Al poeta vibonese Vincenzo Ammirà, anticipando le celebrazioni per il bicentenario della nascita (è infatti nato a Vibo Valentia, allora Monteleone, il 2 ottobre del 1821) l’Associazione Culturale Anassilaos ha dedicato un incontro con la partecipazione della Prof.ssa Francesca Neri e della responsabile Poesia Anassilaos Pina De Felice che ha introdotto il tema e letto alcune delle liriche. L’intero incontro è disponibile da ieri sul sito facebook di Anassilaos e su You Tube. Su Ammirà, fino a non pochi decenni fa, ha pesato la nomea di “poeta maledetto”, osceno e blasfemo soprattutto per quel poemetto, “La Ceceide”, dedicato a celebrare la dipartita delle più celebre prostituta di Monteleone, da pochissimi letto per intero, da pochi soltanto a stralci e da tutti citato per sentito dire che ancora oggi l’ Enciclopedia Italiana definisce “pornografico”. L’opera, scritta in età giovanile, condizionò la vita dell’artista che viveva e operava in una realtà provinciale e chiusa come poteva essere la Calabria del XIX secolo. Egli non era uomo per tutte le stagioni e i regimi. Fu fieramente antiborbonico, sostenitore della causa nazionale e questo gli costò sicuramente l’arresto e il carcere per avere l’occhiuta polizia borbonica trovato in casa sua, nel corso di una perquisizione, una copia manoscritta della Ceceide e addirittura il Decamerone di Boccaccio. Per questo il poeta fu accusato e condannato per «detenzione e scritto di canzone contraria al buon costume e di detenzione di libro che offende il buon costume». Il crollo del regime e l’arrivo di Garibaldi a Monteleone, di cui il poeta fu sostenitore, non cambiarono di molto la sua condizione. Egli era uomo di una sola stagione, incapace di “riciclarsi” e la sua dirittura ben poco gli servì con il nuovo regime savoiardo. Quando chiese di poter insegnare nel liceo di Monteleone l’insegnamento gli fu negato proprio a causa di quella condanna per oscenità che lo perseguitò per tutta la vita. Insegnò quindi privatamente e per due anni lavorò presso il locale ufficio del Dazio. La gran parte della sua opera rimase manoscritta (in vita pubblicò nel 1861 soltanto un volume di poesie giovanili) e spettò ad Antonio Piromalli, il grande studioso e sistematore della letteratura calabrese e a D. Scafoglio, nella premessa alla pubblicazione della Ceceide nel 1975, riscoprire e, per così dire, riabilitare il Vibonese ponendo le basi per una visione critica matura della sua poesia. Ancora qualche anno e nel 1979, sempre a cura di Piromalli e Scafoglio sono stati pubblicati gli altri due poemetti osceni di Ammirà, La Ngagghia e la Rivigliade. La Ceceide è la celebrazione della sessualità e dell’eros contro ogni condizionamento sociale, morale e/o religioso e si capisce come l’opera potesse urtare la sensibilità dei benpensanti sempre presenti in ogni tempo e ogni latitudine, anche per l’esplicita citazione di taluni personaggi ben conosciuti come il filosofo Galluppi (E Galluppi lu dotturi / puru avisti ammenzu a tanti /Chi t’amau di pacciu amanti, / ti chjavava a tutti l’uri /cu la sua filosofia / Cecia amata , Cecia mia …). C’è nell’opera come una traccia lontana degli antichi riti greci che esaltavano la fecondità e il fallo. Nel poemetto di Ammirà al centro di tutto c’è la vulva di Cecia, la porta grande o porta segreta come la chiama il poeta e questo spiega la ritrosia di divulgare l’opera almeno fino alla pubblicazione del 1975. Il tema della prostituzione d’altra parte, sia in letteratura che in musica, da sempre si presta a censure. Basti pensare alla celebre canzone di Fabrizio De Andrè, quella Bocca di Rosa che “metteva l’amore sopra ogni cosa”.