“La difficoltà di collaborazione tra agenzie di intelligence a livello europeo deriva principalmente dalla mancanza di un comune spazio giuridico perché i Servizi sono regolati in modo diverso nei diversi Stati”.
Ed è con queste importanti parole, che Alfredo Mantici, Responsabile dell’Ufficio analisi del SISDE dal 1998 al 2002, ha iniziato la sua lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Mantici ha poi illustrato la riforma dell’intelligence italiana, sostenendo che prima di tutto è fondamentale definire l’intelligence nella legislazione specifica, altrimenti occorrere fare ricorso alla descrizione di spionaggio presente nel Codice Penale. Secondo il suo punto di vista, “l’intelligence è la raccolta e l’analisi di informazioni non altrimenti disponibili, utili al processo decisionale dell’esecutivo in materia di sicurezza nazionale. É questo il valore aggiunto dell’intelligence che è distinta dalle attività delle forze di polizia”. Ha poi proseguito ricordando che “fino alla seconda guerra mondiale i Servizi di informazione in Italia erano esclusivamente militari, con il Servizio Informazioni Militari, mentre la sicurezza nell’ambito dei confini nazionali dipendeva dal Ministero dell’Interno, in particolare dal Capo della Polizia, da cui dipendeva l’Ufficio degli affari riservati a cui facevano riferimento gli uffici politici delle questure e dei commissariati”. Ha quindi ribadito che “il ‘68 ha scosso le fondamenta della società anche in Italia, dove poi è esploso il terrorismo, dimostrandone l’inadeguatezza dell’approccio dell’intelligence, rendendo quindi necessaria una regolamentazione nel 1977 che ha contribuito a smantellare il complesso e diffuso fenomeno terroristico”. Per il docente, però, la normativa presentava dei limiti in quanto “la creazione del SISDE e del SISMI, che facevano riferimento rispettivamente al Ministro dell’Interno e al Ministro della Difesa, prevedeva una suddivisione di competenze per materie e non per territorio, portando a una sovrapposizione delle attività.
Tutto questo ha determinato incomprensioni e inefficienze, tanto che il Sismi aveva 22 centri all’interno il territorio nazionale con 2700 operatori, mentre solo 60 agenti erano attivi all’estero. L’altro limite era rappresentato dal Cesis, originariamente composto dai due direttori dei Servizi, dal comandante generale dei Carabinieri, dal comandante generale della Guardia di Finanza, dal Capo della polizia, dal Capo di stato maggiore della difesa, dal Segretario generale della Farnesina. Di questo Comitato, un prefetto ne era segretario con funzioni verbalizzanti che nel corso degli anni diventò però il responsabile della struttura”.
Altro limite riscontrato nella legge del 1977, secondo Mantici, era rappresentato dal sistema di reclutamento, incentrato principalmente sul trasferimento da parte delle altre amministrazioni, mentre i fondi riservati, viste le degenerazioni, avevano bisogno di maggiori controlli. “La Legge 124 del 2007, votata all’unanimità dal Parlamento dopo 30 anni esatti dalla prima regolamentazione legislativa – ha ricordato – è composta da 46 articoli, dando vita a un sistema che formalmente è binario, con l’AISI che opera all’interno e l’AISE che opera all’esterno, mentre sostanzialmente è unitario perché il DIS svolge una funzione preminente”.
Ha quindi rilevato la differenza tra modelli organizzativi dell’intelligence che sono binario, in uso in gran parte dei paesi con un Servizio dedicato all’interno e un altro all’esterno, e unitario, come principalmente nel caso della Spagna, che ha un solo Servizio che opera sia all’interno che all’esterno però con un direttore che ha un rango ministeriale e altre due vice direttori che hanno una posizione di sottosegretari.
