Gemellaggio religioso tra Nicotera e Pizzo calabro.

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Gemellaggio religioso quello avvenuto in queste settimane tra Nicotera e Pizzo calabro, città accomunate da tante cose non ultima la comune tradizione religiosa paolana. A venire per primi in città, su invito del parroco Don Francesco Vardè sono stati i Padri Minimi del convento napitino. Poi è stata una cospicua rappresentanza di fedeli nicoteresi a essere ricevuta dagli stessi frati e dai parroci della città murattiana. Un bell’esempio di comunione spirituale e anche un interessante esperimento di schiusura della città di Nicotera ad influenze culturali esterne che non possono non fargli sicuramente bene.

La tradizione vuole che San francesco di Paola nel recarsi in Sicilia durante l’anno 1473 sarà passato sicuramente da qui, visto che Nicotera si trova lungo il percorso che dai tempi dei romani – la famosa via Popilia – congiunge Capua a Reggio ma non possiamo certo sapere se, nella sua mente, abbia pensato di erigere proprio in questo luogo un convento o se lo avesse profetizzato, anche se per tradizione e per fede, induciamo benevolmente al pensiero che sia andata proprio così.

La costruzione del convento inizia nel 1582, grazie al lascito di seimila ducati da parte del canonico nicoterse Antonino Rocca, denaro da utilizzare per la costruzione di due plessi monastici – quello dei domenicani oggi palazzo municipale – e l’altro per i frati minimi, quest’ultimo posto fuori le mura cittadine tra orti e agrumeti del barone De Gennaro, poi passati nel corso dei secoli ai Ruffo, ai Gagliardi e indi ai Murmura.

Il complesso conventuale originario, comprendeva la chiesa al tempo ad una sola navata con piccola cappella laterale, il convento con piano terra e primo piano, con chiostro interno e una profonda e capiente cisterna. La presenza dei frati accrebbe da subito il culto verso il santo come testimoniano le numerose donazioni e in questo felice contesto, poco dopo, nel 1636, venne decretata dalle autorità regie, la festa del santo con annessa fiera, da tenersi nella prima domenica di maggio. Il convento stesso, in quegli anni, accrebbe il suo prestigio presso l’Ordine dei minimi, tanto che al suo interno, vi fu eretto il seminario.

E che la presenza dei frati fosse tenuta in grande considerazione, lo si vide pochi anni più in là quando, dopo l’uccisione del vescovo Biancolella che aveva condotto il pontefice Clemente IX a considerare l’acquisto della città per raderla al suolo, lo stesso graziò Nicotera e ne destinò alla sede vescovile, il frate francescano Francesco Aricò da Monforte. L’Aricò proseguì nello sforzo di restaurare in loco la disciplina ecclesiastica nella Diocesi, tanto e vero che iniziò e condusse in porto due sinodi con i quali – il primo apertosi il 29 settembre 1676 – decretò che alla morte di ciascun sacerdote ne venisse suffragata l’anima dai superstiti, istituì la festa della Concezione, provvide affinché si leggessero le scritture nelle domeniche e ordinò che i canonici, i parroci, i beneficiati, i maestri di scuola, i medici, i chirurghi e gli avvocati facessero la professione di fede. Col secondo invece – iniziato in data 7 ottobre 1687 – istituì la festa della presentazione (cioè della Madonna della Scala, come diciamo qui) e di San Francesco di Paola e con l’esempio edificante e severo delle sue virtù, richiamò il clero e il popolo all’osservanza delle leggi cristiane.

