“Nel segreto dell’urna, Dio ti vede Stalin no”. Era questo uno slogan che andava per la maggiore nell’italietta degli anni cinquanta, quella della contrapposizione tra democristiano e comunisti con il quale si tentava di fare pressioni sui credenti affinché dessero il loro voto ai partiti di tradizione cattolica a scapito di quelli laici o aconfessionali. Ma il mondo è paese, e anche in altre nazioni a volte si crea una commistione impropria tra religione e politica.
Lo sanno bene anche nella democrazia più popolosa del mondo, L’India dove il 2 gennaio, la Corte suprema ha emesso una storica sentenza sancendo che nel corso di elezioni politiche, la ricerca di voti in nome della religione, può essere definita una “pratica corrotta, affermando che, “l’elezione è un esercizio laico, mentre il rapporto tra l’uomo e Dio è una scelta individuale” e confermando infine che la la ricerca di consenso elettorale in nome di una data religione, casta o comunità è assimilabile al reato di “corruzione”.
La Corte si è espressa dopo essere stata chiamata in causa per un ricorso presentato ben 24 anni fa, dal capo del partito attualmente al governo il nazionalista Baratiya Janata Party (BJP), Abhiram Singh, la cui elezione nell’Assemblea parlamentare dello stato di Maharashtra era stata invalidata l’anno prima, nel 1991, dall’Alta Corte di Bombay poiché il candidato aveva apertamente lanciato un appello a votare per lui perché di religione indù.
La sentenza smentisce in parte, un verdetto del 1995 nel quale la stessa Corte Suprema – deludendo i laicisti – aveva accolto la definizione di “Hindutva” (“induità”, cioè l’ideologia degli estremisti indù che predica “un popolo, una religione, una cultura”,) come “stile di vita” e non “religione” confermando così la possibilità di usarla durante le elezioni.
Una sentenza importante per un paese spesso attraversato da disordini religiosi come le violenze avvenute in Gujarat nel 2002 e altri episodi su cui il BJP ha poi costruito parte delle sue fortune elettorali. Ora bisognerà però vedere se la sentenza avrà un effetto diretto sui gruppi fondamentalisti indù, come potrebbe averlo su “partiti confessionali”, come quelli che si dichiarano musulmani, mentre i cristiani in India invece non hanno formazioni politiche proprie, basate sul fattore religioso, anche se sono influenti in realtà come lo stato del Kerala o nel Nordest del paese. Si dovrà inoltre capire come la sentenza stessa sarà applicata e quale pesò avrà sulle prossime elezioni e sugli assetti politici e istituzionali del gigante asiatico.