L’area del waterfront ancora sottoposta a sequestro e in totale stato d’abbandono: arbusti, rovi e canne dappertutto, rifiuti sparsi ovunque, giochi per bambini ormai inutilizzabili, impianto di viodeosorveglianza fuori uso, asfalto sopraffatto dalla folta vegetazione ai margini della carreggiata. Somme importanti spese inutilmente, mentre un manufatto in cemento impedisce l’accesso ai veicoli, ma non ai pedoni. Uno spettacolo per nulla esaltante e che il presidente del “Comitato per la tutela della costa tirrenica”, Giacomo Saccomanno, protagonista, in passato, di tante battaglie contro il mare sporco, non esita a mettere nel mirino. Il professionista rosarnese, indispettito dallo stato d’abbandono che si ritrova attorno, non esita a picchiare sulla tastiera per redigere un’istanza di dissequestro indirizzata direttamente alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia. <L’istante – premette – è ben consapevole che non ha, certamente, una legittimazione processuale ad avanzare alcuna richiesta, ma sente il dovere civico di segnalare ciò e di sollecitare, se possibile, l’emissione di provvedimenti urgenti per evitare la distruzione totale delle opere eseguite>. Saccomanno, in sostanza, prova a smuovere le acque chete dell’incresciosa situazione nel tentativo di accelerare le decisioni della magistratura ed evitare che tutte le opere sino ad oggi realizzate soccombano definitivamente all’incuria.
Un’iniziativa la sua piuttosto insolita e promossa sia nella veste di <cittadino italiano> che di presidente di un comitato che della lotta al mare sporco e inquinato ha fatto la sua bandiera. Nella sua istanza, Saccomanno sintetizza le vicende del waterfront, un’opera la cui realizzazione sembrava avviata a conclusione prima di essere fermata dall’intervento della Guardia di finanza e della magistratura. Da allora son trascorsi più di cinque anni, il cantiere è sempre sotto sequestro e i lavori fatti appaiono chiaramente vittime del logorio del tempo e del degrado che avanza. Il progetto del waterfront ha visto la luce nel lontano 2011 quando alla guida dell’ente comunale c’era una commissione straordinaria. Quattro anni dopo arrivava il finanziamento e la Stazione unica appaltante (Sua) della Provincia istruiva le procedure di gara e assegnava i lavori alla ditta vincitrice per un importo di 594.210 euro. Il cantiere apriva i cancelli, ma, nel 2017, a seguito di una denuncia presentata da una ditta che si riteneva danneggiata dalla Sua, la Guardia di finanza procedeva al sequestro dell’opera. Le indagini proseguivano e, arrivate a conclusione, quattro persone venivano chiamate a difendersi per i reati di abuso d’ufficio, truffa a danno dello Stato, frode nelle forniture, violazione di sigilli e occupazione abusiva di suolo demaniale. Un’istanza di dissequestro avanzata dal Comune veniva, successivamente, rigettata dal Pm perché l’Ente non ottemperava ad alcune prescrizioni. A cinque anni dal sequestro tutto è ancora fermo e le conseguenze sono molteplici: le opere realizzate appaiono inutilizzabili e la bella somma di circa 500mila euro ancora da utilizzare è sempre più vicina alla revoca.
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