Un’istanza a firma dell’avvocato Giuseppe De Pace, legale di Rosaria Scarpulla e Francesco Vinci, genitori di Matteo, il giovane biologo morto all’interno della propria auto fatta esplodere con un ordigno a distanza il 9 aprile 2018, è stata inviata al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.
“Ho scritto una lettera al Ministro della Giustizia – afferma il legale – per informarlo del fatto che, a causa di un vizio di notifica, o meglio di una notifica arrivata tardivamente, i presunti assassini di Matteo Vinci, il giovane biologo morto all’interno della propria autovettura fatta esplodere con un ordigno a distanza nell’aprile dello scorso anno, potrebbero tornare presto a piede libero”
“Il 26 giugno 2018 – prosegue De Pace – la Dda di Catanzaro ha tratto in arresto i presunti autori della strage di Limbadi, tutti appartenenti al clan Mancuso. Solo il 16 maggio di quest’anno la Procura della Repubblica competente ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio al Gup, il quale, in pari data, ha provveduto ad emettere il decreto di fissazione dell’udienza preliminare per il 7 giugno 2019. Ai sensi di legge, la notifica alle parti doveva compiersi entro il 28 maggio (almeno dieci giorni prima dell’udienza). Per ragioni ad oggi sconosciute detta notifica all’imputata Lucia Di Grillo è stata fatta solo il 4 giugno, tre giorni prima dell’udienza! Per l’effetto il Gup, come suo obbligo, ha disposto il rinvio dell’udienza al prossimo 21 giugno. Detto ciò, se la notifica del verbale non verrà effettuata entro il giorno 11 giugno 2019, e cioè fra soli tre giorni, il processo subirà un ulteriore rinvio e, per conseguenza, gli imputati, il 26 giugno, termine di scadenza della custodia cautelare, verranno rimessi in libertà – prosegue il Legale -. Venerdì la signora Rosaria Scarpulla, madre della vittima, ha occupato la Stazione dei Carabinieri di Limbadi chiedendo agli stessi di attivarsi, immediatamente e senza ulteriori indugi, a notificare la data della prossima udienza all’imputata Di Grillo. La mia assistita, sentendo come concreta la possibilità dell’imminente scarcerazione dei presunti assassini di suo figlio, teme fortemente per la propria incolumità e per quella del marito, già rimasto anch’egli gravemente ferito durante l’esplosione che ha ucciso Matteo. Come è evidente, in uno scenario così allarmante, solo il repentino e diretto intervento del Ministro della Giustizia può consentire l’effettuazione di quegli adempimenti di legge che costituiscono i presupposti necessari al proseguimento di un giusto processo. È per questo motivo che stamattina ho chiesto personalmente al Capo di Gabinetto del Ministro di attivarsi per sottoporre allo stesso la mia richiesta. Confido, dunque, in un’azione concreta e tangibile da parte del Ministro Bonafede poiché è inaccettabile che in uno stato democratico in cui la lotta alla mafia dovrebbe essere l’obiettivo principale e non barattabile da parte della politica, della magistratura e delle Istituzioni tutte possano verificarsi simili storture. Lo Stato non può permettersi di abbandonare la famiglia Vinci, così come tutte quelle altre famiglie che tanto coraggiosamente si sono esposte in prima persona dicendo no alla protervia e alla violenza mafiosa” conclude il Legale.
Nella giornata di ieri un appello firmato da Salvatore Borsellino, don Giacomo Panizza, Francesca Munno, Agostino Pantano, Francesco Saccomanno, Maria Pia Tucci e Sonia Rocca, è stato reso pubblico. Noi lo pubblichiamo integralmente:
“Le ultime traversie connesse alle notifiche in vista dell’udienza preliminare nel processo per l’autobomba di Limbadi, tra ritardi e omissioni, oltre ad aver causato il rinvio dell’inizio del dibattimento, hanno prodotto l’accorata protesta dei genitori di Matteo Vinci ed hanno suscitato allarme tra i cittadini che continuano a chiedere verità completa e giustizia celere per punire chi si è macchiato di un così tracotante atto terroristico-mafioso, culminato con l’esplosione della bomba di Limbadi del 9 aprile del 2018.
E’ forte il timore che, dopo il pronunciamento della Cassazione favorevole all’indagata Lucia Di Grillo – posto dall’autorità inquirente a base della richiesta di archiviazione della sua posizione! – la mancata notifica alla stessa della convocazione davanti al GUP possa continuare a far instradare in maniera discutibile e contraddittoria un processo su cui pure la Dda di Catanzaro sostiene di aver investito tanto impegno e professionalità.
Non a caso, la restante parte del nucleo familiare dei Mancuso, pur dovendo rispondere di queste gravissime accuse, ha assunto l’atteggiamento di chi pensa di poter far a meno di presentarsi al cospetto del Giudice, approfittando del rinvio dell’udienza che ora rischia, incredibilmente, di far pure scadere i termini della custodia cautelare.
Sarebbe una sconfitta insopportabile quella di vedere, durante il processo, tutti gli indagati a piede libero, tornare ad essere vicini di casa dei genitori di Matteo, ancora proprietari del terreno confinante con il fondo agricolo che è all’origine del calvario e delle angherie subite dalla famiglia Vinci. Ne uscirebbe offuscata la forza e l’autorevolezza dello Stato di diritto, oltre che andarne di mezzo la stessa sicurezza di chi, come Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla, per via di questi ritardi non ha potuto formalizzare ancora la costituzione di parte civile e continua a vivere con un sistema di protezione assai circoscritto e, a nostro avviso, inadeguato.
