Si ritroveranno domenica 29, alle 10, sulla strada provinciale 23, residenti, automobilisti, commercianti e tutti coloro che dopo circa nove mesi dell’interdizione al traffico del tratto Joppolo-Coccorino per la caduta di alcuni massi, sono ancora delusi e arrabbiati dai numerosi disagi che la chiusura sta arrecando.
Non si rassegna, infatti, chi quella strada l’attraversava quotidianamente e che domenica chiederà, ancora una volta, l’intervento di chi, Enti o politica, si mostra indifferente. È un urlo di rabbia lanciato da chi, dopo varie passerelle istituzionali, studi specifici e valutazioni oggettive sperava che qualcosa si muovesse, invece nulla.
L’ultimo sopralluogo risale a metà giugno quando il responsabile della Protezione civile calabrese, Carlo Tansi, aveva rilevato la pericolosità di riaprire il tratto di provinciale in quanto, a monte, sono presenti migliaia di blocchi di roccia di varie dimensioni pronti per cedere. Il versante che si estende a monte del tratto Joppolo-Coccorino fino al crinale di Petto della Torre, è soggetto da varie decine di anni al fenomeno della caduta massi a causa di un’erosione diffusa che ha progressivamente amplificato la già elevata propensione naturale a dare luogo a crolli di blocchi di roccia di notevoli dimensioni a causa del fatto che le strutture di protezione fin qui realizzate spesso si sono dimostrate inefficaci, danneggiandosi e permettendo alle rocce rilasciate dalle pendici sovrastanti di raggiungere la sede stradale.
L’unica cosa da fare, secondo Tansi era quella di ultimare il progetto originario e renderlo esecutivo con il completamento dell’opera che prevedeva, oltre ai muri, barriere paramassi e reti con funi e chiodi di acciaio mai realizzati.
Era giunto alle stesse conclusioni anche il geologo Giuseppe Scalamandrè che a marzo, su incarico dell’amministrazione provinciale che chiedeva delle valutazioni al fine di individuare gli interventi idonei alla protezione della pubblica incolumità, aveva redatto uno studio geologico finalizzato alla valutazione della pericolosità da caduta massi lungo le scarpate di monte del tratto interessato. “Nonostante si tratti di fenomeni sporadici – si legge nella relazione – le zone del pendio potenzialmente capaci di innescare i crolli sono così diffuse da rendere il fenomeno assai pericoloso”.
“In tale scenario – proseguiva la relazione – i possibili interventi strutturali per la riduzione del livello di rischio non possono che essere di tipo passivo, in grado cioè di intercettare e arrestare la corsa dei massi in caduta a monte della strada o che permettano alle traiettorie di caduta di oltrepassarla senza interferenze con la sede viaria e le strutture annesse. Questi interventi possono essere rappresentati rispettivamente da: barriere paramassi o gallerie paramassi. La soluzione ottimale è rappresentata da un intervento misto barriere-gallerie paramassi“
Bisognava partire da subito, secondo Tansi, con la messa in sicurezza strutturale del versante per completare l’opera al più presto, fino ad oggi tutto tace.