho sempre odiato la matematica, ricordo avevo  9  in tutte le materie e 3 in matematica.

Fortunatamente, gli anni successivi, i professori capirono la mia antipatia per questa materia e fui sempre promossa.

Dalla strada che dal borgo natio porta a Palmi, denominata Pontevecchio, si vede un tratto del fiume  Petrace.

L’estate, stagione a me cara, danzava nell’aria insieme alla canzone di Fiordaliso.

Ricordo il verde intenso della vegetazione, lo stesso colore degli occhi della statua di Santa Teresa,  che si trova nella chiesetta del borgo.

Odiavo la matematica, ma quel tratto del Petrace, mi confortava accarezzando la mia anima.

Spesso  guardando il Petrace,   immaginavo un  principe che a bordo di un bellissimo vascello, andava a trovare la sua principessa.

Avevo da poco  letto la magica leggenda del fiume Petrace ,legata al mito di Oreste, che si purificò nelle sue acque (chiamate anticamente Metauros) per liberarsi dalla follia dopo aver ucciso la madre Clitennestra. L’oracolo di Delfi indicò a Oreste proprio questo fiume, che doveva avere sette affluenti, come luogo di purificazione. Dopo essersi purificato, si dice che Oreste abbia fondato un tempio di Apollo e una città chiamata Porto Oreste.

In segno di gratitudine, fondò un tempio dedicato ad Apollo e appese alla sua spada l’arma con cui aveva commesso il matricidio, che poi lasciò presso un alloro.

Secondo la leggenda, Oreste fondò anche una città, Porto Oreste, corrispondente all’odierna frazione di Rovaglioso, nel comune di Palmi.

Sempre secondo la leggenda,la spada di Oreste rimase lì fino alle guerre puniche, quando Annibale la prese per utilizzarla come arma invincibile.

Io cantavo “Non voglio mica la luna” e,  tutto quello che desideravo era una città piena di libri, con un teatro, un museo da visitare e il mare.

Sognavo di diventare grande e vivere in una bellissima città piena di stimoli culturali.

Andavo a Palmi  per le ripetizioni a giorni alterni, mentre gli altri giorni papà ci portava al mare alla Tonnara.

Ho sempre amato il mare ed in particolare lo scoglio dell’Ulivarella, allora la spiaggia era pulitissima, purtroppo oggi spesso è piena di rifiuti.

Adoravo d’estate spedire ai parenti le cartoline con lo scoglio dell’Ulivarella.

Ricordo con infinita nostalgia l’ultima spedita, dove avevo scritto:” Ti aspetto qui…”

Oggi i cellulari e i social hanno fatto scomparire le bellissime cartoline.

Ricordo che  quando ne ricevevo una, era   una gioia.

Le conservo ancora gelosamente.

“Non voglio mica la luna”, cantavo sognando ad occhi aperti.

Ero affamata di vita, quella vita  che al borgo natio mancava.

Un giorno a Palmi , vidi una ragazza, vestita elegante che saliva su una macchina e ricordo di aver pensato che un giorno anch’io sarei diventata in quel modo.

Allora sembrava tutto lontanissimo , come se il tempo non volesse passare.

Invece è volato via , cancellando i sogni e le speranze.

Ancora oggi “non voglio mica la luna”, mi accontento di poco: un caffè, un foglio bianco, un po’ d’inchiostro, un cielo stellato.

Da lontano oltre la vecchia ferrovia all’alba odo il canto del gallo.

Non conosco i proprietari del terreno, dove c’è un piccolo pollaio, ma li ringrazio dal più profondo del mio cuore, perché il canto del gallo mi regala attimi di felicità.

Attimi indimenticabili che cancellano il dolore e la solitudine.

Il canto del gallo conforta la mia anima, riportando al mio cuore l’infanzia perduta, le albe rosate tra gli ulivi e il rosso dei tramonti musicati dalla campana della nobile Cannavà.

Ormai da moltissimi anni non percorro più la strada del Pontevecchio, ma d’estate nel mare della  mia solitudine, penso spesso a quell’angolo del Pontevecchio  dove il verde delle piante bacia il Petrace e penso all’estate del 1994 dove ”la matematica non sarà mai il mio mestiere”, come cantava il mitico Antonello Venditti.

Penso ai sogni di quel periodo, all’amore perduto, alle speranze, allo smalto rosa che avevo comprato alla Upim di Gioia Tauro, al lucidalabbra che mi faceva sentire grande.

Il giorno che avevo comprato lo smalto, tornando a casa cantavo “non voglio mica la luna”.

Passò l’estate e  a settembre l’esame di riparazione andò bene.

Fui promossa, nonostante l’odio per la matematica.

Papà e mamma mi regalarono un paio di orecchini d’oro con il corallo.

Un altro anno di scuola mi aspettava.

Presto sarei ritornata a Reggio Calabria, al primo banco insieme a Mimma  Iaria la mia compagna  di banco di Roccaforte Del Greco.

Vorrei tanto rivederla.

Rifiutavo la fine dell’estate e continuavo ad ascoltare Fiordaliso, sognando il verde del Petrace.

Qualche giorno fa per caso ho sentito alla radio la canzone di Fiordaliso ed è ritornata al mio cuore l’estate del 1984.

Ho pianto  il tempo passato e i sogni perduti.

Ho pianto le poche lacrime che mi sono rimaste, con la sola certezza che ancora oggi

“non voglio mica la luna”, ma poter continuare a sperare in  un domani migliore ed ascoltare  il canto del gallo all’alba per sognare ancora.

Caterina Sorbara

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