La rivoluzione nel mondo del “Fashion system”.

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Proponiamo integralmente su Mediterraneinews.it – un interessante contributo apparso ieri sul sitto www.huffingtonpost.it – di Paolo boggi – imprenditore del tessile – un originale riflessione sull’evoluzione che sta attraversando il mondo del cosidetto “Fashion system.

“Prima o poi doveva succedere e ora la notizia è ufficiale: andiamo incontro alla più grande rivoluzione del tessile degli ultimi 40 anni. Il cosiddetto “fashion system” per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi sarà stravolto e tutto il comparto dovrà affrontare nuove sfide. Il cambio di paradigma non lo faranno gli stilisti né i grandi gruppi bensì i consumatori di domani. La notizia che già su Youtube circolano dei video nei quali i giovanissimi si danno istruzioni su come staccare l’etichetta delle griffe dai vestiti senza rovinarli dà tutta la portata della rivoluzione che sta avvenendo.

Testate come Wall Street Journal e Time, riporta La Stampa, concordano sul fatto che: “Ai millennials di tutti i brand che facevano impazzire i loro genitori non importa proprio nulla. Pensano che ci siano modi migliori di spendere i soldi che pagare in modo spropositato una maglietta griffata solo per crearsi uno status apparente, che non risolve nessuno dei loro problemi”.  Ai giovanissimi non interessa insomma “appartenere a un club la cui tessera di riconoscimento è una griffe”. Tutta un’epoca basata sull’apparire, la vendita di illusioni e l’ostentazione di beni effimeri, nella quale taluni erano disposti a indebitarsi pur di sfoggiare “la griffe” sembrerà un vecchio retaggio, un atteggiamento superato, spazzato via da una generazione il cui obiettivo è valorizzare la propria unicità, addirittura auto-producendosi o personalizzando i capi.

Grandi case come AbercombiePolo Ralph Lauren e American Eagle hanno già cominciato a ridurre le dimensioni del logo sui capi, fino a renderlo invisibile. Ma a quel punto come sarà poi possibile giustificare certe cifre con cui la voce “marchio” viene messa a bilancio e su cui da decenni si compiono le più spericolate operazioni finanziarie?

Ciò che risulta giunto al capolinea è l’enfasi pubblicitaria legata al brand, quel totem che per decenni ha giustificato l’aumento sconsiderato dei prezzi anche di 20 o 30 volte il valore reale dei capi. Mentre diverrà sempre più centrale la qualità del prodotto, il rapporto qualità/prezzo, la possibilità di personalizzazione dei singoli abiti o accessori, la capacità di intercettare i gusti dei consumatori in un rapporto diretto con loro. Sono segnali positivi, personalmente ritengo si tratti di un importante salto di qualità anche sul piano sociale e culturale”.

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