Come anche i lettori di Mediterraneinews.it ormai sapranno, nei giorni scorsi, il Presidente della Regione Mario Oliverio ha chiesto al Ministro dei beni culturali Dario Franceschini, il ritorno, qui
in Calabria, della prima opera stampata in lingua ebraica – il saggio scritto dal rabbino francese Salomone Isaccide, il “Commento al Pentateuco” – realizzata appena venti anni dopo la famosa Bibbia di Gutenberg. Primo passo questo, di un percorso ben più ampio che nella mente del governatore dovrebbe condurre ad un più ampio progetto per il rilancio della presenza storica degli ebrei in Calabria, territorio che presenta numerose mete di interesse turistico e culturale, come i resti della grande sinagoga di Bova Marina.
Un progetto certamente degno di lode sopratutto in questi tempi dove il Mediterraneo – un tempo ponte fra culture e fedi diverse (cristiana, musulmana, ebraica) – rischia di diventare un confine, un “limes” invalicabile, una barriera tra Nord e Sud del mondo.
Un progetto di questo tipologia e di tale spessore culturale deve essere ovviamente portato avanti con il coinvolgimento delle università, dei centri di ricerca, delle associazioni culturali, delle scuole ma anche con la fattiva collaborazione degli istituti culturali più prestigiosi e delle istituzioni degli ebrei in Italia e dello stato di Israele.
Una parte importante di questo progetto certamente potrebbe essere il recupero di tutto quel patrimonio immateriale che la presenza ebraica ha lasciato in queste terre – riti, credenze popolari, tracce nella toponomastica e nella gastronomia (siamo o non siamo la terra d’elezione della dieta detta “Mediterranea”?), l’avvio di progetti di interscambio con le comunità ebraiche italiane e con la stessa Israele, anche da sfruttare in chiave turistica.
Ma l’aspetto centrale di questo progetto non può che passare dal recupero del patrimonio dei beni culturali di matrice ebraica presenti nella nostra regione. A cominciare dalle splendide e in moltissimi casi ben conservate Giudecche, cioè gli antichi quartieri dove fino agli inizi del XVI° secolo, gli ebrei risiedettero nei vari centri della nostra regione (reggendosi con ordinamenti propri, secondo le proprie tradizioni) – tra questi Nicotera il cui quartiere ebraico si conserva in maniera eccellente ed è certo che era tra le più importanti fra qu
elle presenti – e i cosiddetti Fondachi (Funduq) che erano invece i luoghi dove gli ebrei potevano vendere i loro prodotti.
Lo afferma in una nota Antonio Leonardo Montuoro, presidente del CeSNi-Centro Studi Nicoterese organismo culturale nato all’interno dell’Accademia della Dieta Mediterranea di Nicotera- che ricorda come “fu Federico II° ad accogliere gli ebrei a Nicotera concedendo loro questo quartiere – la Giudecca per l’appunto – che funse da autentico volano dell’economia locale del tempo, grazie allo sviluppo della coltura della seta e di una intensa attività artigiana, con botteghe di orafi, scalpellini, tessitori, tintori e di conciatori di pelli. Le sue caratteristiche urbanistiche sono evidenti nella sua compattezza perimetrale, con viuzze a raggiera che sottopassano le case, attaccate l’una all’altra e a volte si proiettano su piccolissimi cortili, nelle stradine strette e tortuose e nei “cafi” cioè dei caratteristici passaggi coperti. Per la sua importanza, la Giudecca nicoterese, viene citata nel Regesto angioino del 1270. In questo importante documento scrive Oreste Dito – tra i massimi studiosi sull’ebraismo nelle terre di Calabria), sono riportate ben 14 comunità ebraiche che regolarmente pagavano la Colletta (tassa sulla proprietà) alla corte. E a Nicotera, divenuta in quel tempo con regia ordinanza del 1239 uno dei principali porti e arsenali del regno, la propulsione economica della città coincide proprio con la presenza ebraica e lo sviluppo della coltura del gelso e della produzione del “tussah” una qualità di seta poco fine e di colore scuro (perché ottenuta con bombici nutriti con foglie di quercia, faggio e castagno) e del ”bissah” (filatura candida poiché il bombix mori veniva nutrito solo con foglie di gelso bianco)”.
La presenza degli Ebrei in Calabria secondo il Ferronelli (in “Gli Ebrei nell’Italia Meridionale dall’età romana al secolo XVIII, TO,1915”) doveva essere cospicua se si pensa che secondo questi, nel 1481 venivano tassati in Calabria 12.187 Ebrei, divenuti 25.000 alla fine del XV secolo, citando numerose giudecche.
“Da Cosenza a Santa Severina, da Nicotera a Vibo Valentia, da Reggio Calabria a Altomonte, – continua ancora la nota del CeSNi – si può quindi avviare un grande percorso di recupero di questo patrimonio, attraverso delle proposte semplici e concrete: 1) il censimento delle giudecche ancora esistenti e di quelle di cui si ha memoria negli atti storici anche se non vi è più traccia nel tessuto urbano dei luoghi; 2) la stipula di un Accordo di programma che veda insieme la Regione Calabria, l’UCEI (Unione Comunita Ebraica Italiane), La Sovrintendenza ai beni monumentali e architettonici della Calabria, i dipartimenti di Storia e di Architettura delle università di Cosenza e Reggio Calabria, e dei comuni calabresi dove la presenza ebraica è stata storicamente accertata, accordo da estendere alle autorità culturali e religiose israeliane; 3) il lancio di un percorso che colleghi tutti questi luoghi con un calendario di eventi e iniziative; 4) l’avvio di un progetto di riqualificazione urbanistica delle giudecche esistenti; 5) la valorizzazione e il recupero della tradizione alimentare e e enogastronomica calabrese di matrice ebraica nel quadro del più ampio progetto di valorizzazione della Dieta Mediterranea”.