Il secolo XVIII è, potremmo dire, il secolo d’oro della presenza dei Minimi a Nicotera, tanto è vero che troviamo ben tre vescovi provenienti dalle fila dei frati Minimi. Il primo è Gennaro Mattei di Dasà, nato attorno al 1656, entrato giovanissimo in un convento francescano divenendo poi correttore provinciale. Successivamente, le fonti lo collocano presso il Convento dei Minimi a Napoli, dove fu scelto come teologo dal Cardinale Pignatelli. Successe poi al vescovo Mansi nell’anno 1717 dopo quattro anni di interregno, in cui il governo della nostra chiesa, fu tenuto dal vicario del capitolo, Giancola Adilardi. Egli migliorò il seminario diocesano ed eresse la parrocchia di Badia staccandola da quella di Caroni nel 1724. Morì il 25 gennaio del 1725, lasciando un ottimo ricordo di sé.  Troviamo poi Mons. Paolo Collia, nato a Zaccanopoli il 5 marzo del 1684, due volte padre provinciale dei Minimi e teologo del vicerè di Napoli, cardinale Althan. Insegnò teologia presso il convento di Nicotera e il 1 settembre del 1725 fu eletto vescovo di Larino, sede quest’ultima, da dove poi fu trasferito a Nicotera, rimanendovi fino al 1735. Fu un pastore solerte, attese al bene della città, che accrebbe i redditi del seminario, rimise in vigore gli studi di filosofia e di teologia, e aprì il pio istituto ai chierici extradiocesani. Infine, la figura forse più grande di tutti e cioè quella di Mons. Eustachio Entrieri, nato a San Pietro a Guarano il 25 gennaio del 1688, entrato giovanissimo nell’ordine dei Minimi, compì gli studi di filosofia e teologia a Cosenza e a Roma, dove divenne amico fraterno del cardinale Albani fratello del pontefice di quel tempo. Chiamato dal duca di Savoia, insegnò teologia e filosofia all’Università di Torino, venendo poi nominato Vescovo di Samaria e quindi, in seguito, vescovo della nostra diocesi, in data 31 gennaio 1738. Appena giunto in città, esortò la folla affermando che: ”La fede e la carità sono il principio e il compimento della vita. La fede è la pace che ci guida, la carità, la via che ci conduce a Dio”. Uomo irreprensibile, trovò la cattedrale sprovvista di numerosi beni e arredi e provvide con mano energica a sopperire a tale inconveniente. Diffusasi la peste nella città di Messina – marzo del 1743 – mosso a commozione dai tristi avvenimenti colà registratesi e dalla condizione dei malati, spedì vesti e denaro al prefetto dei lazzaretti per sopperire ai bisogni degli ultimi. Uomo di profonda cultura, portò anch’egli vari miglioramenti alla condizione del seminario, introducendovi lo studio dei classici e della storia della chiesa. Alla scuola di canto inoltre, unì lo studio della musica vocale ed strumentale. Si distinse inoltre perché alla pochezza delle rendite della diocesi sopperì con la frugalità, aborrendo dagli agi inerenti alla sua carica. Imprese poi a restaurare il duomo, lavori di cui non vide la conclusione, lasciando la vita terrena in data 11 marzo 1745, non prima però di aver profeticamente previsto che l’opera sua sarebbe stata compiuta da  mons. Franco che si era venuto a trovare in città mentre era diretto alla natia Seminara, cosa che poi accadde veramente, essendo il Franco stesso succedutogli nella carica di vescovo. E quando morì il corpo dovette essere sepolto di notte per sottrarlo al fanatismo della folla che per tre volte lo aveva spogliato delle sue vesti, onde tenerle come reliquie.

Né il terremoto del 1783, – a seguito del quale i frati dovettero trasferirsi in una grande e comoda baracca – né la soppressione dei conventi decretata da Murat nel 1810 sradicarono l’affetto dei nicoteresi verso il grande taumaturgo paolano e né verso i frati. Il luogo sacro, abbandonato all’incuria del tempo e della natura, divenne una cava per l’estrazione di pietre ma anche in questo caso la devozione non venne meno, giacché l’area divenne cimitero cittadino e infine, nel 1913, grazie all’opera benemerita del concittadino Francesco Scordamaglia, ebbero inizio i lavori di ricostruzione sia della chiesa che del convento, portati a termine nel 1950, grazie all’appoggio di tutti i cittadini di ogni ceto e posizione sociale. E a questi lavori sono legati una serie di curiosi aneddoti che hanno, per certi versi, un che di miracoloso, tanto che ancora oggi, gli anziani del posto, li ricordano. Questa nuova chiesa e questo nuovo convento, vennero affidati ai frati Cappuccini che vi insediarono un seminario destinato ad ascendere a grande considerazione. Anzi temiamo di non essere smentiti quando affermiamo che con la riapertura di questi luoghi al culto e allo studio, la costruzione del Viale santa chiara, il sorgere del Terz’ordine francescano e la contestuale apertura dell’istituto di economia domestica “Santa Maria Goretti” con annesso collegio femminile, tutta la zona venne progressivamente ad urbanizzarsi costituendo un nuovo quartiere. Il quartiere che tutt’oggi si chiama San Francesco. Non solo. In questi anni i frati cominciano ad assurgere a ruoli di responsabilità negli uffici curiali. Gli ultimi sprazzi di luce ci saranno dati da Frate Donato Marcello  da Sant’onofrio il quale, oltre ad abbellire la chiesa, grazie al suo continuo questuare, ci ha lasciato un grande tesoro, costituito da oltre trecento reperti della civiltà contadina che oggi costituiscono un museo posto nel palazzo municipale.

Non staremo qui a rammentare i tristi accadimenti che portarono alla decisione dei Cappuccini di allontanarsi da Nicotera.  Ma neanche questo fatto ha incrinato la devozione verso San Francesco, anzi possiamo dire che in tutti questi anni la chiesa ha assolto il compito di costituire non solo un presidio di fede ma anche l’unico punto di aggregazione per un intero quartiere falcidiato anch’esso dall’emigrazione giovanile e la cui popolazione è invecchiata, mentre altri presidi, come la CISO Calabria, sono stati purtroppo abbandonati. Il lavoro dei frati è stato quindi solo sostituito da quello dei laici e dei sacerdoti del posto che si sono impegnati nel corso degli anni nel sostenere e abbellire questa chiesa.

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