Dopo la seconda guerra mondiale la Società delle Nazioni si sciolse, perché sentì su di sé tutto il fallimento che tale conflitto aveva generato nell’umanità provata in modo irrimediabile dal genocidio, arrivata al punto di impiegare armi così tremende da aprire una stagione in cui diventava sempre più reale lo spettro dell’autodistruzione. In un quadro internazionale bipolarizzato, nasceva l’ONU che in Europa si sviluppava come blocco occidentale a sostegno degli USA, da un lato, mentre, “aldilà del muro”, dominava l’URSS con i paesi satellite.
Nonostante questo scenario, l’Europa – già unita militarmente all’interno della NATO, ed economicamente dal Piano Marshall – riesumò l’idea di un proprio destino federale come unica possibilità per guadagnare nel lungo periodo una credibilità tale da poter tornare a dialogare sul piano di parità con le due superpotenze. Al crollo del regime sovietico sul finire degli anni Ottanta, il vecchio continente rilanciò ulteriormente la propria scommessa sulla Federazione, che avrebbe dovuto superare, come era nelle ambizioni dei suoi padri fondatori, lo stato di unione commerciale e integrarsi completamente a livello economico e politico; per questo fu varato il trattato di Maastricht (1992) che apriva le porte alla cittadinanza europea, rafforzando il potere del Parlamento. Dopo decenni di pace in questi ultimi due anni si è riaffacciata, in modo preoccupante, l’ipotesi di una guerra “a tutto campo”. Il conflitto russo-ucraino ha spaccato di nuovo il mondo: chi fornisce armi, chi tenta blocchi economici verso l’aggressore e chi si dichiara neutrale.
La nostra Costituzione, all’articolo 11, dichiara che l’Italia “ripudia la guerra”. Il rapporto annuale, pubblicato a gennaio 2024 dall’ACLED – organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i conflitti nel mondo – dice che negli ultimi tre anni sono triplicati (147.000 eventi), e riferisce che ci sono più di 50 paesi con “conflitti estremi, elevati, turbolenti”. Se non si ha cura della pace, si rischia sempre di tornare in guerra.
Occorre ritornare allo spirito originario di chi ha voluto fermamente l’Unione Europea: non si può stare ad attendere impotenti all’escalation degli armamenti e dei rapporti di forza sul fronte ucraino o sulla striscia di Gaza. È ora che l’Europa incida e porti la volontà di pace, gli strumenti della diplomazia, i valori che sono fondati sulla cooperazione, sulla pace, sul rispetto delle diversità in nome dell’unità.
Noi, come COORDINAMENTO REGGINO METROPOLITANO CONTRO TUTTE LE GUERRE, chiediamo alle candidate e ai candidati delle prossime consultazioni elettorali dell’8-9 giugno 2024 di dichiarare in modo determinato la loro posizione su:
- a) la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti; b) il coinvolgimento dell’Italia e della Unione Europea negli attuali conflitti tra Russia e Ucraina e tra Israele e Palestinesi; c) l’uso delle armi e la corsa agli armamenti; d) eventuali proposte con l’obiettivo di stabilire nuove relazioni internazionali, partendo da un progetto che affronti, innanzi tutto, le diseguaglianze sociali interne.
E mentre auspichiamo una grande partecipazione alle elezioni di giugno, ci auguriamo che le formazioni politiche non sviliscano, non tradiscano i gli ideali di concordia che hanno permesso di sognare un’Europa unita e non devastata dalla disumanità.
CRM CONTRO TUTTE LE GUERRE
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