Grande successo per la critica l’opera dell’attrice e antropologa Emanuela Bianchi “L’ultima strega – una storia vera della Calabria del XVIII secolo” Oligo editore, con la prefazione di Roberto Alessandrini. Una storia che vede la protagonista Cecilia Faragò al centro di un vivere tra pregiudizio e costumanze, tra paesaneità e comportamenti (specialmente quelli femminili) nelle terre calabre in genere e a Soveria Simeri dove tutto è successo. Storia di una magara, di una donna che conosceva canti e danze segreti, luoghi dove trovare gli spazi di attuare un mondo magico rituale di antichi sentire che, ancora oggi, in numerosi paesi della Calabria echi lontani ripercorrono magie che, secondo la tradizione, diventano persino curative contro il malocchio. Ciarmari, spummicari, tagghiari, rimangono ancora atteggiamenti ritualistici per annullare malefici causati dal cuore, con gli occhi e con la mente. L’opera della Bianchi ci riporta al vivo a dei fatti accaduti che hanno consumato una donna il cui destino era stato quella di essere moglie e madre ma per alcune circostanze una donna violata con l’accusa di magara da parte di alcuni preti ai quali interessava solo prenderle il suo patrimonio e quello andato in eredità ai figli. Preti che promettevano il perdono di peccati e il guadagno del paradiso se terre, denaro e quant’altro fosse andato nelle loro tasche. La resistenza di Cecilia a tali raggiri fu l’accusa di questi ad indicarla come donna dai poteri malefici. Una storia vera, che si incattivisce quando uno dei due parroci muore e l’accanimento sociale la fa andare in prigione fino a quando un giovane avvocato, Giuseppe Raffaelli, non la scagionerà per sempre fino a ritornare in piena libertà riavere il suo patrimonio e, persino, grazie a questa assoluzione far si che re Ferdinando per legge abolirà il reato di stregoneria in tutto il regno. Una donna che ha avuto forza e coraggio di combattere contro i poteri forti, poteri indiscutibili che permette alla donna calabrese ed europea di vivere il senso della bellezza dell’essere donna e, in tutto questo anticipa di gran lunga la letteratura europea a fatti simili o comunque di sottomissione dei ruoli della donna. Emanuela Bianchi attraverso il documento d’archivio ricostruisce questa storia portandola in scena, rappresentarla con bravura unica incarnando più personaggi, proiettando lo spettato dalla platea nei boschi visitati da Cecilia Faragò, facendolo entrare nei linguaggi forti della maldicenza fino allo stordimento finale che trova nel bene la vittoria sul male. Una ricerca, comunque difficile visto che la gente del luogo intervistata dall’autrice era restia a fare memoria di questa narrazione e che oggi trova nel luogo di Simeri il paese della libertà e del riscatto femminile. In tutto questo sembra rivivere il Machbeth di Shakespeare, l’Alexandros di pascoli, l’immaginario della magia negli studi di Luigi Lombardi Satriani e numerosi altri sui cui tempio di storia e cultura sociale da oggi entra a pieno titolo l’opera della Bianchi “L’ultima magara”.