Nell’associarci quindi all’invito che i coniugi Vinci hanno rivolto agli uffici giudiziari, ovvero di non lasciare, d’ora in poi, nulla di intentato affinché ogni formalità venga predisposta con la massima attenzione che il caso merita, rinnoviamo l’appello all’opinione pubblica calabrese e nazionale, alle istituzioni, alle organizzazioni sociali ed alle varie associazioni, per fare in modo che l’attività degli organi requirenti venga sostenuta anche attraverso una mobilitazione che favorisca in questi giorni la costituzione di parte civile di più soggetti collettivi possibile e per evitare che scenda il silenzio intorno al processo che si deve aprire; in modo che i coniugi Vinci non si sentano soli e che i loro sospetti carnefici possano perdere definitivamente quell’aura di impunità che in tutti questi anni, e anche di recente, hanno sembrato mantenere fuori e dentro il territorio di Limbadi”.
“Li combatterò fino alla fine, imputati e avvocati. E’ inutile mettere in scena strategie finte e stupide. E’ finito il tempo dell’ignoranza e anche se sono una mamma afflitta e addolorata a causa di persone che hanno solo guardato pecore e ragionato con gli animali, sarò lo stesso una iena”.
Non si placa, intanto, la delusione e la voglia di continuare a lottare di Rosaria Scarpulla dopo il rinvio a giorno 21 dell’udienza preliminare prevista per il 7 davanti al Gup di Catanzaro che doveva avviare il procedimento penale sull’omicidio del biologo 44enne.
Insieme al marito Francesco Vinci sono in trepidante attesa perché entro l’11 giugno Lucia Di Grillo, imputata nel processo per la morte del figlio, dovrà ricevere la nuova notifica del decreto, quello stesso documento, cioè, consegnatole in ritardo per il 7 giugno determinandone il rinvio. Se la notifica non sarà consegnata entro quella data causerà un’ulteriore proroga cosicché gli imputati detenuti in carcere potranno uscire per scadenza dei termini di custodia cautelare.
“Credo che per ogni cosa che si fa automaticamente ci vuole il tempo dovuto – afferma la Scarpulla –, ma considerando che l’invio di tale documentazione è già stabilito per legge, dovrebbe esserci puntualità. Da qui è chiaro che è tutto sabotato. Se la legge pone dei termini bisogna rispettarli e non ci sono giustificazioni che tengano. Il 7 doveva essere tutto pronto, se così non è stato vuol dire che qualcuno ci ha messo lo zampino”. Un ritardo che Rosaria non accetta. Ed è per questo che lo stesso giorno ha voluto simbolicamente occupare la Stazione dei Carabinieri di Limbadi chiedendo ai militari di attivarsi senza ulteriori indugi a notificare la data della prossima udienza alla Di Grillo. “Il procuratore Nicola Gratteri ha un compito da svolgere e fino ad oggi lo ha fatto bene – dichiara –, però deve stare attento di chi si circonda. Non conosco il meccanismo, ma non ci si può fidare di nessuno. Considerando quello che è successo dovrebbe verificare, perché c’è qualcosa che non va. Su sei persone che dovevano ricevere la notifica, ai tre in carcere è arrivata, guarda caso non l’ha ricevuta la Di Grillo, nell’occhio del ciclone con i domiciliari avuti senza meritarli, e probabilmente per camuffare l’errore, la notifica è arrivata in ritardo anche a me e mio marito”. Quest’ultimo con tanti problemi di salute a causa dei quali non può neanche stare vicino come avrebbe voluto alla moglie e supportarla in questa drammatica situazione. “Voglio avere fiducia nella giustizia fino alla fine – dichiara –. Nel momento in cui tutto questo finirà, solo allora potrò dire con sicurezza se la mia fiducia è stata riposta bene o no. Matteo ha diritto alla giustizia e anche mio marito che oltre l’attentato durante il quale è rimasto gravemente ustionato con lo scoppio della bomba che gli ha fatto saltare i timpani, ha subito anche un altro tentato omicidio nel 2017 pestato a sangue dalle stesse persone. La speranza ci sarà sempre e io lotterò affinchè i miei uomini abbiano la giustizia che meritano”.
Rosaria e Francesco dal 9 aprile 2018 quando, in località Macrea, Matteo ha perso la vita in modo barbaro ed efferato per colpa di un’autobomba piazzata all’interno della sua auto, attendono ancora che gli assassini del proprio figlio vengano processati. Il forte boato che ha dilaniato e lacerato la Ford Fiesta di Vinci stroncando la vita del giovane, a più di una anno di distanza, riecheggia ancora perchè quell’atto criminale, brutale e vigliacco pretende giustizia. Sotto processo i componenti della famiglia Di Grillo-Mancuso per i quali la Dda di Catanzaro ha chiesto al Gup il processo, Domenico Di Grillo, 72 anni e la moglie Rosaria Mancuso, 64 anni, la figlia Lucia Di Grillo, 30 anni, attualmente ai domiciliari, il marito Vito Barbara, 28 anni, e la sorella di Lucia, Rosina, 38 anni, a piede libero in attesa del rito abbreviato.
I cinque ai quali è contestato l’omicidio di Vinci aggravato dalle modalità mafiose ed il tentato omicidio del padre, secondo gli investigatori, avrebbero organizzato l’attentato perché Matteo e i suoi genitori si erano ribellati alla prepotenza della famiglia ‘ndranghetista che voleva sottrargli un piccolo appezzamento di terra adiacente alle loro immense proprietà. Su quella terra Matteo è morto.