Romeo e il Risorgimento italiano.

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Su iniziativa dell’Associazione Anassilaos, congiuntamente  con lo  Spazio Open si è tenuta la conversazione da remoto del Dott. Fabio Arichetta, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e dell’Istituto di storia del Risorgimento Italiano, su Romeo e il Risorgimento italiano, disponibile sul sito facebook di Anassilaos e su you tube  a partire da martedì 2 febbraio.

L’incontro è stato patrocinato dalla Deputazione di Storia Patria per la Calabria nonché dall’Istituto calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea.  Il giovane studioso reggino ha  illustrato le biografie di Giovanni Andrea Romeo (Santo Stefano in Aspromonte 4 luglio 1786 – 28 aprile 1862) di  Pietro Aristeo Romeo  (Santo Stefano in Aspromonte, 5 luglio 1817 – 18 novembre 1886) e Stefano Romeo (Santo Stefano in Aspromonte,  13 settembre 1819 –10 agosto 1869). Giovanni Andrea insieme al fratello Domenico, visse in un ambiente familiare intriso di valori repubblicani, in cui ebbe un ruolo importante il canonico Domenico Marra, suo parente e docente di lettere e filosofia, che aderì con entusiasmo al decennio francese. Entusiasta, si arruolò nell’esercito murattiano come ufficiale del genio. Tornato in Calabria, Romeo assunse il comando dei volontari armati del suo distretto, per contrastare il brigantaggio filoborbonico e, sempre nel 1806, fu nominato aiutante di campo del generale Reynier in Calabria Ultra. Dopo essere stato imprigionato nel castello di Pizzo a seguito della restaurazione, fu scarcerato beneficiando della politica di pacificazione voluta dalla Corona. Espressione di un notabilato locale forte e avvantaggiato da una consistente rete relazionale, entrò nella Carboneria nel 1811, divenendo Gran Maestro nel 1816. Durante i moti dell’estate 1820, i Romeo e altri liberali subito dopo il pronunciamento di Nola, avvenuto nella notte fra il 1° e il 2 luglio 1820 occuparono le istituzioni. La disastrosa sconfitta dell’esercito costituzionale del marzo 1821 provocò  la terza restaurazione assolutista di Ferdinando I che intraprese una energica attività repressiva. Nel 1847 i fratelli Romeo, insieme ai cugini, promossero il moto insurrezionale che a Reggio scoppiò il 2 settembre e venne schiacciato dopo pochi giorni dai Borboni. Domenico Romeo, fuggito con un gruppo di gregari, fu raggiunto dalla guardia urbana di Pedavoli, giustiziato e decapitato. La sua  testa, portata in trionfo per le strade di Reggio, venne poi esposta alla cancellata del carcere comunale. Quando, nel 1848, Ferdinando II fu costretto a concedere la costituzione  i congiurati che si trovavano nel bagno penale di Nisida e in altri luoghi di detenzione furono amnistiati. Giovanni Andrea Romeo ottenne la guida dell’Intendenza di Salerno. Nelle successive elezioni, i liberali conquistarono in Calabria tutti i collegi, lasciandone uno soltanto ai sostenitori della monarchia e il nipote Stefano, dopo l’elezione diventò segretario della Camera. I liberali calabresi furono fra i più acerrimi nemici di Ferdinando II, anche a seguito del grave attentato contro la vita del canonico Pellicano, un atto maturato nel gruppo ristretto dei consiglieri del re. I calabresi furono i primi ad avviare gli scontri di strada del 15 maggio 1848 a Napoli. In questa fase, Giovanni Andrea Romeo fu destituito dalla carica di Intendente, mentre in Calabria divampava la rivolta, repressa nel sangue dall’esercito borbonico dopo la battaglia sull’Angitola. Giovanni Andrea, il figlio Pietro Aristeo e il nipote Stefano presero la via dell’esilio.

I primi due raggiunsero Torino, mentre Stefano si stabili nell’Impero ottomano.
Nel 1848 Romeo fu nominato, nell’assise di Torino, presidente della rappresentanza meridionale al Congresso nazionale per la confederazione italiana. Nell’assemblea sostenne la proposta a favore del suffragio universale maschile e maturò il giudizio negativo sull’idea dell’Italia giobertiana. Nella capitale sabauda Romeo divenne, insieme al conterraneo Casimiro De Lieto, un riferimento per i tanti fuoriusciti meridionali. Fu tra i promotori della Società dell’emigrazione delle Due Sicilie di Torino, di cui fu eletto presidente, coinvolgendo nel gruppo dirigente altri emigrati influenti, come Michelangelo Pinto e Pasquale Stanislao Mancini.
Viaggiò molto, insieme al figlio Pietro, ormai divenuto un noto ingegnere, conoscendo personalità importanti dell’epoca, tra le quali spicca Giuseppe Mazzini. Fu inviato da Cavour come plenipotenziario insieme a Francesco Stocco e Tito Saliceti, per incontrare Luciano Murat a Ginevra, al fine di valutarne la disponibilità a divenire Re in sostituzione di Ferdinando II, attraverso una insurrezione armata e il sostegno delle potenze europee, opzione che decadde per la forte opposizione degli unitari stessi che lo vedevano come un atto di sudditanza ai francesi. Romeo, nello stesso periodo, fu molto impegnato nell’attività di propaganda politica anti borbonica, tanto da pubblicare anche un libello nel 1859 in cui scriveva dell’imminente crollo del Regno delle Due Sicilie. Guidò il gruppo calabrese e meridionale alla definitiva adesione alla Società nazionale italiana, mentre il figlio Pietro partecipò da volontario alla seconda guerra d’indipendenza.
Il successo dei Mille si fondò sull’adesione che le maggiori famiglie del notabilato calabrese diedero a Garibaldi, dopo un’attenta e lunga preparazione portata avanti da patrioti come Giovanni Andrea Romeo e altri del suo gruppo. L’apparato borbonico si trovò isolato nel contesto sociale e politico e, malgrado la concessione della costituzione da parte di Francesco II, l’atteggiamento dei gruppi politici calabresi restò freddo. Tale sentimento, che pervadeva la stessa borghesia e aristocrazia dei grandi centri urbani, nella regione alimentava l’isolamento del già disorientato esercito borbonico. Dopo la battaglia di Piazza Duomo a Reggio Calabria, i quadri garibaldini alla guida della rivoluzione italiana pianificarono la svolta nelle istituzioni occupandole, come nel caso di Plutino a Reggio, ed epurandole dagli elementi fedeli ai Borbone. Questo stato di fatto e l’organizzazione pianificata nei dettagli, portarono Garibaldi a marciare indisturbato verso la capitale. Una volta giunto a Napoli, Giovanni Andrea Romeo fu nominato dal governo garibaldino, prima amministratore generale delle Acque, delle Foreste e della Caccia e, in seguito, consigliere di Stato.

Nelle elezioni del primo parlamento unitario il figlio di Giovanni, Pietro Aristeo, fu eletto con i cavouriani, e il nipote Stefano con i radicali.

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