“Io solennemente giuro che eseguirò, fedelmente l’ufficio di Presidente degli Stati Uniti e, come meglio sono capace, preserverò, proteggerò e difenderò, la Costituzione degli Stati Uniti d’America (e che Dio mi aiuti ma quest’ultimo capoverso non è obbligatorio)”. Così, con questa formula semplice, ma efficace, Donald Trump, al pari dei suoi predecessori, ha giurato come nuovo presidente. E’ seguito poi il tradizionale discorso tipicamente “fumoso” e pieno di ovvietà che ci si attende in questi frangenti. Comincia così il mandato del miliardario eletto alla guida della più grande democrazia del pianeta e comincia in un clima che certo non è da festa. Ma andiamo con ordine e vediamo di capire cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo inquilino della Casa Bianca.
Premesse. Trump è un presidente minoritario. Ha preso quasi tre milioni di voti in meno dell’avversario – fatto che non accadeva dal 1888 quando il repubblicano Benjamin Harrison pur ottenendo centomila voti in meno del democratico Grover Cleveland divenne presidente per aver conquistato 233 grandi elettori contro i 168 (cleveland si sarebbe ripreso la rivincita quattro anni dopo) – dopo essersi candidato contro gli stessi esponenti repubblicani. Quindi è anche in minoranza nel Congresso e non ha pensato di accattivrsi le simpatie dello stesso partito di maggioranza, includendo nel suo governo, uomini di valore che di sicuro non mancano all’interno del Partito dell’elefantino. La favoletta che Trump ha raccontato, in merito alla sua intenzione di stravolgere gli assetti del potere a Washington, non merita neanche un commento, poichè il potere ha i suoi metodi per difendersi. Al massimo è una buona trovata publicitaria.
Politica interna. Invece di cercare di rimarginare le ferite di una campagna elettorale al vetriolo Trump, come suo primo atto, sceglie di ridimensionare l’Obamacare – la riforma sanitaria. Bisogna capire che qui in America solo se lavori ti puoi permettere un sistema di cure efficenti. E’ una filosofia di vita derivata dall’etica protestante: se lavori e produci per la società ti curiamo sennò ti arrangi. Solo negli anni sessanta furono introdotti il Medicare il Medicaid con le quali si fornì una assicurazione per le cure mediche, rispettivamente degli anziani e dei poveri, attraverso un sistema di assicurazioni sociali. Sono tra coloro che reputano che grossi sussidi ai poveri possano diventare un disincentivo al lavoro e vanno ponderati bene, secondo il ciclo economico e secondo le caratteristiche e le vicende di ogni soggetto, ma non si può far meno di notare che il ridimensionamento di una misura di equità sociale non è un bel biglietto da visita anzi a molti appare per quello che forse è, un atto di classismo.
Economia. Anche qui ci sarà da stare allerta. Cosa altro può fare un miliardario se non perseguire una politica fiscale che tolga le tasse ai ricchi scaricandole sulla classe media? Del resto, i tempi del del miliardario-filantropo, come il buon Morgan che lasciò a enti benefici e Università e biblioteche 350 milioni di dollari (oltre i 3/4 del suo patrimonio personale), sono finiti da tempo. Era un altra epoca, un altro stile, dove la ricchezza non si esibiva. E questa politica fiscale – unita alla deregulation – non è forse la stessa, che ha fatto esplodere il deficit americano e ha portato alla grave crisi economica mondiale? Non rassicura poi di certo il ruolo attribuito a Steven Mnuchin (ex partner di Goldman Sachs e direttore finanziario della campagna elettorale), scelto come segretario del Tesoro.
Esteri. Anche qui non c’è da stare allegri. Sono tra quelli che sostiene che il dialogo con Mosca, e spera in una modernizzione di quel paese che fa parte della comune civiltà euroatlantica ma spero che il neo presidente onorerà tutti gli impegni in ambito NATO. I popoli che in passato hanno sofferto sotto il tallone moscovita non vi devono ricadere anche se noi, non dobbiamo intrometterci nei loro affari interni ma anzi dobbiamo coinvolgerli come fattore stabilizzante soprattutto in funzione del possibile avversario che è, e resta la Cina. Per quanto riguarda il Medio Oriente non rassicura poi la scelta di Michael T. Flynn, 57 anni, generale a riposo, nominato da Trump consigliere per la sicurezza nazionale. Sono d’accordo con Flynn sul fatto che il vero nemico regionale è, e resta L’Iran. Un Iran dotato di una bomba nucleare, sarebbe una minaccia mortale per gli equilibri della regione e scatenerebbe una corsa al riarmo molto pericolosa. Temo però che Flynn- in accordo con il neo-segretario alla Difesa James Mattis – 66 anni, leggendario e pluri-decorato ex generale dei marine, detto “cane rabbioso” – possa portare ad un innalzamento della tensione con Teheran e tutti ci ricordiamo come finì la vicenda irachena. E si badi bene che – per territorio, popolazione e armamenti, l’Iran non è certo l’Irak di Saddam. L’Iran si indebolisce invece risolvendo la questione palestinese che infiamma le masse arabe, togliendo la Siria dalla grinfie di Assad (anche a costo di cantargliele a Putin), paese dove una minoranza sciita filoiraniana opprime la maggioranza sunnita e stabilizzado l’Irak. Non rassicura infine la presenza di Rex Tillerson – ingegnere e Ceo della compagnaia petrolifera Exxon – che non si capisce bene quale esperienza possa avere in questo campo a parte le relazioni intessute – guarda caso – con gli stessi Russi. Per quanto riguarda la Cina – la grande nemica di Trump durante la campagna elettorale – l’uomo da non perdere di vista sarà Wilbur Ross, 79 anni, scelto come segretario al Commercio. Presidente e strategist della società di private equity W.L. Ross & Co., Ross sarà colui che dovrà mettere in pratica le promesse più ardue di Trump: riportare posti di lavoro in America, disegnare una nuova politica per gli accordi commerciali e soprattutto far tornare quelle industrie del manifatturiero che sono andate via dal Paese in cerca di un costo del lavoro inferiore. In una recente intervista ha definito la Cina “il Paese più protezionista tra le grandi economie”, facendo aumentare le tensioni tra Washington e Pechino. Dimentica che però parte del debito pubblico americano è in mano proprio alla Cina. Obama stesso aveva – con la strategia del Pivot To Asia – inaugurato una fase anticinese nella politica estera americana. Ma anche qui bisogna andare cauti.
Nomine strane. Colpiscono le nomine del genero del presidente, Jared Kushner a senior adviser, con incarichi specifici su commercio e Medio Oriente, quella di Steve Bannon – ex Goldman Sachs, e capo del sito di estrema destra Breitbart News, famoso per le sue posizioni antisemite, razziste ed estremiste – e dei miliardari Peter Thiel e Rebekah Mercer.