Mantici ha quindi compiuto una comparazione con i sistemi degli altri paesi, cominciando dal caso britannico, evidenziando come le leggi che regolamentano l’intelligence sono il Security Service Act del 1989, composto da 10 articoli, e il Secret Service Act del 1994, dotato di 7 articoli. Con queste disposizioni si disciplinano il contrasto e l’attività di spionaggio contro il terrorismo e le azioni di sabotaggio per salvaguardare il benessere economico. “Si tratta di norme straordinariamente semplici” ha detto, evidenziando che “nel caso del Regno Unito i ministri autorizzano operazioni di qualunque tipo assumendosi pienamente la responsabilità. Infatti, l’intelligence opera per funzioni in modo da ottenere informazioni in relazione alle intenzioni di chi vuole operare ai danni dello Stato, prevedendo anche che si possano attuare reazione alle azioni e alle intenzioni di queste persone. C’è, poi, un Lord Justice che controlla l’attività e la regolarità delle attività dei Servizi e in caso rilevasse illegalità le riferisce al ministro competente e al primo ministro”. Il docente ha messo in evidenza che “il sistema di reclutamento britannico avviene in tre modi: la selezione all’interno delle Università; la presentazione di domande con una valutazione molto severa; attraverso le selezioni del Civil Service, dove le persone vengono individuate dagli operatori del MI5 e MI6 che assistono agli esami.
Mantici ha poi esaminato l’organizzazione dell’intelligence israeliana che si divide in tre agenzie: lo Shin Bet, che è il Servizio di sicurezza interna; il Mossad, che opera all’estero; Aman, che si occupa delle informazioni militari. A quest’ultimo è delegata in esclusiva l’attività di analisi. Il modello israeliano è piuttosto particolare, poiché si tratta di uno Stato con circa 4 milioni di abitanti, dove i ragazzi per tre anni e le ragazze per due devono svolgere obbligatoriamente il servizio militare. Questo crea delle relazioni informali che diventa molto utile nell’attività dell’intelligence. Nel modello israeliano le funzioni amministrative sono nettamente separate da quelle operative e di analisi. Il Mossad ha 500 agenti operativi che hanno una capacità di penetrazione straordinaria, perché possono contare sul sostegno delle comunità ebraiche presenti in tantissime nazioni. Inoltre, nel sistema israeliano una parte di chi opera all’interno dei Servizi ne fuoriesce svolgendo attività esterne, continuando però a collaborare attivamente con l’intelligence.
Questo consente una grande efficacia, preclusa, per esempio, nel caso italiano, dove ai dipendenti delle agenzie è vietato avere rapporti con i pensionati delle rispettive agenzie.
Il caso statunitense è particolare poiché negli States operano17 agenzie di intelligence che condividono le attività di informazioni.
La CIA ha un direttorato per le operazioni sul campo e l’altro per l’intelligence che nel sistema americano è solo analisi. Tra loro, però, si riscontra una notevole difficoltà nella condivisione delle informazioni. Un altro limite strutturale di questo sistema è che c’è una differenza tra gli operativi e gli analisti, poiché i primi, che operano all’estero, hanno un tenore di vita molto elevato, mentre i secondi, che lavorano nella sede centrale della CIA a Langley, ricevono uno stipendio molto basso e quindi cambiano spesso lavoro nelle società private. Si tratta di un sistema mastodontico ma fragilissimo, come ha dimostrato l’11 settembre.
In Francia, la riforma del Presidente Francois Hollande del 2014 che ha affiancato al DGSE la DGSI, determinando quelle incertezze organizzative che non hanno consentito ai servizi di contribuire a impedire gli attentati al Bataclan, a Charlie Hebdo, al quartiere ebraico oppure a Nizza.
L’ultimo caso citato è stato quello della Russia che si è convertita al modello binario, sdoppiando il KGB che aveva due direttorati per gli esteri e per gli interni, con la creazione del FSB per l’interno e la SVR per l’estero.
Mantici ha concluso sostenendo che dalla comparazione con gli altri sistemi, possiamo individuare elementi che possono migliorare anche l’operatività dell’intelligence in Italia, individuando operatori e vertici tenendo conto delle esigenze del XXI secolo.